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 2013  settembre 08 Domenica calendario

LA COSCIENZA CI DICE DI AGIRE QUESTA GUERRA NON È L’IRAQ

Talvolta mi domandano come possa, io che 42 anni fa avevo manifestato contro la guerra del Vietnam, in cui avevo combattuto, essere oggi a favore di un intervento contro il regime di Assad. La risposta è: parlavo secondo coscienza nel 1971 e sto parlando secondo coscienza ora, nel2013. Il Segretario Hagel ed io sosteniamo un’azione militare limitata contro il regime siriano non perché abbiamo dimenticato le lezioni e gli orrori della guerra,ma perché li ricordiamo. Non sbagliate: se al tavolo della Situation room si parlasse di un altro Vietnam o di un altro Iraq, non starei seduto al tavolo dei testimoni di fronte al Congresso invocando l’azione.
Ho passato due anni della mia vita a lavorare per fermare la guerra in Vietnam, facendomi dei nemici e perdendo degli amici perché dicevo ciò che pensavo. Quindi, non sono a favore della forza militare ovunque, senza una vera riflessione. Lo sono con un occhio ai fatti e alla ragione.
Mi sono informato sul Vietnam, non ne sono stato imprigionato. E, allo stesso modo, mi sono informato sull’Iraq, e non me ne sono fatto imprigionare. Le false informazioni sulla guerra in Iraq sono un ricordo bruciante per tutti noi che illustriamo al Congresso la necessità di un intervento in Siria: ha fatto sì che insistessimo con la massima urgenza per sapere ed essere assolutamente sicuri di ciò che affermiamo. Né io né Chuck Hagel, che già una volta ha votato su un caso di intelligence che si è rivelato infondato – e se ne rammarica profondamente –, vorremmo mai mettere nella stessa posizione qualsiasi membro del Congresso. Capisco la tentazione di ricordare il Vietnam e l’Iraq e, di riflesso, dipingere ogni possibile azione militare successiva allo stesso modo. Ma questo significa ignorare ciò che la Siria è e ciò che non è.
Non ci saranno truppe di terra in Siria. Non ci sarà alcun impegno illimitato. Non ci si assumerà alcuna responsabilità per la guerra civile di un altro Paese.Queste e altre differenze con l’Iraq sono le precise ragioni per cui molti membri del Congresso, che si opposero e votarono contro quella guerra, oggi sostengono quest’azione contro la Siria. Quindi di che cosa si tratta in Siria? Sarebbe un’azione su misura per rendere chiaro che il mondo non sta a guardare e non permette che la legge internazionale contro l’uso di armi chimiche sia impunemente violata da un brutale dittatore disposto a gasare a morte nel sonno centinaia di bambini. La nostra sarebbe un’azione limitata e mirata contro obiettivi militari, volta a scoraggiare l’uso di armi chimiche e a eliminare le capacità del regime di usare o trasferire tali armi.
Allora qual è la posta in gioco che ha spinto il presidente a venire al Congresso per chiedere di autorizzare l’azione? Quanti di noi credono nell’ordine internazionale e negli sforzi per garantire che le regole contro l’uso delle armi chimiche siano rispettate mettono molto in gioco in questo dibattito. Per quasi 100anni il mondo si è battuto a favore di norme internazionali contro l’uso di armi chimiche. E c’è un motivo se gli Stati Uniti hanno sottoscritto le Convenzioni di Ginevra. C’è una ragione se gli Usa e il 98%delmondo hanno firmato la Convenzione sulle armi chimiche. La spiegazione è questa: l’America è più sicura quando queste norme sono forti. I nostri interessi sono tutelati quando queste armi cessano di esistere. I nostri alleati e partner sono protetti quando le minacce sono ridotte. Il mondo è concorde con noi che a Damasco Est, il 21 agosto, sono state usate armi chimiche. Decine di Paesi o organizzazioni di tutto il mondo riconoscono l’uso di armi chimiche in Siria, e molti l’hanno detto pubblicamente. Molti hanno dichiarato, in pubblico o in privato, che il regime di Assad è responsabile. Ogni giorno riceviamo nuove adesioni. Voglio essere chiaro: se non agiremo, Assad userà nuovamente i gas.
Non ho alcun dubbio che non potremo mai arrivare al tavolo dei negoziati per i colloqui di pace che cerchiamo se Assad crede di potersi guadagnare con le armi chimiche una via d’uscita, così come non saremmo mai arrivati ai colloqui di pace che portarono agli accordi di Dayton, se l’azione militare non fosse stata parte dell’equazione. Non ho dubbi che se ci giriamo dall’altra parte, rischiamo non solo che Assad torni a usare le armi chimiche in Siria, ma anche, a cascata, conseguenze per i nostri alleati e amici nella regione, tra cui Israele, Turchia, Giordania, Libano e Iraq. Quando sento in prima persona di genitori in preda al panico in Israele che corrono a comprare maschere antigas per i loro figli, mi viene in mente quanti vivono così vicino al regno del terrore di Assad. E non ho dubbi che chi vuole vedere una soluzione diplomatica a due delle maggiori sfide poste al mondo dalla proliferazione Iran e Corea del Nord – si debba chiedere: è più o meno probabile che questi Paesi proseguano nelle loro provocazioni e nella corsa alla proliferazione se vedono che le azioni di Assad restano senza risposta? Tutti conosciamo la risposta: saranno più propensi a farlo.
In questo caso i costi dell’inazione sono molto maggiori di quelli dell’azione. Alcuni mi hanno chiesto perché consideriamo l’ipotesi di agire senza l’assenso del Consiglio di sicurezza dell’Onu. È lo stesso motivo per cui il presidente Clinton in Kosovo non vincolò la sua coscienza al veto russo o cinese a New York: in Kosovo, senza un solo caduto americano in combattimento, i Paesi responsabili hanno agito e il mondo è un posto migliore perché l’abbiamo fatto. Fu la cosa giusta allora ed è la cosa giusta da fare ora. Sappiamo già che hanno usato armi chimiche. Sappiamo quando sono state utilizzate e come. Vorremmo che oggi l’Onu fosse in grado di difendere queste norme – piuttosto che restare bloccate dall’ostruzionismo russo e cinese – perché crediamo in questa Istituzione. Crediamo anche nel principio che c’impone di non voltare le spalle e dire che non possiamo fare nulla. Non possiamo permettere che queste armi massacrino impunemente degli innocenti.
Questo è un voto di coscienza. E so che le stesse ragioni che mi hanno spinto a servire nella Marina e le stesse ragioni che mi hanno spinto a parlare contro la guerra in cui avevo combattuto, mi dicono ora che la causa della coscienza e della convinzione è la causa per l’azione in Siria.

2013 Global Viewpoint Network/ Tribune Content Agency, llc. Traduzione di Carla Reschia *Segretario di Stato Usa