Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  settembre 06 Venerdì calendario

IL POETA, IL PREPOTENTE, LA SPIA ECCO LE «TRIBU’» DIETRO LE SBARRE

Il mare di Porto Azzurro, sul­l’isola d’Elba, sembra uno specchio in frantumi. All’ora dell’aperitivo i turisti lasciano i ri­flessi del sole e, sot­to il porticato del molo, cominciano a riflettere sul menù del giorno. La frittura di paran­za va via che è un piacere. Tra i tavoli con vista sugli yacht e una statua del dio Nettuno, c’è anche una piccola libreria; dalla vetri­na occhieggia il rita­glio ingiallito di un giornale con la paro­la «Galera». «Gale­ra» è il titolo di un «diario» unico nel suo genere: quello dell’ex comandan­te di reparto della casa di reclusione di Porto Azzurro. Lui si chiama Mario Palazzo e dal 1987 al 2003 ha vissuto «rinchiuso» nella fortezza dell’ex Por­to Longone, defini­ta «la Cayenna del Mediterraneo» per i numerosi condan­nati all’ergastolo e per l’estremo rigore che vigeva tra quelle mura medievali. Leggere «Galera» sot­to l’ombrellone stesi sulla sdraio non è facile: l’assoluto stato di li­bertà (fisica e mentale) con cui ti stai tuffando nel gorgo nero di quegli appunti carcerari, fa infat­ti a c­azzotti con lo stato di segrega­zione di cui sono intrisi i drammi narrati dal comandate Palazzo.
Un viaggio durato 40 anni nel mondo segreto della galera, a contatto con detenuti rei dei peg­giori reati; celle, quelle del carce­re dell’Elba, che condividevano la stessa sinistra fama dei peni­tenziari di Pianosa («l’isola del diavolo»), Ventotene («l’isola del dolore») e Napoli-Poggio Reale («il carcere della morte»). Da qui è transitata gran parte degli erga­stolani d’Italia, compresi i con­dannati dalla malagiustizia, co­me nel caso di Enzo Tortora, Sal­vatore e Sebastiano Gallo, Anto­nino Spanò, Salvatore Bo­nello e Rosario Mulè: tutti sbattuti den­tro e assolti do­po anni di ingiusta galera. Un libro che racconta la ce­lebre rivolta di Porto Azzurro ca­peggiata dal terrorista nero Ma­rio Tuti e l’arrivo nella sezione di massima sicurezza di Pianosa dei mandanti della strage giudici Falcone e Borsellino. Il coman­dante Palazzo, dalla sua torretta di guardia, ha sorvegliato perso­naggi come l’anarchico Bertoli e il ban­dito Mesina: di tutti ha annota­to tic e mania. Una precisio­ne da entomo­logo peniten­ziario che gli ha permesso di tracciare una mappa delle varie «specie» carce­rarie: dal detenuto tossicodipen­dente a quello corruttore; dal vio­lento allo scrittore; dal prepoten­te all’autolesionista; dall’insopportabile al depresso; dal confi­dente al poeta. Già, perché an­che tra cancelli e lucchetti posso­no nascere versi commuoventi. Scrive il detenuto Claudio Cra­tus: «Sebbene per la società sia soltanto un numero, io esisto! Chiudo gli occhi per non vedere, per tornare ai miei sogni...ma nel mio cuore scende come pietra la mia vita dannata». Gli fa eco il suo «collega» Antonino: «Qui,do­ve siamo come animali...Qui, in carcere, continuando a sperare». Appena ventenne Mario Pa­lazzo si arruola nel corpo degli Agenti di custodia (l’attuale Poli­zia Penitenziaria) e nel corso di quasi mezzo secolo di carriera si impone di coniugare il rispetto per la legalità con il senso di uma­nità. Le 243 pagine di «Galera» so­no la testimonianza diretta di questo sforzo a contat­to con galeotti di «raz­ze» diverse, abituati a scannarsi tra loro prima che, nel 1986, l’in­troduzione della Legge Gozzini restituisse un minimo di dignità an­che all’universo carcerario. «La Legge Gozzi­ni - racconta Palazzo ­ha salvato carceri, car­cerieri e carcerati da una giungla spietata di abusi e soprusi, dove inevitabilmente si fab­bricavano belve uma­ne di ogni genere e car­nefici di inaudita fero­cia pronti a uccidere per un nonnulla». Gli episodi narrati dall’ex comandante del carce­re di Porto Azzurro ­complice una prosa da «mattinale» di questu­ra - risultano a volte tragicomici. Come quan­do il detenuto violento, Guadagnolo Roberto, al momento della sen­tenza «seminò il pani­co nell’aula del tribuna­le, rompendo panche e offendendo verbal­mente il presidente». Annota Palazzo: «La re­azione del personale fu immediata, lo immobilizzarono impiegando la forza fisica, gli re­stituirono alcuni pugni che ave­vano ricevuti e lo ricoverarono in infermeria». Per non parlare poi di quel prepotente di Nikolin Pishkashi, albanese: «Pishkashi, spalleggiato dal cognato Cipo, si recava nelle celle di altri carcera­ti e chiedeva, educatamente, in prestito vino, sigarette, caffè e al­tro. Se la richiesta veniva esaudi­ta tutto andava bene, qualora ve­nisse rifiutata minacciavano e con prepotenza si prendevano lo stesso i generi che avevano ri­chiesto». Era la legge del carcere. L’unica davvero uguale per tutti.