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 2013  settembre 07 Sabato calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA GIORNATA DEL DIGIUNO


VILNIUS - Gli europei sono per una "risposta forte" all’attacco chimico del 21 agosto, sul quale le informazioni a disposizione mostrano la responsabilità del regime di Assad. Lo ha detto l’alto rappresentante Ue per la politica estera Catherine Ashton dopo la riunione dei capi delle diplomazie dei Ventisette a Vilnius. Il ministro degli Esteri Emma Bonino ha ribadito che "l’Italia ha "un’alleanza strategica con gli Usa", ma mantiene "una differenza sul metodo di reazione" in Siria. Parlando da Vilnius Bonino ha definito "impensabile" un’azione militare senza l’Onu.
La Germania aderisce all’appello. Oggi la Germania ha deciso di unirsi all’appello contenuto in un documento firmato ieri, a San Pietroburgo, a margine del G20 da 11 paesi, tra cui l’Italia, per una reazione internazionale agli attacchi con armi chimiche voluti da Damasco. Angela Merkel ha elogiato la posizione europea unanime sull’appello definendola di "importanza inestimabile".
Obama. La decisione di intervenire è "solenne", non è stata presa alla leggera, aveva detto poco prima nel suo discorso del sabato alla radio, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. "Come leader della più antica democrazia costituzionale al mondo, so che il nostro Paese è più forte e le nostre azioni più efficaci se agiamo insieme. E’ per questo che ho chiesto al Congresso" di votare, ha detto Obama. "Il regime di Assad è "responsabile" del peggior attacco con armi chimiche del 21esimo secolo. "Noi siamo gli Stati Uniti e non possiamo chiudere gli occhi davanti alle immagini che abbiamo visto", anche se è accaduto "dall’altra parte del mondo". "Non è solo un attacco diretto alla dignità umana, è una seria minaccia alla nostra sicurezza nazionale. C’è una ragione se i governi che rappresentano il 98% della popolazione mondiale hanno concordato di vietare l’utilizzo di armi chimiche". Obama ha aggiunto che le armi chimiche "potrebbero cadere nelle mani di gruppi terroristici che vogliono "farci del male".
Kerry cerca sostegno. Un discorso quello del presidente americano che coincide con la presenza del segretario di Stato, John Kerry, a Vilnius per la riunione informale dei ministri degli Esteri Ue, dove ha incassato prima il sostegno della Lituania, presidente di turno dell’Unione, alla dichiarazione di 11 paesi e poi la dichiarazione della Ashton. Kerry si è detto "molto grato per la forte dichiarazione" dei paesi Ue sulla Siria e sottolineando che il testo chiede che i responsabili dell’attacco chimico rendano conto delle loro azioni.ì
I francesi contrari. Oggi un sondaggio pubblicato dal giornale Le Figaro rivela che più di due terzi dei francesi sono contrari a un impegno militare della Francia in Siria nell’ipotesi di un intervento armato internazionale.
Gruppi islamici contro attacco Usa. Il Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG, che comprende Bahrain, Kuwait, Oman, Emirati Arabi, Qatar e Arabia Saudita) ha esortato la comunità internazionale a intervenire immediatamente in Siria per "liberare" il popolo dalla "tirannia" del suo governo. In caso di intervento la Russia si schiererà con Assad. Contrario all’attacco da parte degli Stati Uniti anche il Fronte islamico siriano, guidato dal gruppo salafita Ahrar al-Sham, che chiede ai suoi seguaci di contrastare l’ipotesi, distanziandosi così da quelle frange dell’opposizione che invece sostengono la posizione del presidente americano. Intanto, secondo media Usa, l’Iran sarebbe pronto alla rappresaglia, attaccando l’ambasciata americana a Bagdad.
Rafsanjani smentisce presa di distanza da Assad. L’ex presidente iraniano Akbar Hashemi Rafsanjani ha negato le parole a lui attribuite con le quali avrebbe criticato la Siria per l’uso di armi chimiche contro i civili. Il chiarimento arriva sul sito Internet dello stesso Rafsanjani, dove si legge che "le affermazioni recentemente (attribuite, ndr) a me sulla Siria sono assolutamente false". "Sfortunatamente il popolo siriano, che per circa due anni combatte una guerra civile e come mai prima è stato sfollato, ora deve affrontare la minaccia straniera sotto il pretesto non confermato di uso di armi chimiche", ha detto il due volte presiente iraniano Rafsanjani, 79 anni.
Le vittime. Intanto sono ripresi i combattimenti in Siria, nella città cristiana di Maaloula, a nordi di Damasco. "Violenti scontri contrappongono l’esercito a un gruppo di ribelli vicino a uno degli ingressi della città di Maaloula", ha dichiarato l’Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo, aggiungendo che le vittime sono almeno 16. Secondo la Rete siriana dei diritti umani, una Ong con sede a Londra, vicina all’opposizione, "più di 10mila bambini sono stati trucidati in Siria dall’inizio del conflitto dalle forze armate del regime di Damasco". Tra questi 2.305 avevano meno di dieci anni.
L’Osservatorio Romano: "Divisioni al G20". L’Osservatore Romano è intervenuto parlando di "divisioni al G20". "Il vertice del G20 appena concluso a San Pietroburgo ha confermato le divisioni della Comunità Internazionale sulla crisi siriana e, soprattutto, sull’intervento armato che il presidente statunitense Barack Obama sembra intenzionato a ordinare - scrive il giornale - e che molti, a partire dalla Russia, in assenza di un’autorizzazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite considererebbero un’aggressione".
Il Papa. C’è intanto attesa in piazza San Pietro a Roma nel giorno del digiuno e della veglia. L’appello lanciato domenica scorsa da Papa Francesco durante l’Angelus per la pace in Siria e in Medio Oriente ha raccolto migliaia di adesioni da ogni parte del mondo.

