Bruno Forte, Il Sole 24 Ore 8/9/2013, 8 settembre 2013
AGENDA MINIMA MORALE PER IL RILANCIO DEL PAESE
Di che cosa ha bisogno oggi il Paese? Provo a rispondere a questa domanda - quanto mai attuale in questi giorni piuttosto “caldi” del nostro panorama politico - come può farlo un pastore quotidianamente vicino al suo popolo, facilitato pertanto a percepirne i bisogni più veri. La necessità che la nostra gente avverte è che siano garantite alle famiglie serenità, possibilità di crescita per i figli e condizioni di vita dignitose per tutti, in particolare per le fasce più deboli: casa, lavoro, scuola, buona qualità della vita, percorsi di sviluppo umano integrale, fisico, psicologico e spirituale, sono attese diffuse, fondate nel rispetto dovuto a ogni persona. Proprio per questo il nostro popolo si aspetta dai politici che servano il bene comune con un impegno onesto, serio e perseverante, finalizzato a realizzare gli obiettivi legati a queste aspirazioni.
L’impressione è che non sempre è così. Sembra anzi che gli interessi legati a gruppi di potere e l’avidità di singoli abbiano non di rado il sopravvento sul servizio al bene di tutti. In particolare, il distacco fra i rappresentanti del popolo e il Paese reale si è accresciuto a causa dell’attuale legge elettorale, che consente ai poteri forti dei gruppi politici di nominare gli eletti e deresponsabilizza questi ultimi dal dovere di un rapporto attento, costante ed esigente col territorio che avrebbe dovuto esprimerli. Mi sembra, allora, che ci sia nel cuore della gente una chiara esigenza: chi ha il potere lo eserciti con disinteresse personale e senso di responsabilità, nel più rigoroso rispetto della legalità.
Il disinteresse personale di chi sceglie di impegnarsi in politica è la condizione fondamentale del servizio da rendere al bene comune. «Chi è troppo attaccato al denaro – scriveva don Luigi Sturzo – non faccia l’uomo politico né aspiri a posti di governo. L’amore del denaro lo condurrà a mancare gravemente ai propri doveri» (Il manuale del buon politico, 132). Lo stesso si dica di chi è ammalato di smodata ambizione e di sete di potere. La politica o è servizio o è abuso! Affermava Paolo VI: «Prendere sul serio la politica significa affermare il dovere dell’uomo, di ogni uomo, di riconoscere la realtà concreta e il valore della libertà di scelta che gli è offerta per cercare di realizzare insieme il bene della città, della nazione, dell’umanità. La politica è una maniera esigente - anche se non la sola - di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri…» (Octogesima adveniens, 1971, 46). Per chi si professa cristiano, il modello ineccepibile non può che essere Colui che «non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). Risulta giusto, allora, aspettarsi dai politici un forte senso di responsabilità verso il compito cui sono chiamati. Questo esige che rispondano in prima persona al dovere di promuovere e servire il bene di tutti, anche a prezzo del proprio, e comporta una continua attenzione ai bisogni reali della gente e al modo di soddisfarli nella maniera più equa per tutti. Un grande pensatore quale fu Romano Guardini, sacerdote, filosofo e teologo italo-tedesco, non esitava a riconoscere «la profonda crisi della coscienza morale del nostro tempo» (e si riferiva alla barbarie dei totalitarismi e della guerra) nella mancanza del senso della responsabilità personale. «In larga misura l’uomo non capisce più per quale ragione dovrebbe rinunciare, per amore del bene, a cose che gli sembrano utili o farne altre che esigono sacrificio... La motivazione etica vera e propria, cioè quella della suprema altezza di senso del bene, svanisce e viene sostituita da quella derivante dalla motivazione legata all’incremento della vita, all’utilità e infine al godimento» (Etica, 467s). Essere responsabili significa invece avvertire con profonda serietà il debito che ognuno di noi ha verso il bene di tutti. È riconoscibile questa serietà nei protagonisti della nostra scena politica? Guardando ad alcuni (valga il Capo dello Stato come esempio) viene da rispondere positivamente. Non pare, però, che sia così per tutti…
Il rispetto della legalità, infine, non può non esigersi da chi ha responsabilità politiche: il patto sociale codificato nella nostra Legge fondamentale, gli organismi che la Repubblica si è dati perché il potere legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario siano ciascuno nel proprio ordine efficaci e reciprocamente coordinati e indipendenti, sono garanzia della libertà di ciascuno e di tutti. È sempre pericoloso per il bene comune contrapporre i poteri dello Stato l’uno all’altro, specie quello politico e quello giudiziario. Quando tutti i gradi di giudizio di un processo sono stati espletati, ciascuno nella propria autonomia, non giova a nessuno gettare ombre di sospetto sull’insieme dell’istituzione giudiziaria, che certamente è fallibile, e tuttavia risulta tanto più sicura quanto più sono stati i passaggi compiuti e i pronunciamenti emessi, specie se fra loro concordi. Rispettare la legge, anche se costa, è giusto e fecondo per tutti. I veri leader devono dare esempio di questo rispetto della legalità, anche a prezzo personale, e proprio così potranno guadagnare in credibilità e autorevolezza per quanti si riferiscono ad essi. L’accettazione dignitosa di una condanna inflitta attraverso un procedimento in cui le garanzie costituzionali siano state rispettate e l’onere della prova sia stato assicurato, è atto di democrazia, che può dimostrare in chi lo vive attenzione per il bene che supera l’interesse personale. Questo può comportare un prezzo da pagare sul piano personale, ma – come scriveva Desmond Tutu, il vescovo anglicano premio Nobel per la pace a motivo del suo impegno contro l’apartheid – «i veri leader devono prima o poi convincere i loro seguaci che non si sono buttati nella mischia per interesse personale ma per amore degli altri. E niente può testimoniarlo in modo più convincente della sofferenza» (Anche Dio ha un sogno, 105s). Sarà in grado chi è interessato da questa sfida di essere all’altezza di essa?
Bruno Forte è Arcivescovo di Chieti-Vasto