Roberto Mania, Affari&Finanza 9/9/2013, 9 settembre 2013
LA MARZIANA MANSI NEL GROVIGLIO SENESE “ENTRO AL MONTEPASCHI SENZA PADRINI POLITICI”
Lady Siena è di Grosseto. Ma non è l’unica anomalia di questa storia che ha portato Antonella Mansi, classe 1974, imprenditrice, figlia di un ex manager diventato imprenditore, una laurea mancata in giurisprudenza, vice presidente della Confindustria di Giorgio Squinzi con la delega all’organizzazione, cioè il “ministro dell’Interno” di Viale dell’Astronomia, alla guida della disastrata Fondazione del Monte dei Paschi di Siena. Ente antico un tempo florido, ora schiacciato dal debito (350 milioni) e costretto a non essere più, nel prossimo futuro, il grande azionista (ha ancora il 33,5 per cento del capitale) di Rocca Salimbeni, la banca fondata nel 1472, la banca più antica di tutte, o il bancomat senza fondo della città (negli ultimi dieci anni non meno di un miliardo di euro è uscito dalle sue casse per finanziarie le più svariate iniziative).
Lo scandalo dei derivati, figlio dell’onerosissima e azzardata acquisizione di Antonveneta quando il Monte voleva diventare grande a tutti i costi, ha chiuso un’epoca. Alessandro Profumo e Fabrizio Viola hanno segnato la discontinuità nella banca, Antonella Mansi è stata chiamata per normalizzare la Fondazione.
Venerdì prossimo ci sarà l’insediamento della nuova Deputazione. «Voglio fare le cose per bene. Più che preoccupata sono consapevole di quel che mi aspetta. Ma non voglio parlare della mission della Fondazione», dice il neo presidente. Che ancora non conosce i suoi elettori, ossia i componenti della “tribù”, come qualcuno ha chiamato la Deputazione generale dove di fatto si celebra il “groviglio armonioso” senese tra massoni e clericali, ex comunisti ed ex popolari, borghesi provinciali e ambiziosi pidiellini, finanzieri d’assalto e burocrati potenti. Una città ancora ricca, e ancora autoreferenziale, orgogliosa della sua diversità, ma ormai tradita dai suoi antichi poteri.
Mansi non li conosce i suoi elettori perché lei viene da Gavorrano, provincia di Grosseto, Maremma. È nata a Siena solo perché lì i suoi genitori preferirono farla nascere con un parto cesareo. Poi ha studiato a Firenze. Liceo linguistico e l’università senza però arrivare alla laurea. Un rimpianto non aver concluso il ciclo di studi. «Ho tradito le aspettative dei miei genitori e ho fatto un torto a me stessa. Ma ho sempre pensato che proprio non aver conseguito la laurea sia stato un motore fortissimo che ha alimentato una specie di voglia di riscatto. È come se non avendo la laurea ho voluto dimostrare di poter comunque raggiungere determinati risultati».
Nel 2001 è entrata nell’azienda (la Nuova Solmine a Scarlino nel grossetano, primo produttore nazionale di acido solforico) che il padre (già manager dell’Eni) acquisì nel 1997, dal Cane a sei zampe, insieme ad altri tre soci. Oggi è il direttore commerciale, tiene i rapporti con i clienti stranieri, è responsabile degli acquisti. Nel 2005 comincia l’ascesa in Confindustria: prima vice presidente dei Giovani toscani, poi presidente dei senior regionali (dal 2008 al 2011), infine “braccio destro” di Squinzi, collega della chimica e amico del padre Luigi (vice presidente della Federchimica da cui viene Mr. Mapei), che la Mansi scelse di sostenere nell’aspra contesa con Alberto Bombassei per la successione ad Emma Marcegaglia. È diventata la “protetta” di Squinzi («mi vuole bene come ad una figlia», dice) che — in maniera davvero anomala — ha chiamato Fabrizio Saccomanni, conosciuto ai tempi in cui faceva parte del Consiglio superiore della Banca d’Italia, per garantire sulle qualità della Mansi, in quel momento ancora candidata alla Fondazione, su cui però dovrà vigilare proprio il ministero dell’Economia. Grovigli romani.
