Daniele Autieri, Affari&Finanza 9/9/2013, 9 settembre 2013
COSÌ LE IMPRESE SCELGONO I MANAGER
Test psicologici, interminabili quiz, prove di team building e colloqui durissimi: essere assunto in un’azienda equivale ormai a un percorso a ostacoli dove i giovani sono chiamati a dare il meglio di sé e i manager delle risorse umane obbligati a pescare nel mazzo il talento nascosto. E così, mentre la competizione aumenta e i posti disponibili si riducono per via della crisi economica, i dirigenti delle human resources ridisegnano il profilo della preda ideale e compilano la lista delle competenze necessarie per trovare lavoro quando tutti gli altri lo perdono.
Flessibilità e conoscenza delle lingue, una formazione elevata e qualche esperienza pregressa, disponibilità ad andare all’estero e dimestichezza nell’uso del web, la lista dei desiderata è lunga.
Flavio Leone,Hrdirector del gruppo Estée Lauder, colosso nel settore dei cosmetici, punta il dito su alcuni di questi fattori, dalla formazione alla flessibilità.
«Per i neolaureati che vogliono farcela – spiega – è indispensabile costituirsi un curriculum di studi quanto mai corrispondente alle aspettative delle aziende che, non colpite dalla crisi recessiva, stanno incrementando i loro organici. Le lauree in economia, specializzazione in marketing e quelle di ingegneria, ad esempio gestionale, sono fortemente apprezzate, accompagnate e integrate da un buon master di gestione di impresa. Ma oltre a queste è oggi fondamentale padroneggiare la lingua inglese e possibilmente una lingua dei paesi emergenti. Ovviamente una elevata dimestichezza del pacchetto Office, del web e dei social network sono dati per scontati. Molto gradita è un’esperienza svolta presso altre culture, tipo Erasmus, mentre la disponibilità a spostamenti e alla flessibilità dell’orario di lavoro sono la regola per ruoli professionali destinati a un sviluppo di carriera. Per incontrare la domanda di lavoro più elevata in talune aziende e canali distributivi, servono poi alcune new capabilities che però necessitano di un periodo di esperienza e specializzazione e mi riferisco, ad esempio, al retail e le sue peculiarità, al digital marketing, all’e-commerce. Per questo, all’inizio della carriera lavorativa, sono molto utili gli stage e i contratti a termine».
In realtà, per quanto sia entrata ormai nel lungo elenco dei luoghi comuni, la conoscenza della lingua straniera – soprattutto inglese – rimane una delle prime richieste dei selezionatori. Livia Cocconcelli, direttore risorse umane di Om-Group, grande azienda specializzata nel settore marketing, denuncia la gravità del ritardo che i giovani italiani ancora hanno rispetto ai loro coetanei stranieri.
«Oggi come ieri – dichiara – le caratteristiche più richieste sono anche le più difficili da trovare e cioè una mentalità internazionale, intesa come disponibilità alla mobilità geografica, e una reale conoscenza della lingua inglese. Purtroppo l’inglese resta un ostacolo per la maggior parte dei candidati e anche la formazione e gli esami sostenuti all’università non sono sufficienti per elaborare un inglese lavorativo. L’altro scoglio è quello della mobilità geografica considerata ancora oggi come una disponibilità che si concede sempre in cambio di qualcosa, magari uno stipendio più elevato o una promessa di una carriera più rapida. La realtà è che la crisi non ha reso più affamati gli aspiranti lavoratori e in molti casi inseguire il posto fisso senza voler correre troppi rischi rimane un sogno inconfessato».
Un atteggiamento ancora più grave se si considera che, ormai, la competizione dei talenti si gioca non più dentro i confini nazionali ma su scale geografiche ben più ampie.
«All’estero – commenta Fabio Ciarapica, partner di Praxi ed esperto di mercati internazionali – la selezione dei giovani avviene su parametri decisamente diversi dai nostri. Prima di tutto viene data molta più importanza alle esperienze pregresse. Mentre in Italia la maggior parte di chi si presenta al colloquio ha appena concluso la formazione, con una laurea e magari un master. All’estero (soprattutto nel mondo anglosassone) ogni ciclo di studi viene intervallato con una esperienza pratica, che può andare dallo stage a un lavoro a tempo determinato. Un caso a parte è quello della Germania dove l’interazione tra mondo accademico e imprese è fortissima e sono proprio le università a indicare i giovani migliori alle aziende che assumono. Questa disparità di esperienze, al momento dell’ingresso nel mondo del lavoro, ha alcune conseguenze immediate. La più importante è che all’estero un giovane arriva a ricoprire una carica dirigenziale con 3-4 anni di anticipo rispetto a quanto avviene in Italia. In alcuni casi, per chi entra nel mondo del lavoro a 23 anni, già intorno ai 28-29 cominciano ad arrivare i primi incarichi di prestigio».