Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 09/09/2013, 9 settembre 2013
GIUSEPPE BASTIANINI UN DIPLOMATICO NELLA BUFERA
Mi interesserebbe conoscere la sua opinione su Giuseppe Bastianini, personalità assai discussa, che il 7 giugno 1941 fu posto alla guida del governatorato di Dalmazia in sostituzione di Athos Bartolucci, che era federale di Zara. Ho letto che fu alieno da inutili violenze e disposto, quando possibile, ad aiutare le popolazioni locali e gli ebrei. Eppure, al termine della Seconda guerra mondiale, il governo jugoslavo del maresciallo Tito lo accusò di essere un criminale di guerra, per il suo ruolo di governatore della Dalmazia, insieme al generale Mario Roatta e a Francesco Giunta, suo successore in tale veste. Contro di lui si espresse la Commissione italiana d’inchiesta per presunti criminali di guerra ma Bastianini fu assolto. Era realmente innocente?
Giuseppe Oltranzi
pippo.oltranzi@libero.it
Caro Oltranzi, Bastianini nacque nel 1899, fu volontario nella Grande guerra, combatté con gli arditi, fece la marcia su Roma, fu eletto alla Camera nel 1924, divenne sottosegretario all’Economia nel 1926, organizzò i «fasci all’estero», vale a dire le rappresentanze nel partito, soprattutto là dove le comunità degli emigranti erano particolarmente numerose.
Fu dunque un «fascista della prima ora» legato a Mussolini da un forte rapporto personale. Ma nel 1927 scelse la carriera diplomatica e dopo qualche incarico in Africa e in Europa, fra cui ambasciatore a Varsavia, divenne il principale collaboratore di Galeazzo Ciano negli anni in cui il genero del capo del governo divenne ministro degli Esteri.
Nel 1939, quando Hitler aggredì la Polonia, fu nel gruppo di coloro che suggerirono a Mussolini di non seguire l’alleato nella sua avventura. E da Londra, quando divenne ambasciatore in Gran Bretagna al posto di Dino Grandi, non mancò di trasmettere a Palazzo Venezia i segnali di apertura che il governo inglese lanciava allora verso l’Italia. Tutto inutile: ipnotizzato dalle vittorie tedesche nella primavera del 1940, Mussolini aveva deciso che l’Italia sarebbe entrata in guerra.
Fu così che Bastianini dovette lasciare Londra per approdare un anno dopo a Zara come governatore della Dalmazia: una provincia jugoslava che faceva parte del bottino italiano dopo la spartizione del Regno serbo-croato-sloveno. Fu probabilmente il peggiore periodo della sua vita: operazioni di guerriglia delle formazioni partigiane (i comunisti di Tito e i monarchici del generale Mihailovic), attentati, rappresaglie, caccia agli ebrei nei territori controllati dallo Stato croato e dalle truppe tedesche, una sanguinosa guerra civile fra serbi e croati, continui bisticci fra tedeschi e italiani, fra il governo civile e quello militare della Dalmazia.
Le accuse che il governo del maresciallo Tito lanciò contro Bastianini e altri funzionari o militari italiani alla fine del conflitto furono mosse scontate e appartengono alla logica del rapporto tra vincitori e vinti, ma la ricerca dei colpevoli, in una situazione imbrogliata come quella della Jugoslavia, mi è sempre sembrata un comprensibile regolamento di conti piuttosto che vera e propria giustizia internazionale. Dell’amministrazione italiana in quelle circostanza sappiamo che cercò di collaborare con i monarchici di Mihailovic contro le formazioni di Tito e che cercò di salvare, anche per fare un dispetto ai tedeschi, il maggior numero possibile di ebrei.
Più tardi, quando divenne nuovamente sottosegretario agli Esteri, Bastianini fece del suo meglio per estendere la sua protezione anche agli ebrei di Salonicco, la città del Levante che aveva, alla vigilia della guerra, la maggiore comunità ebraica del Mediterraneo.
Sergio Romano