Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 10/09/2013, 10 settembre 2013
LA GARANZIA SUGLI AIUTI, CHIAVE DELLA LIBERAZIONE —
Alla fine della mediazione il legame stretto tra servizi segreti italiani e turchi ha consentito di chiudere la partita. Perché quello che passa per Ankara si è rivelato il canale più sicuro per ottenere una consegna in sicurezza degli ostaggi. Ma la vera svolta è arrivata subito dopo il 6 giugno, quando i nostri 007 hanno afferrato la traccia giusta grazie al segnale del telefono cellulare utilizzato dal giornalista Domenico Quirico per chiamare la moglie e rassicurarla di essere vivo. E così hanno individuato la pista che portava ai ribelli al regime siriano guidato da Bashar Al Assad, facendo pesare il rapporto che con loro era stato aperto già da tempo. Per tre mesi hanno trattato con i capi del movimento «Al Faruk» il rilascio dell’inviato de La Stampa e del suo amico professore belga Pierre Piccinin. Fino a due sere fa, quando è arrivato il via libera e al confine tra Siria e Turchia i due prigionieri sono stati rilasciati.
Il doppio livello
La convinzione degli analisti è che il vero obiettivo dei ribelli fosse proprio il docente, che in Siria ci è stato otto volte ed è abbastanza conosciuto. Ma questo poco importa al termine di cinque mesi segnati più volte dalla paura che i due ostaggi potessero essere stati uccisi. La nota del governo belga che ringrazia l’Italia «per l’eccellente collaborazione» e precisa di aver «rifiutato di prendere parte a ogni forma di negoziato riguardante un eventuale pagamento di riscatto», in realtà non deve ingannare. Perché è possibile che soldi siano stati versati, però non sembra essere stato questo l’elemento chiave per risolvere il caso.
I gruppi di ribelli collegati al movimento «Al Faruk» sono spesso ex carcerati e si vendono per qualche milione di lire siriane, cioè tra i 10.000 e i 20.000 dollari. Ma in questa vicenda è apparso subito chiaro il valore dei prigionieri, dunque la trattativa è stata gestita direttamente dall’ala più politica dell’organizzazione. La stessa che in questi mesi ha cercato sponde, soprattutto negli Stati occidentali, per ottenere appoggio nella sua battaglia contro il regime. E ha ottenuto numerosi aiuti, per la maggior parte umanitari, che potessero sostenere la lotta di resistenza.
La minaccia sugli aiuti
Proprio su questo avrebbe giocato l’intelligence per sbloccare il negoziato. Più che cedere, l’avvertimento ai ribelli era di far venire meno il sostegno, soprattutto in un momento di gravissima tensione scatenata dall’intenzione del presidente degli Stati Uniti Barack Obama di sferrare l’attacco. Una strategia messa a punto dai vertici dei servizi segreti — con un canale di comunicazione sempre aperto tra il direttore dell’Aise Adriano Santini, quello del Dis Giampiero Massolo e il sottosegretario delegato Marco Minniti — e appoggiata dagli uomini sul campo. Evidenziando come l’intervento militare mira agli obiettivi strategici, ma rischia di peggiorare ulteriormente le condizioni di vita dell’intera popolazione siriana.
Soltanto a metà giugno si è scoperto che in realtà sin dal 9 aprile Quirico e Piccinin erano nelle mani della brigata «Abu Ammar», catturati a Qusayr dove sono rimasti due mesi. Proprio da quell’area Quirico era riuscito a chiamare la moglie per rassicurarla del fatto che fosse ancora vivo. Da lì ha attivato il segnale determinante per far partire le ricerche mirate degli 007 e dei carabinieri del Ros, adesso delegati a svolgere le indagini per conto della Procura di Roma.
Trasferimenti e prigioni
Quando Qusayr è finita sotto assedio, i due ostaggi sono stati ceduti a un altro gruppo e trasferiti. È stato il momento di maggior tensione per chi stava negoziando, soprattutto perché era arrivata la notizia che le condizioni di salute di Quirico erano peggiorate. Ma anche perché non si riusciva a tenere aperto un unico canale di trattativa e il rischio forte era che questi continui passaggi di mano facessero alzare la posta in una corsa contro il tempo che nelle ultime settimane è diventata drammatica. Del resto non ci sono mai stati contatti diretti con chi gestiva gli ostaggi, ma negoziati con i leader del l’organizzazione che spesso si trovavano distanti dalle prigioni.
Quirico e Piccinin hanno parlato di un video, ma non risulta che immagini siano mai state trasmesse alle autorità italiane. Sicuramente in ogni fase chiave della trattativa è stata invece chiesta e ottenuta una prova in vita dei prigionieri (Piccinin sostiene che una volta gli è stato chiesto il nome del suo gatto). Si ritiene che abbiano cambiato almeno cinque prigioni. Secondo quanto ha raccontato il professore, a metà giugno «siamo stati portati a Yabroud (vicino al Libano), poi condotti di notte su fuoristrada verso il governatorato di Idlib, più a nord. Qualche settimana dopo, siamo arrivati a Bal al-Hawa, alla frontiera turca, ma le speranze di liberazione sono presto svanite perché siamo andati a est, verso Raqqa e ci siamo fermati a 80 chilometri dalla città».
Fiorenza Sarzanini