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 2013  settembre 10 Martedì calendario

LA BATTAGLIA DELL’ILVA


SI STA come d’autunno sui tetti gli operai, per esempio all’Ilva di Taranto, sul tetto della Direzione. Uno si chiama Marco Zanframundo, 33 anni, moglie e bambino di 3. Lavora da 11 anni e mezzo allo stesso reparto, Mof, il movimento ferroviario. È delegato sindacale dell’Usb. Nel 2010 entrò in vigore una norma per cui alla guida dei locomotori e alla manovra sarebbe andato un operaio solo invece di due. Fim Uilm e Fiom firmarono, poi la Fiom ritirò la firma. Gli operai protestarono: i treni compiono percorsi lunghi e accidentati, un malore o un incidente lasciano senza soccorso. Nell’ottobre 2012 Claudio Marsella, 29 anni, morì schiacciato, agganciando due vagoni. I suoi compagni scioperarono a lungo. Zanframundo era suo amico fraterno, non riusciva più a lavorare e vivere come prima. Momenti di panico, febbre improvvisa, pressione alta, si rifugiava in infermeria. Chiedeva, con gli altri, di rivedere quella norma, mise in rete un filmato che documentava l’insicurezza. E chiedeva di cambiare lavorazione. Intanto il suo caporeparto, indagato per la morte di Marsella, era promosso capoarea. In 11 anni Zanframundo non aveva ricevuto un rapporto: ora, in 50 giorni, ne ha ricevuti 8. Il terzo con lo stesso addebito gli è valso il licenziamento, venerdì. Di quei 50 giorni ne aveva lavorati 20, per il resto era in malattia. Nell’ultima visita era scoppiato in lacrime, e vedere un uomo come lui piangere impressionò il medico: ti conosco da una vita, gli disse, riposati, curati, e quando tornerai ti aiuterò a cambiare reparto. Si è curato, di farmaci e di assistenza psicologica, ed è rientrato: in tempo per il licenziamento. Non rispettava le norme di sicurezza. Lo stesso giorno in cui Procura e Gip hanno ordinato i primi cinque arresti dei “fiduciari”: i lettori ricorderanno questa strampalata denominazione della rete “ombra” di dirigenti e capi che i Riva avevano messo a comandare l’Ilva, veterani di Brescia o di Bergamo, una gerarchia coloniale che esercitava il potere senza esistere ufficialmente. “Associazione a delinquere”. Un esposto contro quella struttura “clandestina” e prepotente, già indagata, era stato presentato dal segretario dell’Usb, Rizzo, e i suoi compagni della Mof. Perfino il nuovo direttore dell’Ilva, Lupoli, deve aver parlato chiaro sulla gerarchia occulta, umiliante anche per i dirigenti che hanno nome e cognome – e con i loro nomi vanno in galera. Ora gli operai sono lì, sul tetto, e con loro gli edili della Emmerre, una ditta prestigiosa per il lavoro più brutto e qualificato, rimontare a mano i refrattari in batteria: mansione decisiva per ridurre le emissioni, e per l’Autorizzazione integrata ambientale che attende. Era un loro compagno un altro morto sul lavoro, Ciro Moccia. Nella causa per lui la Emmerre ha nominato un avvocato di fiducia. E ora è fuori, in 50.
I lavoratori “liberi e pensanti” hanno solidarizzato con lo sciopero, come i Cobas. I sindacati confederali no. La Fiom è sull’orlo di una crisi di nervi. Dal centro si tirano le briglie, i delegati mordono il freno. Bondi dice che il problema è di passare dalla quantità alla qualità: vuol dire il tonnellaggio, forse, gli operai fanno presto a capire la quantità di posti di lavoro. “Tagli drastici”, si dice a bassa voce nei sindacati, 4, 5 mila: intanto quel Zanframundo. Si aspetta il piano, a novembre. Come sugli alberi le foglie, sui tetti gli operai.