Ma d’altra parte Antonella Mansi non ha alcuna intenzione («assolutamente no») di mollare il settimo piano di Viale dell’Astronomia. Spiega che non c’è alcun conflitto di interessi (che invece più di un suo collega intravede) e che lo Statuto confederale non stabilisce alcuna incompatibilità. Di Fondazione e non di banca si tratta, precisa. E comunque c’è chi ricorda che Luigi Abete, teorico del grande abbraccio tra imprese industriali e imprese del credito, è stato contemporaneamente presidente degli industriali di Roma e presidente della Bnl.
Confindustria è il network che direttamente o indirettamente ha condotto la Mansi a Palazzo Sansedoni. «Confindustria — dice — è il mio vestito, la mia identità». Confindustria l’ha fatta conoscere alla politica. «Devo molto ai quattro anni in cui sono stata presidente della Confindustria Toscana ». Dice che l’aquila confindustriale è la sua «unica bandiera», che non ha «padrini», che è «autonoma ». E che in politica lei sceglie «le persone che fanno le cose». Sostiene che non ci sono più destra o sinistra. Non contano più le ideologie, serve pragmatismo, concretezza. «Io non ho un approccio ideologico. Ma credo anche che ci sia una politica che vada valorizzata. Mi piace chi si assume le proprie responsabilità». Ma non dice chi. Alla politica ha comunque detto no quando Denis Verdini, che dalle parti di Siena ha sempre contato molto come dimostrano le sue strane vicende bancarie, le ha proposto di candidarsi alla presidenza della Regione nelle liste del Pdl. Ha detto di no perché — appunto — voleva restare nel “partito di Confindustria”. Ma il pressing è stato forte, soprattutto sul padre, che la Mansi considera «il suo punto di riferimento». Nessun altro: né il politica, né tra gli industriali. «Non ho miti».
Eppure è comunque la politica che ha scelto Antonella Mansi. Come il jolly che ha messo d’accordo tutti («sono io che ho messo d’accordo la politica, non la politica che si è messa d’accordo su di me», ribatte). Lo stesso schema che la portò — sempre a Siena, curiosa coincidenza — alla presidenza degli industriali toscani dopo uno scontro interno durissimo. Perché il candidato per la Fondazione del sindaco senese, Bruno Valentini, renziano ma anche ex Cgil e anche, come nella più classica tradizione locale, dipendente del Babbo Monte, era l’ex Garante della privacy Francesco Maria Pizzetti, bocciato però dal presidente della Provincia, Simone Bezzini, ceccuzziano nel senso dell’ex sindaco Franco Ceccuzzi, che in città conta ancora molto. Grovigli senesi.
Non è chiaro chi abbia pensato per primo alla Mansi (il suo predecessore in Confindustria Sergio Ceccuzzi per bruciarla a aprire la strada al renziano Fabrizio Landi? o l’imprenditore Marco Bassilichi nel cda della cui azienda, fornitrice di servizi a Mps, faceva parte la Mansi? oppure il presidente del Consiglio regionale, Alberto Monaci, pd di provenienza Margherita?) ma certo la Mansi, che rifiutò l’offerta del plenipotenziario di Berlusconi, è diventata la candidata soprattutto del Pd non renziano, quello che in Toscana guida Enrico Rossi con la sponda della Cgil di Alessio Gramolati e che ha scelto la Mansi come interlocutore in rappresentanza del mondo confindustriale anziché il leader dei Giovani industriali, Jacopo Morelli, perché troppo vicino alle posizioni di Renzi. Anomalie, ma forse solo apparenti.
D’altra parte, come si è letto negli sms di Matteo Renzi a Valentini, nessuno è rimasto fuori dall’ultima partita del Monte. E’ proprio il presidente regionale Enrico Rossi il trait d’union tra la Mansi e Alessandro Profumo che le chiese di entrare nel cda della banca ottenendo, anche lui, un rifiuto questa volta perché già presidente del consiglio della piccola Banca Federico Del Vecchio (Gruppo Banca Etruria, guidato dall’ex dc Giuseppe Fornasari) cassaforte della ricca borghesia fiorentina.
Dice di essere «pigra» la presidente che ama i racconti gialli. Ma anche «cocciuta e determinata ». «A Siena c’è un desiderio di normalità. So che bisogna sporcarsi le mani. Non mi tiro indietro ». La normalizzazione sta arrivando. O no?