Guido Olimpio, Corriere della Sera 10/09/2013, 10 settembre 2013
NAZIONALISTI, ISLAMICI, QAEDISTI: IL CHI E’ DEI RIBELLI —
Non temono le pallottole. Agiscono dietro tante sigle. Avrebbero bisogno di un comando unificato e si trovano d’accordo solo su un punto: la cacciata di Assad. Per il resto la resistenza anti Assad è fluida e rispecchia divisioni legati ai conflitti della regione. Semplicistica la divisione moderati/estremisti. Il dogma appartiene solo alla componente qaedista. E non manca chi crede in forme democratiche. Ancora oggi in Occidente ci si arrovella su chi sia l’interlocutore ideale. La risposta definitiva non c’è. I diversi tentativi di trovare una voce comune sono falliti. Per colpa dei ribelli e delle manovre messe in atto da quanti sostengono l’opposizione. Sauditi, qatarioti, turchi hanno sfruttato le paure di Washington per servire i propri interessi e al tempo stesso presentarsi come garanti. Ognuno ha i suoi «cavalli». Figura chiave è il principe Bandar, attuale capo dell’intelligence in Arabia Saudita, profondo conoscitore del mondo politico Usa e in grado di essere ricevuto da Putin. La brutalità del regime ha poi incoraggiato le spinte oltranziste.
A livello ufficiale esistono tre entità che pretendono di gestire le operazioni. L’Esercito libero siriano formatosi attorno a un nucleo di disertori, il Consiglio nazionale siriano, dove mettono mani e soldi il Qatar quanto i sauditi, il Comando supremo militare, oggi affidato al generale Salim Idris, altro personaggio molto vicino a Riad. Sotto, le «brigate». In alcuni casi c’è un rapporto gerarchico, spesso è un legame di convenienza. Non di rado i combattenti fanno di testa loro. La strategia è legata a quanto avviene attorno a un villaggio/città e non è globale. Gli Usa hanno cercato di migliorare il coordinamento con esiti scarsi.
Un altro aspetto è quello del finanziamento diretto. Intere «brigate» ricevono denaro da privati cittadini del Kuwait o dell’Arabia. Assicurano dollari, organizzano lotterie pubbliche di solidarietà, preparano spedizioni. La «Katiba» ribelle risponde documentando gli attacchi con i video. In questo modo è facile condizionare o far passare di campo interi battaglioni. Questo spiega in parte il proliferare su YouTube dei filmati dei reparti famosi. La Brigata Faruq (fondata da un saudita), la Al Liwa vicino a Fratelli musulmani, o la Ahfad Al Rasul. Solo alcune delle centinaia.
La galassia dei nemici di Assad si compone di diversi filoni, con migliaia di guerriglieri. I nazionalisti (in gran parte ufficiali e disertori), i pragmatici che oscillano a seconda del momento, gli islamisti vicini alla Fratellanza musulmana, i salafiti (estremisti con un’agenda locale), l’asse qaedista-jihadista che attira i volontari dall’estero, dai 6 mila ai 10 mila. Discorso a parte per i curdi del Pyd. Di fatto sono rimasti neutrali con il regime e sono avvinghiati in una lotta sanguinosa con gli islamisti ma anche con l’Esercito libero. L’obiettivo è difendere la loro enclave, rinsaldando i vincoli con i curdi turchi e iracheni. Per questo Ankara risponde aiutando gli integralisti di Al Nusra.
Proprio la frattura curdi-jihadisti è un’indicazione di quello che potrebbe accadere nel caso di una sconfitta di Assad. Non poche brigate sono a favore di uno Stato di orientamento islamista, cambiano solo le gradazioni. Ovviamente più marcate quelle dei terroristi di Al Nusra, guidati da Abu Mohamed Al Golani. Sono nati grazie all’aiuto dello Stato Islamico dell’Iraq, Isis, la branca irachena di Al Qaeda con la quale collaborano e, a volte, litigano. Gli Usa li hanno inseriti nella lista nera del terrore. Sognano il Califfato, si sono resi protagonisti di massacri contro gli alawiti, hanno un programma «regionale» che corre parallelo alla guerra sunniti-sciiti e al duello Arabia-Iran. Ne sono parte, come l’Isis il cui leader vivrebbe nell’Est della Siria, al suo fianco molti mujahedin. Un gradino sotto c’è il Fronte islamico siriano, dove però militano anche gruppi pragmatici, e i guerriglieri di Ahrar Al Sham.
È un orizzonte che non rassicura Washington, sempre fredda verso la crisi. Diversi report sostengono che Usa, Francia e Giordania hanno puntato su un contingente di ribelli che dovrebbe agire a sud, nel settore di Deraa. I sostenitori degli insorti insistono: Obama, aiuta i moderati altrimenti i radicali prenderanno campo. Gli scettici ribattono: attento, domani ti ritrovi Al Qaeda al comando. Ed è così che la via di Damasco somiglia al percorso di un labirinto.
Guido Olimpio