MULTIMEDIALE SUL DIGIUNO
CITTA’ DEL VATICANO - È il giorno del digiuno e della veglia. L’appello lanciato domenica scorsa da Papa Francesco durante l’Angelus per la pace in Siria e in Medio Oriente ha raccolto migliaia di adesioni da ogni parte del mondo. Perché Jorge Mario Bergoglio ha rivolto l’appello a tutti, anche ai "fratelli cristiani non cattolici, agli appartenenti alle altre religioni e agli uomini di buona volontà", che potranno partecipare "nel modo che riterranno più opportuno". Una giornata di riflessione, a cui parteciperanno anche musulmani, che si concluderà con una veglia di preghiera serale in Piazza San Pietro.
Tutti in piazza. Stasera in piazza ci saranno anche ministri del governo italiano (i ministri degli Esteri, Emma Bonino, della Difesa, Mario Mauro, dei Trasporti, Maurizio Lupi, della Pubblica amministrazione, Giampiero D’Alia, per l’Integrazione Cecile Kyenge hanno aderito al digiuno) e parlamentari. Aderiscono, a distanza, episcopati, missionari e fedeli di Europa, Africa, Asia, Stati Uniti, Australia. Negli ultimi giorni adesioni sono arrivate dal mondo dello spettacolo: Gianni Morandi, Claudia Mori, Adriano Celentano, Flavio Insinna. Il gran muftì di Siria, Ahmad Badreddin Hassou, leader spirituale dell’islam sunnita, che aveva inizialmente prospettato di essere presente in piazza San Pietro questa sera alla veglia presieduta da Jorge Mario Bergoglio, non sarà a Roma, ma aderisce a veglia Papa.
Le regole e il programma. La giornata di digiuno si svolgerà secondo le regole proprie della chiesa cattolica (un solo pasto nel corso delle 24 ore, possibili solo due piccole ’infrazioni’, esenti gli anziani e i malati). Poi, dalle 16.30, i varchi della piazza saranno aperti all’afflusso di chi vorrà partecipare, mentre la veglia inizierà alle 19 e durerà fino alle 23. Non ci sono biglietti. "L’umanità ha bisogno di vedere gesti di pace e di sentire parole di speranza e di pace!", aveva detto il Papa all’Angelus. "Chiedo a tutte le chiese particolari che, oltre a vivere questo giorno di digiuno, organizzino qualche atto liturgico secondo questa intenzione". Presenti in piazza cinquanta confessori pronti a impartire il sacramento della penitenza e della riconciliazione. Alle 18.30 verrà letto il testo dell’Angelus con cui domenica il Papa ha convocato la giornata. Alle 19 in punto inizierà la veglia vera e propria: prima l’intronizzazione della Madonna ’Salus populi romani’, poi la recita del rosario. Questa prima parte si concluderà con la meditazione del Papa, intorno alle 20-20.30.

ALTRTE NOTIZIE

La giornata di preghiera: il programma
Veglia, preghiera, meditazione, digiuno e confessione. L’appuntamento per pregare contro la guerra in Siria, voluto strenuamente da papa Francesco, è alle 19 in piazza San Pietro. Si comincia alle 18.30, quando in piazza verrà letto il testo dell’Angelus con cui domenica scorsa il Papa ha convocato la ’Giornata di preghiera e digiuno per la pace in Siria, in Medio Oriente e nel mondo intero’. Alle 19 in punto inizierà la veglia vera e propria: la prima parte sarà di carattere mariano, con l’intronizzazione della Madonna ’salus populi romani’ con partenza dall’obelisco.

da Raffaella Menichini a cura di Valeria Pini 18.24

Opzioni
Aggiornamento in diretta

da Valeria Pini 18.37
Casini: "No alla guerra". "Siamo qui con il Papa a dire no a questa guerra improvvida, che è destinata a creare più problemi di quanti ne risolva". Lo ha detto Pierferdinando Casini, leader dell’Udc e presidente della Commissione Esteri del Senato, giungendo a piazza San Pietro per partecipare alla veglia di preghiera indetta da Papa Francesco. Casini guida una delegazione di parlamentari dell’Udc di cui fanno parte, tra gli altri, il ministro Giampiero D’Alia, Lorenzo Cesa, Paola Binetti, Antonio De Poli.
da Valeria Pini 18.34
18.33
TwitterChiara @ChiaNard

Il sole è sceso sulla piazza che ormai è quasi piena #prayforpeace http://pbs.twimg.com/media/BTkuLfzCAAA8v7A.jpg
18.31
TwitterChiara @ChiaNard

Ci sono anche tanti giovani in attesa della veglia con #papafrancesco #prayforpeace http://pbs.twimg.com/media/BTkti4uCMAEVUdO.jpg
A Beirut protesta davanti ambasciata Usa contro intervento. Decine di persone hanno manifestato davanti all’ambasciata degli Stati Uniti Beirut, in Libano, per protestare contro l’ipotesi di un attacco militare in Siria. Alcuni dei dimostranti portavano cartelli sui quali si leggeva: ’No guerra’ e ’Giù le mani dalla Siria’.
da Valeria Pini 18.26
18.26
TwitterChiara @ChiaNard

#prayforpeace http://pbs.twimg.com/media/BTkskm1CQAECeKK.jpg
18.26
TwitterChiara @ChiaNard

Oggi sposi a Piazza San Pietro #prayforpeace http://pbs.twimg.com/media/BTksZTACAAE_p8_.jpg
In migliaia a San Pietro, anche siriani con bandiereComincia pian piano a riempirsi piazza San Pietro per la veglia nel giorno di digiuno indetto dal Papa contro la guerra in Medio Oriente e in Siria. Migliaia di persone, tra cui fedeli, stranieri, ma anche diversi turisti, stanno prendendo posto tra le sedie disposte nella piazza. Alla veglia partecipano anche alcuni cittadini siriani, che avevano portato una bandiera della Siria, due dei quali sono stati identificati per dei regolari controlli.
da Valeria Pini 18.25
18.14
TwitterChiara @ChiaNard

