Marco Bardazzi, La Stampa 10/9/2013, 10 settembre 2013
QUELLE PAROLE ORIGLIATE SUI GAS “SCAGIONANO ASSAD? NON SO”
È un frammento, solo un tassello nel grande mosaico di ricordi di cinque mesi di prigionia. Ma è una memoria che occorre saper maneggiare con cura, per gli scenari che apre sul piano internazionale. E Domenico Quirico la affronta con il metodo e lo scrupolo imparati in anni e anni di professione.
Insieme al compagno di prigionia Pierre Piccinin, l’inviato de La Stampa ha ascoltato - origliato sarebbe la parola giusta - un dialogo tra i carcerieri nel quale si parlava dell’attacco con i gas chimici a Damasco come di una «provocazione», realizzata dai ribelli per scatenare un intervento militare internazionale. Ieri Piccinin, in alcune interviste, ne ha dato una propria lettura personale, senza usare alcun condizionale: «È una certezza: non è il governo di Assad ad aver usato il gas sarin o un altro gas nella periferia di Damasco».
Calma, ammonisce invece Quirico, non è esattamente così. Dopo mesi di isolamento, Domenico ieri è stato aggiornato sugli sviluppi che sta avendo la crisi siriana. Sa che gli Usa sono pronti all’attacco, conosce le posizioni dei vari protagonisti internazionali e dell’Onu: un esperto di politica estera come lui capisce bene il peso che hanno le parole, in un momento delicato come questo. «È folle dire che io sappia che non è stato Assad a usare i gas», scandisce Quirico, quando le dichiarazione del suo amico e compagno di prigionia cominciano a girare per il mondo. L’episodio è quello raccontato da Piccinin, ma l’inviato de La Stampa ci tiene a descriverlo nei dettagli e a metterlo nel contesto giusto, senza affrettare le conclusioni.
«Eravamo all’oscuro di tutto quello che stava accadendo in Siria durante la nostra detenzione - è la premessa - e quindi anche dell’attacco con i gas a Damasco». Quello che hanno ascoltato, quindi, ha cominciato ad assumere un significato più chiaro solo ora che sono tornati in libertà e hanno appreso gli sviluppi.
«Un giorno però dalla stanza in cui venivamo tenuti prigionieri - racconta Domenico -, attraverso una porta socchiusa, abbiamo ascoltato una conversazione in inglese via Skype che ha avuto per protagoniste tre persone di cui non conosco i nomi. Uno si era presentato a noi in precedenza come un generale del ’Free Syrian Army’. Un secondo, che era con lui, era unapersona che non avevo mai visto. Anche del terzo, collegato via Skype, non sappiamo nulla».
In questa conversazione, i due ostaggi hanno sentito dire che l’operazione con i gas nella capitale siriana «era stata fatta dai ribelli come provocazione, per indurre l’Occidente a intervenire militarmente». Secondo i tre misteriosi interlocutori, tra l’altro, il numero dei morti di cui si parlava «era esagerato».
Come giudicare questo frammento di memoria? «Non è stato Assad a usare quei gas, è un dovere morale dirlo», ha affermato Piccinin intervistato dalla radio belga Rtl, aggiungendo: «Mi costa dirlo, perché dal maggio 2012 sostengo il Free Syrian Army nella sua giusta lotta per la democrazia».
Ma Quirico non ritiene di avere elementi di conoscenza e di giudizio sufficienti per trarre conclusioni analoghe. «Io non so se tutto quello che abbiamo ascoltato sia vero e nulla mi dice che sia così, perché non ho alcun elemento che possa confermare questa tesi e non ho idea né dell’affidabilità, né dell’identità delle persone».
Il ragionamento di Domenico riflette la cifra del giornalismo di Quirico e il suo approccio alla realtà: «Non sono assolutamente in grado di dire se questa conversazione sia basata su fatti reali o sia una chiacchiera per sentito dire. E non sono abituato a dare valore di verità a discorsi ascoltati attraverso una porta».
L’inviato de La Stampa ieri è stato ascoltato dai pm di Roma, ha parlato della prigionia e di ogni dettaglio che l’ha caratterizzata. Reduce dalla stesura del verbale, Quirico valuta a fondo l’effetto che possono avere i suoi ricordi, se tolti dal loro contesto. «Bisogna tener presente - insiste - la condizione in cui eravamo e non dimenticare che stiamo parlando di prigionieri che ascoltavano cose attraverso le porte».
«Non ho elementi per giudicare quello che abbiamo sentito», conclude Quirico. Poi fa una pausa, riflette. Il volto è segnato da cinque mesi di sofferenza, ma la lucidità del giornalista di razza è la stessa di sempre. «Sono abituato a parlare e a dare per certe le cose che ho verificato», dice. «In questo caso, non ho potuto controllare niente».