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 2013  settembre 09 Lunedì calendario

LA CASA BIANCA INSISTE: I RAID VANNO FATTI


«Questa missione si deve fare». Per la Casa Bianca sembra divenuto quasi irrinunciabile l’intervento militare in Siria. Nonostante le difficoltà degli 007 di dimostrare le dirette responsabilità di Bashar al-Assad nell’uso di armi chimiche, e l’apertura di John Kerry verso un ritorno al Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite, il presidente Barack Obama definisce e rafforza ulteriormente i suoi piani bellici.

La Difesa americana avrebbe in particolare messo a punto un nuovo piano di azione che prevede un attacco della durata di almeno tre giorni, a dimostrazione che sia il Pentagono che la Casa Bianca ritengono che la potenza di fuoco da impiegare debba essere ben superiore rispetto a quanto stabilito nei precedenti piani per infliggere anche danni minimi alle forze di Damasco. Così, si partirebbe con una prima fase rappresentata da un pesante attacco missilistico, una sorta di martellamento a pioggia a tutto campo, per poi passare a lanci balistici su obiettivi definiti che potrebbero sfuggire alla prima fase. Secondo quanto riferito al Los Angeles Times da funzionari governativi, Obama avrebbe chiesto inoltre un ampliamento della lista dei potenziali obiettivi da colpire rispetto ai circa cinquanta individuati nei carteggi bellici di fine agosto. La revisione potrebbe imporre l’impiego di aerei in ausilio alle unità navali già presenti nel tratto di mediterraneo antistante il Paese, un’ipotesi su cui gli strateghi del Pentagono stanno valutando opportunità e fattibilità.

L’escalation guerrafondaia coincide con l’offensiva politica interna con la quale Obama tenterà di conquistare l’appoggio del Congresso, ma non con gli sperati progressi da parte dell’intelligence nella ricerca delle «smoking gun», ovvero le pistole fumanti che proverebbero un coinvolgimento di Assad nell’ordine all’uso di armi chimiche nel corso dell’attacco del 21 agosto che ha causato oltre 1.400 vittime civili. L’attenzione è puntata in particolare sul «Branch 450», il braccio del Syrian Scientific Studies and Research Council che ha il compito di armare materialmente razzi e missili con testate chimiche. Il corpo è composto esclusivamente da miliziani alawiti, risponde solo e unicamente ad Assad o al suo più stretto entourage e, secondo l’intelligence europea, sarebbe stato quello che avrebbe preparato le micidiali armi usate il 21 agosto. Ma gli 007 Usa non sono ancora riusciti a dimostrare il legame di diretto col Rais, o meglio il fatto che Assad sia stato portato a conoscenza del ricorso alle testate prima dell’attacco.

A sollevare altri dubbi è l’intelligence tedesca secondo cui l’esercito siriano potrebbe aver usato i gas contro la popolazione civile senza aver avuto il via libera del presidente. Da alcuni messaggi radio intercettati dalla nave di ricognizione tedesca Oker, a largo della costa siriana, emerge infatti che generali di brigata e di divisione dell’esercito di Damasco chiedevano da oltre quattro mesi di usare armi chimiche, ma l’autorizzazione era sempre stata negata. E ieri è stato proprio Assad a rivolgersi all’America mentre il dibattito sull’intervento in Siria dirompeva nei salotti televisivi domenicali. Il presidente, intervistato da Carlie Rose di Cbs e Pbs, ha negato di aver avuto a che fare con attacchi chimici: «Non ci sono prove che io abbia usato armi chimiche contro la mia gente, non sono stato io». Si è quindi rivolto agli americani spiegando «che per loro non è mai stato piacevole trovarsi immischiati in Medio Oriente e nei suoi conflitti» e ha assicurato che in caso di attacco non mancheranno «ritorsioni».