Il gruppo scout Genzano 2 presente alla veglia contro la guerra in Siria #prayforpeace http://pbs.twimg.com/media/BTkprbZCUAEPFin.jpg
18.11
TwitterChiara @ChiaNard

Trenta padri confessori si sono resi disponibili per la veglia di#papafrancesco #prayforpeace http://pbs.twimg.com/media/BTko93cCIAEIGX8.jpg
Epifani: "Senza pace non c’è giustizia". "Noi ci siamo per intero e in tutto. Senza pace non c’è giustizia, non c’è sicurezza e non c’è vera libertà". Lo ha detto il segretario Pd Guglielmo Epifani, nel suo intervento conclusivo della festa del partito a Genova, parlando dell’iniziativa lanciata da Papa Francesco.
da Valeria Pini 18.09
18.08
TwitterChiara @ChiaNard

Con un po’ di ritardo arrivano i padri per ascoltare i fedeli che desiderano confessarsi #prayforpeace http://pbs.twimg.com/media/BTkoYAeCYAAXQRM.jpg

Un cartello per la pace nel centro di Bologna
da Valeria Pini 18.07
18.06
TwitterPaolo Rodari @PaoloRodari

Portone di Bronzo. Arrivano preti per confessare #prayforpeace http://pbs.twimg.com/media/BTknyAhCEAAfMRY.jpg
17.58
TwitterChiara @ChiaNard

La pace senza politica e nazionalismi, oggi a San Pietro vietati bandiere e striscioni! #prayforpeace http://pbs.twimg.com/media/BTkmBwTCMAAG_H6.jpg
17.52
TwitterChiara @ChiaNard

Alla veglia, solidarietà per il vescovi greco ortodossi probabilmente rapiti quattro mesi fa #prayforpeace http://pbs.twimg.com/media/BTkkmXACcAAGz_z.jpg

Il presidio per la pace a piazza Nettuno, a Bologna
da Valeria Pini 17.48
17.46
TwitterChiara @ChiaNard

Un terzo dei posti in piazza San Pietro sono già pieni... #prayforpeace http://pbs.twimg.com/media/BTkjcPhCQAIisc6.jpg
17.46
Twitterlaura boldrini @lauraboldrini
#prayforpeace Aderisco all’iniziativa di Papa Francesco perché si alzi forte, in tutto il mondo, il grido della pace on.fb.me/1cSqhpj

da Valeria Pini

Un uomo con la bandiera della pace a piazza San Pietro
da Valeria Pini 17.41
Ex ministro egiziano sostiene il Papa. Un attacco aereo non porterà la libertà al popolo siriano. A dieci anni dall’invasione dell’Iraq gli iracheni stanno ancora combattendo per ottenere pace e sicurezza. A dirlo è l’ex ministro egiziano per la famiglia e la popolazione Moushira Khattab, che dichiara per questo di "dare pieno sostegno all’iniziativa di papa Francesco per fermare le violenze e l’attacco aereo" in Siria.

LETTA FIRMA
VILNIUS - Alla fine, messo con le spalle al muro, Enrico Letta ha firmato l’appello degli Undici membri del G20 che condannano Assad per aver fatto uso di armi chimiche contro la popolazione civile, criticano "la paralisi" dell’Onu, esigono "una forte risposta internazionale", e "sostengono gli sforzi degli Stati Uniti e di altri Paesi per rinforzare il divieto", senza citare espressamente l’ipotesi di una ritorsione armata. A quanto pare, la pressione americana sugli alleati a margine del G20 di San Pietroburgo è stata fortissima. La piccola carota, a fronte del bastone usato per sospingere i più riottosi, offerta da Obama e soprattutto da Hollande, è l’impegno ad aspettare il rapporto degli ispettori Onu prima di attaccare. Un rapporto che però, avverte il ministro degli Esteri francese, potrebbe "lasciare delusi", perché si limiterà a confermare l’uso dei gas ma non dirà da chi sono stati lanciati.
Il presidente del Consiglio italiano esprime "delusione" per le divisioni sulla Siria, e riconosce di aver sottoscritto l’appello per non ripetere "i disastri di dieci anni fa", quando americani ed europei si divisero sulla guerra in Iraq. Ma quanto debole sia la sua convinzione lo dimostra il fatto che, come lui stesso ha riferito in conferenza stampa, quando parla con Putin cita l’appello del Papa ad evitare il ricorso alla forza: "Ho citato con grande forza la lettera del Papa: parole che condannano, che chiedono soluzioni evidenti". E comunque ribadisce che il nostro Paese non interverrà senza un chiaro mandato delle Nazioni Unite.
Insomma l’Italia si barcamena. Ma non è la sola. Quando volano gli stracci, come è successo al G20 di San Pietroburgo, sono sempre i più deboli e i più insicuri a rimetterci di più. E infatti l’Europa esce a pezzi dal vertice dei grandi Paesi industrializzati. Gli europei erano arrivati a San Pietroburgo già divisi in due, con la Francia favorevole ad una ritorsione e gli altri sostanzialmente contrari. Ma ora escono dal vertice addirittura divisi in tre: da una parte Parigi, che è pronta a far decollare i Mirage, in mezzo Londra, Roma e Madrid che esprimono "sostegno" agli Stati Uniti e alla Francia, e sul fronte opposto la Germania di Angela Merkel che con l’Olanda non ha firmato l’appello degli Undici. Toccherà oggi ai ministri degli Esteri della Ue, riuniti a Vilnius per un consiglio informale, cercare di mettere insieme i cocci del disastro siriano.
Angela Merkel, per personalità, per peso specifico del Paese che rappresenta e, non ultimo, per considerazioni elettorali, non si è piegata alle pressioni americane. Ma il risultato è che, a San Pietroburgo, la Germania si è trovata isolata rispetto agli altri europei ed ha dovuto giustificare il proprio rifiuto con la preoccupazione di non pregiudicare una posizione comune dell’Ue. Oggi, a Vilnius, sarà il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, a dover cercare di attenuare le posizioni degli europei e cucire una qualche forma di consenso.
Emma Bonino, che nei giorni scorsi si era espressa con forza a proposito del pericolo che un attacco americano comporterebbe per la stabilità dell’intera regione mediorientale, rischia di trovarsi spiazzata dalla mossa di Letta a San Pietroburgo. Anche la ministra degli Esteri è ben consapevole della necessità di "non allargare l’Atlantico", come ha detto il primo ministro, evitando qualsiasi contrapposizione frontale con gli Stati Uniti. Tuttavia la titolare della Farnesina sa bene che, sul fondo, la posizione dell’Italia resta chiara: nessun intervento da parte nostra senza un mandato Onu. E dunque verosimilmente oggi si batterà per difendere questa posizione in seno ai Ventotto.
Fortunatamente, visto che si tratta di un Consiglio informale, le conclusioni non saranno affidate ad un documento scritto ma solo ad una dichiarazione della presidente: l’alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Catherine Ashton. E una dichiarazione verbale offre maggiori margini per le acrobazie dialettiche necessarie a rimettere insieme i cocci europei. La Ashton dovrà così esprimere comprensione per la posizione americana, condanna per il regime di Assad, invito ad aspettare comunque il rapporto degli ispettori Onu, cautela sulle ipotesi di ritorsione armata e forte sostegno per una "soluzione politica" che diventa ogni giorno più lontana. Con una simile scaletta, sarà difficile essere credibili. Ma questa è una qualità che, ormai, nessuno si aspetta dall’Europa. Tanto meno gli europei.

