Francesca Giuliani, la Repubblica 8/9/2013, 8 settembre 2013
FIABE ITALIANE [HANS CHRISTIAN ANDERSEN]
A sera, nelle stanze in affitto delle locande, sfogliava i quaderni e ripassava con la punta fine della china gli schizzi tracciati durante il giorno esplorando le città. Come impressioni di viaggio, appunti per immagini di quello che scopriva sotto una luce tanto lontana da quella in cui era nato e cresciuto.
Prima, molto prima di popolare il mondo delle sue fantastiche creature, prima del Brutto Anatroccolo, della Sirenetta, della Principessa sul pisello, il giovane Hans Christian Andersen compie il suo viaggio di formazione in Italia, fra Roma e Pompei, Verona e Venezia, a scoprire un altro mondo, lontano dalla casa della mamma giovane vedova e lavandaia per sopravvivere, lontano dal freddo di Odense, il villaggio danese dove nacque, poverissimo, nel 1805 a qualche chilometro da Copenhagen e dove morì, osannato da tutti, nel 1875. Il genio della fiaba, l’inventore di personaggi e storie che abitano i sogni dei bambini di mezzo mondo da ormai due secoli, nella sua prima giovinezza viaggia alla ricerca del suo talento, mentre ancora non sa cosa farà della sua vita. E di talento, in quegli anni, ne mette alla prova più d’uno: prima il teatro, poi le arti figurative, con tanto di cavalletto e pennelli nella Roma ottocentesca culturalmente vivace e internazionale. Qui l’esile e allampanato Hans Christian incontra tanti connazionali, talvolta illustri artisti come il celebratissimo Bertel Thorvaldsen, ma anche tanti scrittori e poeti alloggiati nelle sofisticate Accademie italiane. In quei mesi, con l’occhio del narratore che verrà, con curiosità di straniero e passione di ragazzo, guarda, analizza, raccoglie dettagli e informazioni e di getto, con artistica improvvisazione, schizza quello che vede per riporlo nella bisaccia e proseguire il viaggio. Gli innumerevoli soggiorni romani, che gli varranno a lungo una nostalgia bruciante, sono testimoniati ancora oggi da targhe in marmo nelle strade della capitale.
E proprio a Roma, Napoli, Venezia Andersen ambienterà poi il suo primo romanzo. Si intitola L’Improvvisatore ed è datato 1863, trent’anni dopo il suo Grand Tour. Racconta la storia di Antonio, un giovane che — guarda caso — si avventura fra le rovine dell’arte classica e le strade del popolo, fra donne molto carnali e anfratti oscuri, passando le notti dentro un Colosseo abitato da fantasmi o visitando la spaventosa Cripta dei Cappuccini, sempre sollecitato da una natura che lo stordisce, lo inebria, di cui assorbe variazioni, emozioni e tonalità. Un romanzo autobiografico ora per la prima volta illustrato, nella riedizione italiana a cura di Bruno Berni in uscita per Elliot, con quella miriade di disegni, schizzi, cartoline.
Nell’album di viaggio di Andersen non c’è soltanto quello che ti aspetteresti dalla mano e dallo sguardo di un giovane danese di due secoli fa (la Roma di piazza Barberini, la scalinata di piazza di Spagna, i resti colossali nel cortile del Palazzo dei Conservatori in Campidoglio), non ci sono soltanto prevedibili prospettive da turista nei disegni realizzati a mano libera, ripassati spesso con i toni rossicci della sanguigna, vista certamente nelle opere di maestri come Leonardo o i Carracci proprio nei grandi musei di Roma, Firenze, Venezia. Il suo è un delicato cahier de voyage pieno di punti di vista anche insoliti, originali. Ecco “un funerale davanti alle mie finestre a Roma il 28 dicembre 1833” dove le figurette umane sfilano in corteo a due a due, la croce in processione, la bara sollevata da minuscoli prelati. Oppure eccolo soffermarsi sulla vista su Villa Albani nel gennaio 1834, dove un viandante se ne sta da una parte, solitario. O ancora le prospettive di via delle Tre Cannelle, quel cactus curvo nei giardini del Quirinale, la curiosa bottega di pizzicagnolo in via Capo Le Case con la sua infilata di prosciutti e salumi. Il suo viaggio, come nelle tappe prefissate del Grand Tour, rotola poi verso sud, prosegue verso la pianura pontina e le bellezze della Campania, passando per il Circeo e Terracina, giù fino a Gaeta, Sorrento, Napoli, Pompei, Amalfi. Sempre annotando, disegnando, e talvolta aggiungendo al bagaglio anche qualche stampa che gli ricordasse il viaggio, come quelle del Pinelli che, si dice, tanto hanno influenzato i suoi disegni. Quelle immagini diventeranno poi letteratura: quella ancora “di formazione” del suo romanzo italiano, scandito da una prosa, da avventure e da notazioni che sono all’origine di tutti i personaggi magnifici delle favole che verranno, soltanto poco tempo dopo. Sono pagine in cui dà il colore ai suoi disegni con le parole. La realtà della sua vita si fa narrazione, fantasia, creazione letteraria, per arrivare al lieto fine, quando il Brutto anatroccolo diventerà impareggiabile cigno.