Adriano Bonafede, Affari&Finanza 9/9/2013, 9 settembre 2013
LEHMAN CINQUE ANNI DOPO RISORGONO SOLO NASDAQ E DAX
Anche dopo il fallimento della Lehman Brothers, alla fine ciò che ha contato nei listini di tutto il mondo è l’eterna legge del più forte. Chi aveva le spalle larghe è rimasto tale, chi era debole lo è diventato ancora di più e ne sta pagando tuttora le conseguenze. A cinque anni di distanza dall’evento più traumatico della storia della finanza mondiale del dopoguerra, la bancarotta di una delle banche americane più antiche e solide che gettò il mondo nel panico, si scopre che Wall Street è rimasta la piazza più forte del mondo.
L’ indice S&P 500 è cresciuto nel periodo del 37,38 per cento, il Dow Jones del 35,94, il Nasdaq addirittura del 66,08.
Questo è soltanto uno degli apparenti paradossi della crisi globale più catastrofica dal lontano 1929: il paese che l’ha causata, inondando negli anni 2000 il mondo di liquidità (che a sua volta ha creato la bolla immobiliare trasferitasi poi alle banche e infine all’economia reale) è anche quello che se l’è passata meglio nei cinque anni successivi.
Anni non certo facili per nessuno, anzi a lungo dominati da panico, caos, fuga degli investitori, paurosi saliscendi dei listini, attacco all’euro e al debito pubblico dei paesi del sud d’Europa. Ma, dopo il quinquennio più difficile del dopoguerra, l’America è ancora lì che guarda il mondo dall’alto.
All’altezza di Wall Street c’è stato di fatto soltanto un listino tra le piazze più importanti, quello tedesco, con un più 34,25 per cento. Basta questa semplice constatazione per capire chi davvero conta nel mondo. L’America, con la sua potenza di nazione da 300 milioni di abitanti, ancora in grado di muoversi con le proprie gambe superando insidie vecchie e nuove e decidendo il proprio (e l’altrui) destino con tutte le armi possibili della politica economica. E la Germania della Cancelliera Merkel, di cui davvero non si può dire che non abbia fatto gli interessi della propria nazione, visti i risultati.
A soffrire, invece, tutti i listini europei, a parte i delimitati casi della Svezia (più 48,14 per cento lo Stockholm 30 Index) e della Svizzera (più 11,68 per cento in franchi, ma in euro il guadagno per un investitore europeo sarebbe stato del 44,26 per cento). L’indice generale europeo dell’area euro, l’Eurostoxx 50, è sceso in questi cinque anni del 13,10 per cento, segno di una debolezza diffusa e permanente.
Guadagni limitati anche per i listini dell’Estremo Oriente: il Nikkei 225 ha messo a segno un più 9,61 per cento, quello di Hong Kong il 12,29. Tra i mercati dei paesi emergenti, il Bovespa brasiliano - dopo le correzioni dell’ultimo anno - ha alla fine portato a casa un modesto 4,22 per cento (che però, data la svalutazione del real, in euro ha fatto un meno 13,64 per cento).
All’interno dell’area Euro, la situazione è diversificata. A soffrire di più è stato proprio il listino italiano, il Ftse Mib, con un calo nel quinquennio del 38,57 per cento. Meno forte la discesa dell’Ibex spagnolo, soltanto il 23,38 per cento. Ma questi sono dati abbastanza scontati, visto che questi due paesi fanno parte del gruppo di nazioni più colpite dalla crisi.
È più sorprendente, in un certo senso, che il Cac 40 francese abbia perso il 5,05 in questo quinquennio. Nessuno, fra gli operatori internazionali, ha quindi creduto nelle azioni transalpine. Ancora più imprevisto, forse, è il calo analogo (meno 5,44) del listino olandese, dopo il tanto parlare che si è fatto della forza dell’Europa del Nord rispetto a quella meridionale.
«Non ci si deve sorprendere di quel che è accaduto in questo quinquennio - dice Mario Beccaria, capo economista di Banca Generali. Oggi tutto quello che è avvenuto, compresi i diversi movimenti dei listini e dei settori azionari, sembra avere una spiegazione razionale. Però è vero che parliamo con il senno di poi. Quando le cose accadevano i mercati erano disorientati. Il fallimento di Lehman Brothers è stato un terremoto finanziario mondiale, ma l’America ha reagito meglio dell’Europa soprattutto perché c’è stata una maggiore flessibilità della politica economica e un più deciso orientamento della Fed verso politiche di crescita rispetto alla Bce».
