Paolo Gallarati, La Stampa 10/9/2013, 10 settembre 2013
Tags : Anno 1901. Personaggi maschili. Italia. Musica
VERDI: “CARA EMILIA, SONO ARDENTE PER LEI”
«Io sono sempre tenero, appassionato, ardente, mezzo morto per Lei. Mille cose a quella gentilissima, amabilissima, adorabilissima Annetta, anche a quella cattivella di Carolina […]. Mando un bacio a Bigetta […]. A Lei quante cose vorrei dire!... Un tenerissimo addio». Con questi toni insolitamente galanti Verdi si rivolgeva nel 1843 alla Contessa Emilia Morosini nel cui salotto milanese era nata un’amicizia documentata dal Carteggio Verdi-Morosini 1842-1901 (467 pagine), nono volume dell’epistolario verdiano, pubblicato in edizione critica, con una eccezionale ricchezza di documentazione, a cura di Pietro Montorfani e Giuseppe Martini, dall’Istituto Nazionale di Studi Verdiani e dall’Archivio Storico di Lugano.
Il lungo carteggio attraversa varie fasi: la prima, con Emilia, dal 1842 al 1848, la seconda, con la figlia Giuseppina Morosini sposata Negroni Prati, dagli Anni ’70 sino alla morte del compositore. Il tono di queste lettere è speciale nel vastissimo epistolario verdiano: sui problemi artistici e pratici, trattati con i librettisti e con gli editori, prevalgono infatti i temi privati, i sentimenti personali, le opinioni sulla vita e sulla società.
Negli Anni Settanta, dopo il trionfo internazionale di Aida , l’esistenza di Verdi è sempre più ritirata e solitaria, poco propensa alle frequentazioni mondane. La tenuta di Sant’Agata lo assorbe quasi totalmente nel seguire il lavoro dei campi. «La prego… non aquila di Busseto ma Contadino delle Roncole», scrive a Giuseppina Morosini, affettando una severa ostentazione della propria origine rustica. L’artista ama la solitudine, ma dal suo ritiro lo sguardo spazia sull’Italia e sul mondo.
Un pessimismo radicale dilaga in quelle giornate solitarie, passate con la Strepponi in «lunghe e tenebrose meditazioni», rotte solo da pochissime visite. Dall’osservatorio verdiano di Sant’Agata il panorama politico appariva desolante. Passato l’entusiasmo risorgimentale, tramontato l’idealismo della lotta per la libertà, ogni memoria sembrava tramontata. «Ma chi pensa ora a quei martiri nostri che si sacrificarono per la Patria?» scrive la contessa che aveva perso un fratello durante i giorni della Repubblica Romana: «Non già chi sta a capo del Governo [Depretis] e meno ancora questa folla di affaristi che popola Montecitorio, per cui il bene del Paese è l’ultimo dei pensieri. Che disgusto si prova al vedere caduto sì basso il pensiero Nazionale!». E Verdi di rimando: «Crede ella ancora alla riconoscenza?!!! La riconoscenza è un peso anche per gli individui: s’immagini dunque se possono sentirla gli uomini di governo». Verdi loda la Morosini quando legge sul Fanfulla la notizia che lei studia il modo di migliorare la vita dei contadini, e commenta che le buone azioni fanno tanto bene. Ma i disordini e certe pretese delle classi rurali lo preoccupano: «Questi scioperi a lungo produrranno la barbarie e la distruzione. Non parlo della nostra politica interna ed esterna. Chiudo gli occhi, e le orecchie per non vedere e sentire».
Non si parla di musica nelle lettere. Le imprese degli ultimi anni - il rifacimento di Simon Boccanegra , Otello eFalstaff - traspaiono solo per piccoli accenni nelle gentilissime lettere della Morosini, che si entusiasma suonando al pianoforte il nuovo Boccanegra, ma ha il divieto di domandare alcunché sui nuovi progetti del vecchio compositore: «Qui tutti si aspettano a vederci presto sorpresi da qualche nuovo vostro lavoro: ma zitto, se no mi mandate un’altra sgridata». Ma se il fervore creativo delle due ultime opere ribolliva nelle contemporane e lettere a Boito, la buona Contessa aveva il privilegio di raccogliere le confidenze privatissime di un’anima sfiduciata e stanca, oppressa poi, negli ultimi otto anni, dall’inerzia forzata della vecchiaia.
Andando avanti nella vita, l’orizzonte di Verdi appare sempre più oscuro. Gli anni pesano: «I dispiaceri sono il pane quotidiano della vita, ma arrivati ad una certa età aumentano con una forza sorprendente». Anche se intanto «scarabocchio ancora qualche nota; e non mi affatico perché il genere mi diverte e tra me faccio qualche grossa risata». Il Falstaff è quindi in gestazione: vietato, però, saperne di più. Dopo l’ultimo trionfo, l’artista tace. La salute se ne va. «Questo mondo è pur noioso»; «Oh se potessi lavorare!»; «Ella ha dei figli affezionati e premurosi… Io son solo!! Triste triste triste!». Si spengono, così, a poco a poco, «quello sguardo potente e insieme dolcissimo […] la naturale semplicità e affabilità dei modi», affettuosamente descritti dalla Contessa Giuseppina come ritratto del suo interlocutore. E il carteggio, iniziato con giovanile allegria, in brillante tono cortese, finisce in pianissimo, come le ultime battute del Requiem.