ANDREA TARQUINI SU REPUBBLICA DI STAMATTINA
BERLINO - Professor Küng, come giudica l’appello di papa Francesco per il digiuno, una pratica che accomuna le tre religioni monoteistiche, in nome della pace in Siria?
"Il gesto ci mostra il vasto orizzonte ecumenico di papa Francesco, il fatto che si rivolga agli esseri umani di ogni religione, e oltre: a tutti gli esseri umani di buona volontà. Il fatto che si rivolga a tutte le tre religioni mostra che fa sul serio e con successo nel prendere l’insegnamento e il messaggio che ci dette quando, eletto pontefice, scelse il nome di San Francesco d’Assisi. E ha deciso di cogliere la chance di lanciare indirettamente un segnale anche all’Iran".

Quale segnale?
"Il segnale a tutti gli iraniani e a tutti gli esseri umani coinvolti dal caso Iran dell’invito a concentrarsi sulla preghiera e sulla volontà di pace che è insegnamento vero della preghiera, e a invitare così tutti, anche i governanti, a riflettere in questo senso".

Cosa ci insegna dunque l’appello di papa Francesco?
"Insegna e aiuta a divenire consapevoli dell’importanza della religione, delle religioni, per l’obiettivo del conseguimento della pace. Ci vuole aiutare a comprendere che senza pace tra le religioni non ci sarà pace in Medio Oriente".

Papa Francesco pensa anche al caso Iran?
"Sì, ha colto la chance di tentare di portare l’Iran al di fuori dall’isolamento che ha scelto da solo. Il nuovo presidente iraniano, Rohani, e questo certamente non è sfuggito a papa Francesco, per la prima volta ha inviato auguri agli ebrei di tutto il mondo, non solo quelli viventi in Iran bensì tutti, anche agli israeliani, auguri per l’inizio del nuovo anno ebraico. Un segnale anche agli ebrei cittadini d’Israele. In chiara contraddizione con il suo predecessore Ahmadinejad che diceva di voler cancellare lo Stato d’Israele dalla carta geografica mondiale. È importante anche che il nuovo ministro degli Esteri iraniano Sarif - Francesco avrà ben colto anche questa novità - membro con me del board di venti persone scelto dall’ex segretario generale dell’Onu Kofi Annan per il dialogo tra le culture, mi ha appoggiato nel chiedere l’importanza del Weltethos, dell’etica mondiale cui lavoro, come sistema di valori e norme comuni per capirsi meglio. Sarebbe base sicura per la pace in Medio Oriente".

E se si arriverà invece all’attacco alla Siria?
"Un attacco armato alla Siria senza mandato Onu sarebbe contro il diritto internazionale, prolungherebbe e approfondirebbe il conflitto anziché risolvere, non sarebbe una guerra di 60 giorni soltanto. L’altra via è più promettente. Mi associo all’appello di Jeffrey Sachs, ha chiesto che gli Usa producano all’Onu chiare prove sulle armi chimiche e il loro uso da parte del regime e che chiedano al Consiglio di sicurezza di condannare i responsabili dei crimini e di affidarsi al tribunale della giustizia internazionale. Obama dovrebbe anche cercare di imporre che tutti ratifichino la convenzione Onu contro le armi chimiche. Se non avesse successo, diplomaticamente e in modo trasparente, Russia e Cina potrebbero uscire dal loro isolamento".