Per quanto riguarda la flessibilità della politica governativa, in Usa, nonostante le critiche, si sono usati i soldi pubblici per salvare il colosso assicurativo Aig: «Dopo cinque anni - ricorda Matteo Ghilotti, responsabile ufficio studi di Equita - lo stato federale ha ripreso tutti i soldi e ha guadagnato 30 miliardi di dollari». In Europa i salvataggi sono stati addebitati ai singoli stati e non all’Unione nel suo insieme, ma i risultati non sono stati altrettanto brillanti, soprattutto nei cosiddetti paesi “periferici”.
Il primato dell’America, i cui listini sono tornati ai livelli del 2007, è supportato da dati di fatto. «Potrebbe sembrare che i mercati azionari americani siano tornati a livelli elevati, ma non è così - spiega Alessandro Fugnoli strategist di Kairos - perché oggi, dopo i massicci licenziamenti, i profitti delle imprese Usa sono strutturalmente più elevati di allora. La stessa cosa è accaduta in parte in Germania».
Ma il terremoto Lehman ha ridisegnato anche la mappa dei settori economici vincenti e di quelli perdenti. La classifica dei comparti azionari più forti vede, a livello europeo, il netto primato dei cosiddetti “titoli difensivi” rispetto a quelli ciclici. Su tutti l’alimentare (food & beverage) che è cresciuto nel quinquennio del 66,21 per cento, seguito dai prodotti per la casa e la persona (più 59,97 per cento), dai titoli della settore salute (più 47,89), da auto e componentistica (47,37), chimica (44,77), retail (31,85), per finire con prodotti e servizi industriali (22,02) e viaggi (7,08).
Tutti gli altri comparti azionari europei hanno un segno negativo, a cominciare naturalmente dalle banche, con un pesante meno 58,76 per cento, che la dice lunga sui problemi irrisolti a livello finanziario. Il comparto del credito è seguito da quello delle utilities, caduto del 56,88 per cento. Pesantemente negativo anche il settore delle materie prime (meno 56,16) e della telefonia (meno 42,34).
Ma proprio le banche sono adesso di nuovo al centro dell’attenzione degli operatori. Dice Matteo Ghilotti: «Le perdite sui crediti sembrano aver toccato il fondo. Se comincia un po’ di ripresa in Europa, come sembra stia avvenendo, se il dollaro si rivaluta un po’, la situazione può cambiare e gli acquisti sui titoli bancari potrebbero riprendere. Quelli italiani, poi, sono profondamente sottovalutati».
Per l’Italia buone speranze anche dal settore del lusso: «Questi titoli - dice Fabrizio Quirighetti, capo economista del gruppo bancario Syz di Ginevra - sono andati bene finora, nonostante alcune recenti correzioni. Perché quello del lusso è un settore che ha crescita e innovazione. Questo è un messaggio di speranza per l’Italia. Il futuro appartiene alle società dove c’è innovazione e ricerca del prodotto di alta qua-lità, e l’Italia ha certamente know how nei comparti del lusso e del turismo».
Ora l’attenzione degli operatori è tutta concentrata sulla ripresa in Europa. Se sarà confermata e si rafforzerà, farà scattare una massiccia dose di acquisti. E allora i listini europei potrebbero uscire dalla cronica sottoperformance di questi cinque anni recuperando in parte quanto perso rispetto agli Usa. Dopo la crescita della Borsa Usa, dopo il boom e lo sboom degli emergenti, tocca adesso al vecchio continente raccogliere il testimone e fare la sua parte, Merkel permettendo.
Ma gli operatori stanno sempre sul chi va là. Sanno che Lehman Brothers ha creato uno spartiacque storico tra il prima e il dopo nella finanza internazionale. Da allora, ricorda un operatore di Borsa, nessun evento sembra più assolutamente impossibile. Dunque pronti a investire in Europa ma anche a girare i tacchi al primo stormir di fronda.