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 2013  settembre 09 Lunedì calendario

L’ACCUSA DI FRANCESCO «LE GUERRE LANCIATE PER VENDERE LE ARMI» — C’è

la parte che al solito ha scritto e limato di persona, quella nella quale il Papa dice che «seguire Cristo» significa combattere «una guerra più profonda contro il male» («A che serve fare guerre, se tu non sei capace di questo?»), che «portare la Croce» comporta «dire no all’odio fratricida e alle menzogne di cui si serve, dire no alla violenza in tutte le sue forme, dire no alla proliferazione di armi e al loro commercio illegale», e già sarebbe chiaro. Ma qui Francesco alza lo sguardo dai fogli e parla a braccio, verso la folla che riempie San Pietro per l’Angelus come sabato sera per la veglia di preghiera e digiuno per la pace in Siria e nel mondo. Perché sul «commercio illegale» ha ancora qualcosa da dire, ed è la più importante: «Ce n’è tanto, tanto! E rimane sempre il dubbio: questa guerra di qua, quell’altra di là — perché dappertutto, ci sono guerre — è davvero una guerra per determinati problemi o è una guerra commerciale, per vendere armi nel commercio illegale?».
Le menzogne dell’odio, le guerre commerciali, «questi sono nemici da combattere uniti e con coerenza, non seguendo altri interessi se non quelli della pace e del bene comune». È come se il pontefice volesse togliere ogni alibi all’uso della forza, anziché il negoziato, per risolvere i conflitti. Come quando nella veglia diceva: «Abbiamo perfezionato le nostre armi, reso più sottili le ragioni per giustificarci». Anche le citazioni evangeliche all’Angelus sono mirate, e basterebbe la parabola riportata da Luca: «Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere la pace». Certo, «qui Gesù non vuole affrontare il tema della guerra», chiosa Francesco. «Però questa parola del Signore ci dice che c’è una guerra più profonda che dobbiamo combattere tutti: rinunciare alle seduzioni del male e scegliere il bene».
Francesco non si ferma, «l’impegno continua, andiamo avanti con la preghiera e le opere di pace!», esclama tra gli applausi. Un’azione cui associa il lavoro sottotraccia della diplomazia, la rete dei nunzi. L’arcivescovo Pietro Parolin, neo segretario di Stato che entrerà in carica a metà ottobre, ha spiegato al «Diario Cattolico» del Venezuela che la stessa Segreteria di Stato dovrà «ricreare la sua presenza» per essere sempre più efficace in campo internazionale. Con discrezione: «Non vorrei una diplomazia sulle prime pagine. Dobbiamo tener conto di quanto dice il Vangelo: non sappia la tua mano sinistra ciò che fa la tua mano destra».
Così ieri il Papa ha scandito: «Vi invito a continuare a pregare, perché cessi subito la violenza e la devastazione in Siria e si lavori con un rinnovato impegno per una giusta soluzione al conflitto fratricida». Un invito esteso a tutta la regione: al Libano, «perché si trovi la desiderata stabilità e continui ad essere un modello di convivenza»; all’Iraq, «perché la violenza settaria lasci il passo alla riconciliazione»; e per «il processo di pace tra israeliani e palestinesi, perché progredisca con decisione e coraggio». Francesco prega anche per l’Egitto, «affinché tutti gli egiziani, musulmani e cristiani, si impegnino a costruire insieme la società per il bene dell’intera popolazione». Riconciliazione, dialogo. La Chiesa dà l’esempio: l’arcivescovo Gerhard Müller, prefetto dell’ex Sant’Uffizio, ha annunciato ieri che Francesco riceverà in settimana il teologo peruviano Gustavo Gutierrez, padre della Teologia della liberazione. Un lungo percorso di riavvicinamento (ma Gutierrez non fu mai condannato, e in Italia ha appena pubblicato con Müller il libro «Dalla parte dei poveri») si compie con il Papa che vuole «una Chiesa povera e per i poveri». Che cosa dirà al pontefice? Gutierrez ha sorriso: «Soltanto grazie».
Gian Guido Vecchi