Francesco Semprini, La Stampa 9/9/2013, 9 settembre 2013
BLOOMBERG GIGANTE SENZA EREDI PRIMARIE FIACCHE NELLA GRANDE MELA
A.A.A. cercasi candidato con capacità gestionali e di leadership, visibilità politica, possibilmente dotato di carisma, per occupare poltrona di sindaco della Grande Mela. Alla vigilia delle primarie per l’elezione del primo cittadino di New York, l’unico dato che sembra emergere in maniera piuttosto netta è la mancanza, sia tra i democratici che tra i repubblicani, di un candidato credibile, o quanto meno in grado di catalizzare un consenso diffuso.
L’unico che sembra avere tali caratteristiche è colui che non può correre, ovvero Michael Bloomberg, sindaco uscente costretto, suo malgrado, a lasciare City Hall dopo tre mandati consecutivi. Uno scenario allarmante per i 4 milioni di newyorchesi che il 5 novembre dovranno scegliere il nuovo timoniere della City, e che emerge inconfutabile dall’attacco di cui si è reso protagonista proprio il sindaco uscente, due giorni fa, ai danni di Bill De Blasio. Bloomberg ha definito senza mezzi termini la campagna del candidato democratico «razzista» a causa dell’uso strumentale che viene da lui fatto della «lotta di classe». Il riferimento è agli spot televisivi nei quali De Blasio, di origini italiane, fa mostra del carattere interrazziale della sua famiglia, una mossa che gli ha permesso di guadagnare consensi tra gli afro-americani. Inoltre il candidato ha più volte attaccato Bloomberg accusandolo di «aver fatto poco per i poveri di New York». Critiche pericolose, secondo il sindaco uscente che definisce la dottrina delle «Due città» (la New York ricca e quella povera) seguita da De Blasio «pericolosa retorica foriera di contrasti e divisioni». «Si tratta di becero populismo da estrema sinistra, New York non è una doppia città», tuona Bloomberg il quale dice che i newyorchesi non hanno bisogno di De Blasio.
Ma allora chi può essere in grado di prendere in mano le redini di City Hall? Il colpo di coda del sindaco veterano (12 anni di amministrazione al suo attivo) è, del resto, uno dei rari episodi che hanno risollevato l’attenzione del pubblico sulle elezioni comunali, assieme, forse, alla nuova caduta sui Twitter erotici del candidato democratico Anthony Weiner, che ha pagato la sua recidività col tracollo dei consensi. Così per gli 800 mila democratici e gli 80 mila repubblicani che voteranno domani alle primarie, i nove candidati in lizza (tre soli tra le fila del Gop) sono quasi sconosciuti protagonisti di in una campagna fantasma. Bloomberg da parte sua caldeggia il repubblicano Joseph Lhota, ex vice di Rudy Giuliani, e molto popolare tra gli imprenditori, e la democratica Christine Quinn, paladina dei diritti degli omosessuali che dopo la partenza fulminante a inizio anno ha visto franare il proprio consenso. Oltre De Blasio, Quinn e Weiner, a correre per l’asinello sono Sal Albanese che vuole legalizzare la marijuana per tassarla, Erick Salgado, l’unico ministro di culto a scendere in campo dalla candidatura di Al Sharpton, nel 1997, John Liu, uno stacanovista incapace di sfondare tra gli elettori, e William Thompson, apprezzato dalla comunità ebraica ortodossa, ma criticato per i suoi modi da pensionato. Il panorama del Gop non è certo migliore, oltre a Lhota, infatti, ci sono George McDonald, attivista di vecchia data ma assai poco incisivo, e John Catsimatidis, miliardario di origine elleniche il cui più grande colpo in campagna elettorale è stato quello di paragonare l’aumento della tassazione dei ricchi voluto da Barack Obama alla persecuzione di Adolf Hitler nei confronti degli ebrei.