Giuseppina Manin, Corriere della Sera 08/09/2013, 8 settembre 2013
RIVOLUZIONE AL LIDO —
Aveva chiesto di essere sorpreso e ha sorpreso tutti. Bernardo Bertolucci, presidente della giuria, ha annunciato con il sorriso sulle labbra il Leone d’oro della Mostra: Gianfranco Rosi con Sacro Gra , affettuoso ritratto del mondo degli emarginati che vivono intorno al Grande Raccordo Anulare di Roma. Un gran bel compleanno per un festival 70enne dal cuore giovane, che non solo ha incoronato il nostro Paese dopo 15 anni (l’ultima volta fu nel 1998 con Così ridevano di Amelio) ma ha tolto di mezzo l’assurdo steccato tra cinema di finzione e di realtà. E così il documentario di Rosi, che già aveva fatto notizia per essere entrato nel concorso, alla fine è anche risultato il miglior film. «Non me lo sarei aspettato mai e poi mai…», ha esclamato il regista salendo ad abbracciare uno ad uno i giurati e baciando la mano a Bertolucci.
«Solo un autore rivoluzionario come Bernardo poteva premiare un documentario e sancire definitivamente che è cinema. Grazie anche alla mia ex moglie che mi ha costretto a girare questo film quando avevo deciso di andarmene da Roma. Ho cominciato ad amarla proprio attraverso quell’umanissimo anello di Saturno che la circonda. Il mio Leone va a tutte quelle persone che mi hanno lasciato entrare nelle loro vite con generosità. Qualcuno non sa neanche di essere finito dentro al film».
E a un’altra realtà analoga, parallela a quella di Rosi, ma dell’altra parte del pianeta, è andato il prestigioso Gran Premio della giuria. Stray Dogs di Tsai Min-liang ci mostra le periferie urbane di Taipei dove si tenta di sopravvivere e persino di sognare. Tutto a ritmi di una lentezza esasperante rispetto ai nostri isterici criteri occidentali. Entusiasta il regista taiwanese, già Leone d’oro nel 94 con Vive l’amour : «Grazie di aver premiato un film così difficile e lento. Grazie al pubblico che ha rallentato il passo per vederlo».
Terzo premiato, fino all’ultimo in lizza per il Leone d’oro, il greco Alexandros Avranas, alla fine si è aggiudicato quello d’argento. E così Miss Violence , uno dei titoli più sconvolgenti, è stato risarcito con un altro riconoscimento, la Coppa Volpi per il miglior interprete maschile a Themis Panou, il nonno snaturato che violenta prima la figlia e poi tutte le nipotine nate da quel legame incestuoso.
Ma anche all’Italia va un doppio premio. La miglior attrice è una signora ultraottantenne che viene da una lunga militanza in teatro. Elena Cotta, protagonista di Via Castellana Bandiera , primo film di Emma Dante, ha salito speditamente i gradini del palco rifiutando il galante aiuto del giurato Sakamoto, ha afferrato la sua Coppa dorata e l’ha baciata. «Grazie a Emma, senza di lei non sarei qui e sarebbe un gran peccato. Dedico il premio a mio marito, l’attore Carlo Alighiero. Da poco abbiamo festeggiato 60 anni di matrimonio». Felice dei due premi il ministro per la Cultura Massimo Bray. «È una grandissima affermazione — ha commentato da Firenze —. Vorrei che il Paese tornasse grande anche grazie al suo cinema. È un messaggio per il governo a mantenere gli impegni per il cinema». E a completare la festa tricolore è arrivato Carlo Verdone per consegnare l’ambito assegno di 100mila dollari del premio De Laurentiis alla miglior opera prima, White Shadow , tragedia degli albini in una Tanzania traboccante di violenza e superstizione.
Ultima medaglia del palmarès a Die Frau des Polizisten , parabola rigorosa, scandita in 52 capitoli, dove una moglie, per proteggere la sua family life, nasconde i lividi che il marito le lascia sul corpo. Forse il regista Philip Gröning si aspettava qualcosa di più, ma ha elegantemente ringraziato, dedicando il premio: «A chi osa parlare della violenza tra le mura domestiche».
La delusione più grande è stata però per Philomena di Stephen Frears. Il film più amato del festival, il più applaudito dal pubblico e dalla critica. Meno dai giurati, che l’hanno liquidato con il premio per la sceneggiatura. Persino la straordinaria prova di Judi Dench è passata in second’ordine.
«Mi pare un verdetto equilibrato — conclude Alberto Barbera —. C’è dentro tutto: il film più perfetto, Philomena , e l’anima più radicale e sperimentale. E l’oro all’Italia vale il doppio perché a conquistarlo è un documentario, che da ora non è più il parente povero del cinema. Bertolucci non ha forzato la situazione, anche se non c’è stata l’unanimità della giuria».
Giuseppina Manin