Lei salutò subito su Repubblica l’elezione di Francesco auspicando forti gesti di rinnovamento. Ora i cambiamenti al vertice della Curia sono venuti, poi questo appello. Sono segnali forti?
"Agisce con coerenza. Ha sostituito il segretario di Stato con una persona capace, e ha suscitato l’attenzione con questo appello. Evita gli errori del suo predecessore e dell’ex Segretario di Stato Bertone, che agivano in modo non ben meditato nella politica mondiale".
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PEZZO DI RODARI STAMATTINA SU REPUBBLICA
CITTÀ DEL VATICANO
— Oltre alle mani incrociate che recitano il Rosario, in piazza San Pietro oggi potrebbero spuntare anche tappeti arabi per le preghiere ad Allah. È la serata di digiuno e preghiera indetta da papa Francesco nel cuore della cristianità, una giornata alla quale il mondo musulmano ha aderito con larga partecipazione.
Picchia duro, papa Francesco, quando col suo
#prayforpeace,
l’hashtag inventato per scuotere cuori e coscienze in favore della pace in Siria, chiama credenti e non credenti al raduno. «La pace è un bene che supera ogni barriera, perché è un bene di tutta l’umanità», scrive su Twitter, imponendosi
come leader mondiale anti-intervento. E ancora: «Una catena di impegno per la pace unisca tutti gli uomini e le donne di buona volontà!».
Dopo la lettera a Vladimir Putin e al G20, il Papa fa sentire ancora la sua voce contro la guerra rompendo l’impasse diplomatico e raccogliendo il sostegno dell’opinione pubblica e di diversi leader politici e religiosi. Fra questi, il Patriarca ortodosso di Costantinopoli Bartolomeo I (da lui il Papa sembra intenzionato a recarsi in visita nel 2014) e diverse comunità islamiche. L’azione del Papa è anzitutto volta a smuovere le coscienze, a chiedere digiuno e preghiera perché i cuori dei potenti si convertano alla pace. Insieme, certo, c’è l’attività diplomatica. Ma in Vaticano avvertono: «Il significato del digiuno di oggi non è l’equidistanza ». No alla guerra, no al raid americano, ma insieme fine immediata delle rappresaglie e dell’eccidio dei civili. Insomma: il “giù le armi” vale per tutti.
E a pochi giorni dall’annuncio
della nomina a segretario di Stato vaticano è da diplomatico di rango che interviene Pietro Parolin: in Medio Oriente, dice, «sono in gioco l’equilibrio del mondo, la convivenza presente e futura di varie religioni e dei grandi gruppi etnici. O andremo verso un mondo nel quale sapremo integrare le nostre differenze e farne occasione di crescita, o andremo verso la guerra totale». E ancora: «Ci sarà molto da lavorare. Purtroppo fa molto più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. Ma non è vero
che il mondo è dei violenti, il mondo è fatto per la maggior parte da persone buone, bisogna dare loro voce. La Chiesa deve dare spazio e protagonismo a queste persone affinché prevalgano il dialogo, la pace, la concordia, insomma la “civiltà” dell’amore ». Parole che confermano la linea vaticana dell’Ostpolitk, il dialogo a tutto campo. Perché senza mediazione è solo la logica dello scontro a prevalere. Per questo Francesco non vuole sembrare un cerchiobottista che non distingue torti e ragioni. Qui
i torti sono chiari (l’uso di armi chimiche contro civili), si tratta solo di stabilire il mondo più efficace per bloccarlo. E, ovviamente, a suo avviso, i raid americani non lo sono.
Alla Radio Vaticana è stato ieri il “ministro degli Esteri” del Papa Dominique Mamberti, a rimarcare che «il lungo conflitto siriano ha già provocato troppe vittime e sofferenze e la situazione umanitaria ha acquisito dimensioni veramente intollerabili».

VIVIANA MAZZA SUL CORRIERE DI STAMATTINA
«Mentre il sole sta per tramontare, qui a Teheran, auguro a tutti gli ebrei, e specialmente agli ebrei iraniani, un felice Rosh Hashanah». Gli auguri inviati via Twitter in occasione del Nuovo anno ebraico, dall’account del presidente iraniano Hassan Rouhani, sono un esempio perfetto dei segnali di un nuovo corso che continuano ad arrivare dal governo di Teheran e delle ambivalenze che li accompagnano. Il messaggio ha suscitato reazioni di apprezzamento (benché non siano mancate quelle scettiche) perché, anziché negare l’Olocausto come il suo predecessore Ahmadinejad, Rouhani ha fatto appello a ciò che unisce gli ebrei dall’Iran a Israele. Poco dopo, però l’agenzia iraniana Fars, vicina ai Guardiani della rivoluzione, ha smentito che Rouhani abbia un account Twitter (anche se molti ritengono che sia autentico): un esempio di come un semplice tweet possa scatenare uno scontro di potere nella repubblica islamica. Il nuovo governo iraniano è impegnato a proiettare un’immagine diversa dell’Iran, e lancia segnali di apertura anche su questioni come il nucleare e la Siria. Ma perché ai toni conciliatori corrispondano davvero cambiamenti di sostanza, è necessario che lo vogliano la Guida suprema Ali Khamenei e i Guardiani della rivoluzione. Il ministro degli Esteri Javad Zarif si è unito al presidente nel twittare «Felice Rosh Hashanah» l’altro ieri, nello stesso giorno in cui è stato annunciato che guiderà lui i colloqui sul nucleare, una novità, perché a gestire le trattative, da anni senza progressi, sono stati ultraconservatori del Consiglio di sicurezza nazionale, sotto l’ala di Khamenei. Ma gli scettici notano che l’ultima parola resta sempre alla Guida suprema. Sulla Siria, poi, mentre incombe la minaccia dei raid Usa, il presidente iraniano e il ministro Zarif hanno evitato toni di scontro: in un’intervista a un settimanale iraniano, domenica scorsa, Zarif ha parlato di «gravi errori del governo di Damasco che hanno sfortunatamente aperto la strada a chi vuole abusare della situazione del Paese»; e mercoledì Rouhani, pur confermando che la stabilità e la sicurezza della Siria restano prioritarie per l’Iran, non ha parlato di appoggio militare ad Assad in caso di attacco, ma ha promesso l’invio di «cibo e medicine». C’è chi vi legge un’espressione delle divergenze in Iran sull’appoggio alla Siria (e i suoi costi), divergenze che Zarif ha fatto emergere lasciando che gli iraniani dibattessero sul suo account Facebook (alcuni hanno chiesto apertamente: «Cosa ci guadagniamo?»). Ma non significa che l’Iran sia pronto ad abbandonare l’alleato, se è vero come rivela il Wall Street Journal che il leader delle forze d’élite Quds dei Guardiani della rivoluzione Qassem Sulaimani avrebbe chiesto ad alleati sciiti di colpire l’ambasciata Usa di Bagdad in caso di intervento americano in Siria. Sulaimani (che non è su Twitter) ha detto apertamente che l’Iran difenderà la Siria «fino alla fine». In attesa della sostanza, i più critici osservano che il nuovo corso iraniano può anche essere una spada a doppio taglio per l’Occidente e per Israele: un Iran più facile da coinvolgere e più difficile da isolare.
Viviana Mazza

