Tommaso Labate, Corriere della Sera 7/9/2013, 7 settembre 2013
DAGLI EX CINQUE STELLE AL GRUPPO TREMONTI, GLI APERTURISTI PER UN LETTA BIS
«Vede, la politica è fatta di fondamentali. E se i fondamentali sono al loro posto, di quello che succede in superficie ci interessa molto poco». Alle 4 di ieri pomeriggio, in una pausa dei lavori di Montecitorio, il deputato del Pd Guglielmo Vaccaro si concede una macedonia alla buvette. Per quanto sia poco conosciuto al grande pubblico, Vaccaro è uno degli uomini più vicini a Enrico Letta. «Si fidi di me», dice sfoderando un sorriso che vale più di mille parole, «adesso i fondamentali sono davvero al loro posto». È il piccolo segnale dietro cui si nasconde quella possibile «grande verità». La stessa che nelle ultime ore anche i ministri del Pdl hanno comunicato a Silvio Berlusconi. Dicendogli che sì, «se ce lo chiedi noi ci dimettiamo subito. Ma i numeri per un nuovo governo al Senato non li devono trovare. Ce li hanno già». E non sarebbero numeri ristretti se è vero che, sull’asse tra Palazzo Chigi e il Colle, sono tutti convinti che né Letta né Giorgio Napolitano vedrebbero con favore una nuova maggioranza che si reggesse sulla stampella dei quattro neosenatori a vita. Uno scenario che anche Gianni Letta avrebbe illustrato l’altro giorno al Cavaliere. Lo stesso che Renato Schifani, nell’intervista rilasciata due giorni fa a Radio anch’io, avrebbe adombrato parlando per la prima volta di un Pdl «pronto all’opposizione», altro che elezioni anticipate.
A Palazzo Madama, dove il conto alla rovescia verso la riunione della giunta per il Senato sembra correre molto più lentamente, adesso ci sono 321 senatori. Tolto il presidente che non vota, la cifra scende a 320 e il quorum per la maggioranza è fissato a 161. Se il Pdl provasse a staccare la spina, di fronte a un nuovo incarico Letta partirebbe da 138 voti sicuri. I 108 del Pd, i 20 di Scelta Civica e i 10 del gruppo «Per le autonomie», in cui ci sono i socialisti, i sudtirolesi del Svp. A questi andrebbero aggiunti, anche se i diretti interessati non confermerebbero prima dell’«ora X» neanche sotto tortura, i quattro ex Cinquestelle confluiti nel Gruppo misto: Fabiola Anitori, Paola De Pin, Adele Gambaro e Marino Mastrangeli.
Dai 142 del calcolo parziale, per arrivare al quorum ne mancano 19. E 10 sono i senatori eletti col centrodestra che siedono sui banchi «Grandi autonomie e libertà», il gruppo cuscinetto che sarebbe disposto in massa — o quasi — a evitare le elezioni. Tra questi, ci sarebbe anche Giulio Tremonti, che gli amici definiscono sinceramente preoccupato per la situazione di possibile instabilità dell’Italia sui mercati e osservatore attento rispetto a quella che considera la «vera emergenza», e cioè il lavoro che andrà fatto sulla legge di stabilità. E anche Paolo Naccarato, l’ex sottosegretario del governo Prodi che proprio Tremonti ha fatto eleggere nella sua «quota» nelle liste della Lega. È proprio quest’ultimo a dare le indicazioni sul luogo da cui spunteranno gli altri senatori della maggioranza virtuale. «Se dal travaglio del Movimento Cinquestelle scaturisce un nuovo gruppo al Senato» sussurrava giorni fa «d’incanto i falchi si afflosceranno, gli stabilizzatori faranno scacco al re e la maggioranza silenziosa sarà destinata ad ampliarsi». E non è l’unico sostenitore di questa tesi. Basti pensare che il vicepresidente della Camera Roberto Giachetti, confidandosi con alcuni colleghi renziani, avrebbe garantito che «almeno quindici senatori grillini si staccherebbero dal loro gruppo d’appartenenza per sostenere un nuovo esecutivo». La base di 138 (Pd, Scelta Civica, autonomisti), più i 4 ex grillini, più quasi tutto gruppo «Grandi autonomie e libertà» (sono 10), più i 15 potenziali dissidenti che seguirebbero «l’eretico» Luis Alberto Orellana lontano da Grillo e Casaleggio. E siamo già oltre la soglia di 160.
E non è tutto. La task force dei «governisti» che sta tessendo la tela del Senato avrebbe previsto anche un «margine di sicurezza». Che deriverebbe da quel «gruppone» di senatori che uscirebbero dal Pdl per sostenere un Letta bis. Tra questi ci sarebbe la pattuglia dei siciliani che fa capo al coordinatore isolano del Pdl Giuseppe Castiglione (Salvatore Torrisi, Bruno Mancuso, Marcello Gualdani), più si fanno i nomi di Pippo Pagano, Giuseppe Ruvolo e Francesco Scoma, anch’essi siciliani. Senza dimenticare i sospetti che si sono addensati sui campani A ntonio Milo, Pietro Langella e Ciro Falanga. Oltre che su Domenico Scilipoti, ovviamente.
Il cantiere del «Letta bis», insomma, sembra essere costruito per reggere anche senza i senatori a vita. E l’atmosfera si rasserena. Il socialista Enrico Buemi, che fa parte della giunta del Senato e che ieri si trova per caso alla Camera, incontra il bersaniano Nico Stumpo, che gli chiede di lunedì prossimo. «La situazione sarà più serena» giura il primo. «Per me» risponde il secondo «o si vota subito o le urne le rivediamo nel 2018». A pochi passi da loro, il dirigente del Pdl Ignazio Abrignani sussurra: «Basta che decidiamo. O si rompe o sosteniamo il governo. La nostra gente comincia a non capirci più nulla». E Giorgio Lainati, berlusconiano della primissima ora, per tutta risposta incensa il premier: «Ma l’avete visto Letta in tv dal G20? L’Italia non potrebbe permettersi di perdere un premier così bravo, giovane, che parla un fluent english vero e non improvvisato...».
Tommaso Labate