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 2013  settembre 09 Lunedì calendario

KERRY, DA PACIFISTA A FALCO DELLA GUERRA


«HA UNA faccia strana, una faccia diversa, non sembra più lui», dicono tutti quelli che hanno visto John Kerry perorare l’attacco alla Siria davanti al Senato. È malato? O quel volto è lo specchio dell’anima di un uomo che non è più se stesso?
Per chi ha seguito la lunghissima carriera politica di questo ragazzone di quasi 71 anni nato ricco in Colorado, con il «cucchiaio d’argento in bocca» come i Bush, i Kennedy, i Rockefeller, poi senatore del Massachusetts per quasi trent’anni e sposato con la signora del ketchup, Teresa Heinz, la perorazione “pro bello siriano” davanti alla Commissione Esteri che aveva presieduto fino all’anno scorso e ora la sua missione per trovare alleati è stato un shock ancora più grande di quel volto un po’ tumefatto e irrigidito. Chirurghi plastici, dermatologi, ortodontisti, neurologi interpellati da giornali come il Washington Post hanno diagnosticato molte possibili cause, dalla mancanza di sonno allo stress, dal cedimento delle operazioni alla mandibola per ridurre il mento un po’ caricaturale e il morso inverso ad altre ipotesi meno benigne, ma la sorpresa maggiore è stato vedere chi aveva lanciato una corsa alla Casa Bianca nel 2004 sul programma di engagement, di impegno diplomatico con i peggiori nemici dell’America, diventare il rapace che chiede di prendere ad artigliate la Siria.
Scontiamo, naturalmente, il dovere della lealtà e della coerenza con il Capo, con Barack Obama che lo ha chiamato sette mesi or sono a sostituire Hillary Clinton, notoriamente (ma ora segretamente) avvocato di operazioni militari punitive contro la Siria. Ogni membro del gabinetto presidenziale, dai ministri agli ambasciatori, serve e lavora at the pleasure of the President, per seguire ed eseguire quel che al Capo dello Stato e del governo piace. Ma la metamorfosi di questo veterano del Vietnam, dove comandò un battello per la guerra fluviale come quello descritto da Francis Ford Coppola in Apocalypse Now, non si può spiegare soltanto con l’imperativo morale di obbedire o di dimettersi.
John Kerry — che giusto ieri ha cercato di conquistarsi anche il supporto dell’Arabia Saudita e ha rivelato che Assad ha usato armi chimiche almeno 11 volta — sta forse combattendo, prima di un’eventuale guerra contro l’ex commensale e interlocutore Bashar al Assad, un duello contro l’ombra che lo segue da quando il suo nome uscì dall’oscurità del Parlamento, schiacchiato dal collega del Massachu-setts, Ted Kennedy, per sbucare nel sole della politica nazionale. E l’ombra è l’accusa di essere un dignitoso, preparato, onesto, riflessivo ma incurabile “Signor Tentenna”, un “Mister Flip-Flop”, come fu battezzato alludendo agli infradito di gomma che sbattacchiano sul tallone a ogni passo. Dal 6 settembre del 2008, quando in un dibattito teletrasmesso, spiegò il suo voto pro Bush e pro guerra in Iraq dicendo che «ero stato a favore dell’invasione prima di essere contro», l’immagine dell’infradito ballonzolante gli si è appiccicata addosso come una zecca.
Ora che non ha più ambizioni presidenziali, che la sua carriera al Senato cominciata nel 1985 è finita con l’abbandono del seggio sicuro per la inquieta poltrona di Segretario di Stato, Kerry sembra avere scoperto l’ansia di cancellare per sempre quella derisoria etichetta. L’uomo degli infradito di gomma ha calzato gli stivali del soldato e marcia deciso verso l’azione di forza, anche se — o forse perché — contraddice quello che aveva detto e fatto, dal Vietnam al Senato: essere un ex reduce pluridecorato, anche troppo dissero i repubblicani che cercarono di demolirne il curriculum militare accusando di codardia, divenuto pacifista e attivista contro quella guerra e poi campione del dialogo, anche con i più intrattabili nemici della sua America.
«Abbiamo un disperato bisogno di una nuova filosofia, di un nuovo filone narrativo per i nostro Paese» aveva detto al New York Times imbarcandosi nel 2011 per una missione in Afghanistan, da presidente della Commissione Esteri, per accelerare il ritiro delle truppe e la rinuncia alla prima delle due invasioni volute da Bush. E quando già le prime zaffate sulfuree cominciavano a sprigionarsi dalla ribellione contro Assad e dalla repressione, ancora John Kerry respingeva la accuse di essere «un ingenuo», lanciate dalla Clinton, nel voler parlare con Assad e cercare di fargli capire che il negoziato, non le armi, avrebbero potuto salvare lui e soprattutto la Siria.
L’uso di armi di sterminio contro la popolazione nei sobborghi di Damasco, che John Kerry considera come ormai dimostrato oltre «ogni ragionevole dubbio» e che ha cercato di illustrare ai governi scettici nell’incontro di Vilnius, è dunque una doppia occasione per indossare gli stivali chiodati: è una vendetta personale per l’inganno subito da Assad, che gli promise ragionevolezza e negoziato e ha umiliato la sua credulità. Ed è il modo per seppellire il vecchio “Signor Tentenna” per lasciare al suo posto l’immagine di “John il Deciso”. Eppure il suo viso contorto, esibito davanti alle telecamere, con la moglie Teresa alle spalle, smunta, fedele e sofferente per la battaglia contro il male al seno che la riporta periodicamente in ospedale, raccontava una verità diversa dalle parole. La storia di un uomo costretto a vivere la negazione della propria vita passata.