IL DIGIUNO - PEZZO DI VECCHI SUL CORRIERE DI STAMATTINA
CITTÀ DEL VATICANO — «Il primo digiuno è quello di non mangiare gli altri». Un grande teologo e biblista come il padre gesuita Silvano Fausti arriva subito all’essenziale. Milioni di persone si preparano ad aderire oggi alla giornata planetaria di «preghiera e digiuno» per la pace «in Siria, in Medio Oriente e nel mondo intero» che dalle 19 alle 23 avrà al centro la veglia in San Pietro e la meditazione del Papa. Bergoglio si è rivolto anche ai cristiani non cattolici, ai fedeli di altre religioni e ai non credenti, fioccano le adesioni da tutto il mondo perché «la pace è un bene che supera ogni barriera, un bene di tutta l’umanità» come ripeteva ieri il Pontefice attraverso il profilo Twitter @Pontifex: «Una catena di impegno per la pace unisca tutti gli uomini e le donne di buona volontà!». Ai responsabili di Sant’Egidio ieri ha confidato: «Non è una mia idea, me l’ha ispirata il Signore nella preghiera».
Non si tratta semplicemente di non mangiare né può esistere una casistica delle cose da fare. «Il digiuno è sempre simbolico, è una purificazione — spiega padre Fausti — i nostri cinque sensi ingurgitano tutto, si tratta di digerire e creare uno spazio di interiorità, di trovare in sé la propria libertà interiore, di non divorare ma entrare in una relazione corretta e libera con le cose e con gli altri: ciascuno decide in coscienza ciò da cui astenersi, le cose che lo rendono schiavo o con le quali rende schiavi gli altri...».
Un gesto forte, per la Chiesa, che dice tutta la volontà di trovare una «soluzione politica» e la preoccupazione per «ogni vana pretesa militare» (come scriveva Francesco a Putin e a tutto il G-20, «troppi interessi di parte» hanno impedito «l’inutile massacro cui stiamo assistendo») e un’escalation di guerra oltre la Siria. Una preoccupazione ripetuta ieri dall’arcivescovo Pietro Parolin, appena nominato dal Papa Segretario di Stato (entrerà in carica il 15 ottobre) ed esperto del Medio Oriente: «Sono in gioco l’equilibrio del mondo, la convivenza presente e futura di varie religioni e dei grandi gruppi etnici». Al settimanale della sua diocesi di Vicenza ha spiegato: «O andremo verso un mondo nel quale sapremo integrare le nostre differenze e farne occasione di crescita, o andremo verso la guerra totale». Lo dice anche il «ministro» degli Esteri Vaticano, l’arcivescovo Dominique Mamberti: «Se la violenza continua, non si avranno vincitori, ma solo sconfitti».
Anche un’autorità della Chiesa ortodossa come il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, ha raccolto l’appello del «fratello in Cristo, papa Francesco». Tra le altre, significativa l’adesione di Ahmad Badreddin Hassou, il Gran Mufti sunnita di Siria. Ciascuno decide in coscienza, al di là dalle appartenenze. Nel governo italiano, per dire, parteciperanno cattolici come il ministro della Difesa Mario Mauro e, in forma indiretta, una laica come il ministro degli Esteri Emma Bonino: «Aderisco alla iniziativa radicale», spiega, ovvero ai tre giorni di sciopero della fame voluti da Pannella «a sostegno del digiuno proposto da papa Francesco per la Siria».
Il panorama è vario, ci sono pure campioni dello sport come Federica Pellegrini. La Chiesa è mobilitata in tutto il mondo, un miliardo e duecento milioni di fedeli, dalle diocesi ai religiosi e alle 700 mila suore cui sono state chieste preghiere speciali. In San Pietro si comincerà rileggendo il testo dell’Angelus di domenica: «Guerra chiama guerra! Scoppi la pace! Mai più la guerra!». Le preghiere per la pace di quattro Papi — Pio XII, Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI — si alterneranno a letture bibliche e preghiere, da Isaia («Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri») al Te Deum .
Gian Guido Vecchi

