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 2013  settembre 06 Venerdì calendario

L’ATTILA CHE ABBATTE IL MAGGIO FIORENTINO

C’era una volta il Mag­gio Musicale fiorenti­no. Concerti, balletti, cori, opere liriche, teatro, il fio­re­ all’occhiello di una città sim­bolo della cultura e dell’arte ita­liana. Il Maggio c’è ancora, a onor del vero, ma pieno di am­maccature e buchi di bilancio.
La gestione pubblica è un ca­pestro per le attività culturali, come dimostrano i conti peren­nemente in rosso degli enti liri­ci, carrozzoni ipersindacalizza­ti, templi non del bel canto ma del clientelismo, dove l’amici­zia del politico giusto fa sem­pre premio sul merito anche se si tratta di posti pubblici dove ­recita inascoltata la Costituzio­ne si dovrebbe entrare soltan­to per concorso.
Matteo Renzi, in qualità di sindaco, presiede il consiglio di amministrazione del Mag­gio. È il numero 1. Quando arri­vò a Palazzo Vecchio, nel 2009, ne conosceva bene lo stato boc­cheggiante delle finanze: da presidente della Provincia di Fi­renze era stato tra i suoi finan­ziatori. Secondo il suo stile in­tessuto di slogan e annunci a ef­fetto, Renzi screditò l’ente co­me uno «stipendificio». Non aveva torto. Come alla Scala e nelle altre fondazioni sparse per il Belpaese, al Maggio si in­cassa un’indennità anche nel respirare. Clausole integrati­ve, corsie preferenziali, veti sin­dacali zavorrano l’ente. E a pa­gare sono le casse pubbliche, cioè i contribuenti, compresi quanti preferiscono Jovanotti a Mozart o non hanno i soldi per permettersi di comprare i biglietti.
Che fa dunque Renzi il Ma­gnifico? Promette. Proclama. La parola d’ordine è «gestione manageriale» che risanerà i bilanci e tapperà i buchi. Ma ci vuole un anno (maggio 2010) perché scatti qualche provvedi­mento, cioè la nomina a sovrin­tendente di Francesca Colom­bo. Scelta «renziana», cioè poli­ticamente molto corretta: una donna, e in aggiunta giovane (37 anni). Ingegnere del Poli­tecnico di Milano, aveva lavora­to alla Scala all’archivio digita­le e al marketing; la sua carriera era decollata tre anni prima quando era diventata segreta­ria ge­nerale del festival musica­le MiTo presieduto dal finanzie­re Francesco Micheli, allora suo compagno. Al Maggio fio­rentino la rampante e ben inse­rita manager approdava come responsabile artistico-cultura­le dell’Expo 2015.
La mission della Colombo, per un compenso sui 300mila euro annui, era attrarre sul ca­poluogo toscano i finanzia­menti privati. «Voglio rassicu­rare che porteremo il Maggio in pareggio quest’anno come abbiamo fatto con Ataf e Firen­ze parcheggi», gonfiò il petto Renzi. Un’illusione. Il bilancio 2010 del Maggio si chiuse con un disavanzo di 8.358.042 euro contro un deficit previsto di 1,5 milioni. I problemi maggiori si ebbero proprio sul fronte dei finanziamenti, poiché sia lo Sta­to sia i privati avevano tagliato le sovvenzioni. Nel 2009 la per­dita era stata assai inferiore: «appena» 2.361.000 euro.
Ma le cose non sono andate meglio negli anni successivi. Nessuna inversione di tenden­za ha riportato il sereno nelle nebbie dei conti. Il 2011 del fe­stival fiorentino si è chiuso con un rosso di 3.473.428 euro e per il 2012 si stima un disavanzo an­cora sugli 8-9 milioni. Nei quat­tro anni da numero 1 del Mag­gio, Renzi ha accumulato perdi­te per oltre 20 milioni di euro. Gli incassi del botteghino supe­rano a malapena i 4 milioni; il resto delle entrate arriva da en­ti locali per circa 9 milioni e dal­lo stato per altri 17.
Da salvatrice della patria ca­nora, la sovrintendente Colombo diventa il capro espiatorio di una situazione precipitata con lei e Renzi. A fine gennaio 2013, in piena campagna eletto­rale per le politiche, il governo Monti decide il commissaria­mento del Maggio. Il consiglio di amministrazione viene sciol­to ed esautorato il sindaco-presidente. Che tuttavia, nono­stante la gestione fallimentare, riesce a piazzare un personag­gio a lui molto vicino. Il mini­stro dei Beni culturali, infatti, nomina commissario straordi­nario della fondazione il commercialista fiorentino France­sco Bianchi, fratello di Alberto Bianchi, avvocato del sindaco e suo uomo di fiducia alla presi­denza della Fondazione Big Bang, il polmone finanziario del sistema renziano.
Il primo atto di Bianchi è cac­ciare Francesca Colombo: è il sigillo sul naufragio del Maggio renziano. Lo choc in città è for­tissimo. La strada più percorri­bile sembra sia la liquidazione e la successiva ricostituzione della fondazione con meno per­sonale e costi inferiori. Perfino l’arcivescovo di Firenze, il car­dinale ruiniano Giuseppe Beto­ri, punta il dito contro la massa di sprechi: «Chiamo tutti a un’azione responsabile e con­corde - disse alla fine dello scor­so giugno - nel ricercare le vie migliori per dare futuro a questa espressione di cultura e di bellezza che tutti ci onora. An­ch’io sono il Maggio».
Renzi prende malissimo la rampogna cardinalizia. «Da Betori un attacco politico della Chiesa ruiniana», mugugna senza nessuna autocritica. L’ar­civescovo replica: «Mi preme il bene di Firenze». Il sindaco in affanno chiede aiuto al Corrie­re: in una lettera aperta getta ogni colpa sui «tagli del Fondo unico per lo spettacolo». Ma Renzi non era il paladino dei ri­sparmi pubblici e dello spirito imprenditoriale a scapito del­l’assistenzialismo?