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 2013  settembre 09 Lunedì calendario

IMPRENDITORI DELUSI, ADDIO AL FEDERALISMO

IMPRENDITORI DELUSI, ADDIO AL FEDERALISMO – Il gradimento degli imprenditori nei confronti del federalismo è arrivato al punto più basso della recente storia d’Italia. Alla domanda-sondaggio proposta dagli organizzatori del workshop Ambrosetti «Quali dei grandi temi del Paese devono essere delegati alla competenza delle Regioni e non devono essere accentrati?» il 40% ha risposto: nessuno. Un 36,2% degli interpellati ha concesso spazio alla Regioni in materia di turismo ma per quanto riguarda infrastrutture, energia e – addirittura – sanità la bocciatura è stata sonora. Gli imprenditori pensano che sia meglio sottrarre queste materie alla competenza federale.
L’inversione di giudizio e di umori è nettissima, il federalismo non solo non è annoverato più tra le riforme che servono per recuperare competitività ma è diventato sinonimo di burocrazia. «Non mi stupisco – commenta Luca Antonini, ex presidente della commissione tecnica per l’attuazione del federalismo fiscale – siamo riusciti a creare un federalismo di complicazione che rende la vita difficile alle imprese perché ha moltiplicato gli adempimenti e ha massacrato la certezza del diritto». Praticamente non c’è norma emanata dallo Stato o dalle Regioni che non venga impugnata dalle Regioni o dallo Stato presso la Corte costituzionale creando quantomeno una fase di incertezza legislativa destinata a durare in media otto mesi. La causa di questa conflittualità permanente sta, innanzitutto, nella mai troppo deprecata riforma del titolo V.
In passato gli imprenditori avevano appoggiato l’idea federalista e in qualche maniera la Lega Nord se n’era avvantaggiata nel risultato delle urne e in una sorta di legittimazione politico-culturale. Solo tre anni, ad esempio, gli stati generali degli industriali lombardi si erano riuniti, guarda caso a Cernobbio, e si erano dichiarati «pronti al federalismo». In un Paese con regioni così diverse non possiamo pensare a una soluzione uguale per tutti, dicevano, incassando l’avallo di Emma Marcegaglia, allora presidente nazionale della Confindustria. Ora il vicepresidente con delega per i problemi del fisco, il veronese Andrea Bolla, ammette la delusione degli associati e la giudica «più che comprensibile». «Volevamo meno tasse e più efficienza e invece il federalismo ci ha portato in direzione opposta. La fiscalità locale si è sommata a quella nazionale e si è creata una sovrapposizione di competenze tra centro e periferia che ha complicato ulteriormente la vita degli imprenditori». Il caso limite è quello dell’energia, la devolution verso gli enti locali ha bloccato i piani di investimento e ha addirittura reso impossibile «l’interconnessione tra regioni limitrofe».
In materia di lavoro è accaduto qualcosa di simile, laddove lo Stato ha ampliato i poteri delle Regioni si sono creati ritardi, disparità di giudizio, valutazioni differenti e incertezza normativa. «Abbiamo tutti chiaro che le zone non sono tutte uguali, una cosa è il Piemonte con la Fiat altra le regioni che si basano sui distretti – continua Antonini, autore tra l’altro del libro “Federalismo all’italiana” – ma se il decentramento si concretizza nell’aumento dei passaggi per aprire una centrale elettrica oppure nella paralisi dei progetti di ammodernamento delle reti infrastrutturali il guaio è per tutte le regioni, a prescindere dalle rispettive vocazioni produttive».
Il federalismo che era stato appoggiato perché prometteva di avvicinare la politica ai territori e di produrre responsabilità diffusa ha fallito l’uno e l’altro obiettivo. Che fare? Bolla si ferma al metodo e sottolinea come non si possano implementare riforme a rate, mentre Antonini pensa che si debba rimediare riscrivendo il titolo V. Il pasticcio è fatto e a questo punto occorre che qualcuno si sporchi le mani per evitare la deriva burocratica. Dal canto suo la Lega Nord sembra tacere, a nche in casa del Carroccio c’è pudore a usare le vecchie parole d’ordine .
Dario Di Vico