RENZO PIANO DIGIUNA
Renzo Piano risponde al telefono, in una pausa del viaggio tra Atene e Parigi. Ha annunciato che il suo primo gesto politico da senatore a vita sarà aderire oggi al digiuno per la pace di papa Francesco.
Perché, senatore Piano?
«Guardi, io sono del settembre del 1937. Sono nato nella guerra. E’ scoppiata che avevo due anni, è finita che ne avevo quasi otto. La guerra mi ha sfiorato, l’ho vissuta da bambino protetto; ma quando la guerra entra tra le cose vissute, si cresce con il pacifismo. Lo hai dentro. Non è insegnato, ma innato. Poi l’ho coltivato con i miei incontri, con le persone che ho incrociato».
Quali persone?
«Fabrizio De André parlava il linguaggio della poesia e della musica: la guerra di Piero, Andrea “ucciso sui monti di Trento dalla mitraglia”. Fernanda Pivano veniva spesso a trovarmi, mi parlava del pacifismo americano, della sua amicizia con Gino Strada, del progetto per l’ospedale in Uganda. Quando ascolti tutte le voci, diventi un pacifista vero. E capisci che un pacifista parla sempre un linguaggio di pace. Non usa mai il linguaggio della violenza».
L’auspicio del Papa è senz’altro condivisibile. Ma in Siria la guerra c’è già. Si tratta di fermarla.
«Appunto: non fai la pace facendo la guerra. La guerra si combatte con la conoscenza. Parlarsi, confrontarsi, capirsi. Se questo non basta, ci sono le armi della diplomazia, delle misure economiche, dei servizi segreti, della politica. Ma con il tempo ho capito che il migliore antidoto alla guerra è il sapere, quindi la scienza. Per questo ho aderito a “Science for peace”, l’associazione di Umberto Veronesi. Non mi fido delle ideologie, tanto meno dell’orgoglio nazionale. Non mi fido nemmeno delle religioni. Mi viene in mente la frase di un vecchio film: “Quando un cattivo vuol far male, ma male davvero, lo fa in nome della religione”. Non è certo colpa delle varie confessioni, ma di chi le usa come uno strumento».
Allora perché aderire al digiuno indetto da un capo religioso?
«Questo è un caso un po’ speciale. Papa Francesco parla un linguaggio laico. Lui aggiungerà una preghiera. Noi digiuniamo e pensiamo. La mia adesione conta come quella di altri milioni di persone. Mi limito ad aggiungere una riflessione: la conoscenza è la radice del pacifismo. La scienza, che sia esplorazione lenta o lucida furia, è pur sempre l’unico modo per comprendersi, per confrontarsi, per stare insieme. In fondo, il pacifismo è strettamente connesso anche con il mio mestiere».
Con l’architettura?
«Sì. La pace è come una grande città. La pace è un’invenzione: non esiste in natura, come in natura non esiste la città. Le città sono luoghi di civiltà. C’è l’Islam delle città, dei fiumi, dei mari, dei porti, e c’è l’Islam del deserto. Allo stesso modo c’è la Svizzera delle città e quella delle montagne, c’è l’America delle metropoli e quella delle grandi distese dell’Ovest. Ovunque, la città è più avanti, più aperta, più civile. Ma una città, proprio come la pace, si costruisce pietra su pietra, in maniera lunga, ostinata. La città non si costruisce con la guerra, con la distruzione, ma con la stratificazione, con un’opera continua e metodica. Così è la pace. Questa è la ragione profonda per cui sono pacifista. Non è un moto romantico, “on the road”, hippy. Tutt’altro. E’ profondamente radicato, persino a livello di biografia, con un forte ancoraggio alla scienza».
Senatore Piano, in Siria però è stato varcato un limite senza ritorno. Un dittatore ha fatto strage del suo stesso popolo con i gas. Come può la comunità internazionale tollerare questo?
«Usare i gas contro i civili è orrido, spaventoso. Si deve assolutamente fare qualcosa. L’indifferenza di fronte al male è un crimine. Ma la soluzione non è lanciare altre bombe. Sento parlare di guerra lampo, di armi intelligenti, di bombardamenti chirurgici: sciocchezze. Cose che non esistono e non sono mai esistite. Consideriamo l’ignobile cinismo di chi usa scudi umani, e il rischio che il conflitto si allarghi. Non dico di non fare nulla, ma di farlo in un’altra maniera. Usiamo la diplomazia, quella ufficiale e quella segreta. Usiamo gli strumenti economici e finanziari di cui il mondo globale ci ha dotati. Impariamo a discernere, a usare l’intelligenza, a costruire la pace con lentezza e con metodo. Bobbio diceva che l’indifferenza è orribile, ma anche l’indipendenza è importante».
A proposito di indipendenza: Sergio Romano, difendendo la scelta di Napolitano sui senatori a vita, ha espresso l’auspicio che non partecipino al voto di fiducia ai governi. Lei che ne pensa?
«Sono troppo giovane, troppo matricola per risponderle. La prima volta che mi sono seduto al Senato ho capito quanto questo ruolo sia sentito, sia importante. Ci sono grandi temi che riguardano il nostro Paese e di cui non si discute abbastanza, potrei occuparmi di quelli. Le parole di Romano meritano una riflessione. Dire invece, come è stato fatto, che ci faremo usare, è una mancanza di rispetto. Significa non conoscere me, Claudio Abbado con cui sono amico da una vita, quella “bestiaccia” di Carlo Rubbia e nemmeno Elena Cattaneo. Pensare che personaggi arrivati a una certa età attraverso battaglie, se necessario anche scontri, ubbidientemente si mettano lì ed eseguano, è davvero offensivo. Non si preoccupi nessuno: non siamo marionette. Lasciateci la nostra coscienza: il Padreterno ce l’ha data, siamo arrivati a questo punto, ci hanno dato fiducia; non saremo mai pedine in mano a qualcuno. Se domani ad esempio si votasse l’ingresso dell’Italia in guerra, o l’acquisto di cacciabombardieri, io vado di corsa a votare no».

PROFUGHI IN ITALIA
L’Italia può accogliere fino a 16.000 profughi che dovessero arrivare nel nostro Paese per sfuggire alla guerra in Siria. Ad assicurarlo è il ministro dell’Interno Angelino Alfano che ieri ha convocato a Siracusa i prefetti siciliani. Secondo i dati aggiornati a ieri, dall’inizio dell’anno sono 6.920 gli stranieri approdati sulle coste siciliane. «Faremo un più celere esame delle domande di protezione internazionale rafforzando le commissioni territoriali - ha detto Alfano - e amplieremo il sistema Sprar, cioè della protezione dei richiedenti asilo con un potenziamento ulteriore che porterà a 16 mila il numero dei soggetti che possono essere accolti in ambito nazionale».

PAOLUCCI SU JP MORGAN
«Su basi puramente umanitarie, la tragedia siriana è surclassata da molti conflitti nei quali gli Stati Uniti si sono astenuti dal partecipare». A schierarsi, seppur non in maniera indiretta, contro l’intervento militare degli Usa nel conflitto, è Jp Morgan, una delle principali banche d’affari americane. In una nota inviata ai propri clienti nei giorni scorsi, la divisione di gestione degli investimenti della banca d’affari in maniera inconsueta, tanto per la forma quanto per la sostanza, prende le distanze dalla posizione espressa dell’amministrazione Obama nella crisi di Damasco.

Per motivare la propria posizione, l’analista Michael Cembalest costruisce un’analisi dove mette in fila un secolo di guerre civili, indicando per ciascuna il numero totale (approssimativo, presumibilmente) di morti e la percentuale di morti rispetto al totale della popolazione. E indicando per ciascuna se c’è stato un intervento diretto degli Usa, se non c’è stato, o se Washington si è limitata a fornire «assistenza, fornitura di armi, addestramento o evacuazione (di civili).

Il quadro è impressionante: si parte dalla guerra civile cinese del 1928: sei milioni di morti, pari all’1,2 per cento della popolazione, nessun tipo intervento. Il primo intervento, limitato all’appoggio a una delle parti, è quello nella guerra civile greca del 1946, quando esplode la guerra fredda. In totale, scrive Jp Morgan, gli interventi armati diretti degli Usa in guerre civili degli ultimi cento anni sono stati undici: Corea negli anni 50, Laos, Vietnam, Cambogia e Repubblica Dominicana negli anni 60, Libano negli anni 80, ex-Jugoslavia/Kosovo, Haiti, Somalia e Iraq negli anni 90 e da ultimo Libia nel 2011.
Il successo di questi interventi, dice l’analista, è peraltro «difficile da giudicare», anche se nei casi di Corea e Kosovo possono essere indicati come esempi di «esito positivo». Completamente trascurati conflitti come la prima guerra civile in Sudan, che nel 1955 fece 750 mila morti cancellando il 7,3% della popolazione. O in tempi più recenti il Ruanda, dove a partire dal 1990 ci furono un milione di morti, pari al 14% della popolazione (intervento limitato). O la seconda guerra civile congolese, che nel 1998 ha fatto 5,4 milioni di morti, pari al 12% della popolazione. Una delle più grandi e più ignorate tragedie del secolo passato, dal punto di vista umanitario, dove l’intervento statunitense è stato nullo. In fondo alla lista, fatta di 46 conflitti, c’è la Siria. Iniziato nel 2011, il conflitto avrebbe fatto finora secondo Jp Morgan 110 mila morti, pari ad «appena» (virgolettato nostro) lo 0,5% della popolazione. Pochi, sembra dire Jp Morgan.

IL DIGIUNO NEL PEZZO DELLA STAMPA DI STAMANI
«La Santa Sede non è equidistante. Le colpe non si cancellano con un colpo di spugna. Restiamo in contatto con il regime ma il giudizio sulle stragi compiute è già scritto dalla storia», assicurano in Segreteria di Stato citando il «modello-Baghdad». L’ambasciatore vaticano Fernando Filoni continuò fino all’ultimo a mediare con Saddam anche sotto le bombe americane. «A Damasco la Santa Sede ha un nunzio, Mario Zenari attraverso il quale avvengono le comunicazioni con il governo siriano», spiega il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi. Da chiese e conventi siriani arrivano segnalazioni sempre più allarmanti e la diplomazia pontificia tiene in piedi il dialogo con il regime per scongiurare un’escalation di violenza anticristiana. «In Medio Oriente sono in gioco l’equilibrio del mondo, la convivenza di religioni e gruppi etnici - evidenzia il neosegretario di Stato Pietro Parolin -. O integreremo le nostre differenze o andremo verso la guerra totale». E il ministro degli Esteri Dominique Mamberti ribadisce che «il conflitto ha già provocato troppe vittime e sofferenze e la situazione umanitaria ha acquisito dimensioni intollerabili».
In Curia cresce l’angoscia per i villaggi cristiani in mano ai jihadisti collegati ad Al Qaeda. Con le sigle «storiche» della rivolta esistono interlocutori affidabili e «canali di dialogo», come il cristiano George Sabra, leader del «Congresso nazionale». Invece con i mille rivoli dell’insurrezione islamista, più o meno fondamentalisti, i contatti sono pressoché nulli. «L’unico ad avere referenti al loro interno è padre Paolo Dall’Oglio», il gesuita rapito un mese fa. Alla tela diplomatica, si unisce oggi la veglia ecumenica: in piazza San Pietro anche siriani, ma con defezioni e dissensi nel fronte cattolico. Un pericolo incombe sul digiuno: l’equidistanza. Nelle intenzioni di Francesco la mobilitazione non è una «assoluzione» di Assad, un cedimento dettato dalla paura per la sorte delle comunità cristiane locali, un pacifismo «indistinto» che mette sullo stesso piano i raid Usa e l’uso delle armi chimiche contro i civili.
«Il Pontefice si preoccupa per la presenza dei cristiani, Assad è un dittatore però garantisce protezione mentre i ribelli minacciano le minoranze religiose - spiega il tradizionalista Roberto De Mattei, storico del cristianesimo -. Non può esserci una pace fondata sul dialogo islamocristiano che sacrifica la verità. Le guerre giuste sono quelle promosse per legittima difesa o per prevenire attacchi terroristici come in Afghanistan e in Iraq». Scettico verso il «Syria day» il sociologo Luca Diotallevi, organizzatore delle Settimane sociali. «Come cristiani dobbiamo regolare il conflitto per evitare che il debole soccomba evidenzia il professor Diotallevi -. Ma la forza militare va usata come strumento proporzionato e non può essere bandita a priori. Vedo il pericolo della demagogia. La Chiesa è pacificatrice e non pacifista: la costruzione della pace si serve anche della forza legittima». È il direttore del «Foglio», Giuliano Ferrara, «ateo devoto» impegnato nelle battaglie cattoliche «pro life» mette in guardia: «Si può digiunare contro il ritorno dei taleban in Afghanistan e della sharia, ma mi sembra il colmo dell’assurdo digiunare per paura della guerra giusta, quando la guerra civile è in corso, quando le armi chimiche ne esaltano il sapore umanamente tossico».
Ad avere dubbi sull’iniziativa di Francesco sono soprattutto i cattolici Usa, inclusi quelli (sia democratici sia repubblicani) con incarichi istituzionali. Trasversalmente favorevoli ai raid in Siria sono lo «speaker» del Congresso, il repubblicano John Boehner, e i vertici democratici Joe Biden, John Kerry, Nancy Pelosi. «Sulle azioni c’è un giudizio di Dio e della storia a cui non si può sfuggire», ha ricordato a Francesco ad Assad all’Angelus.
GIACOMO GALEAZZI