Fabrizio d’Esposito, il Fatto Quotidiano 6/9/2013, 6 settembre 2013
8 SETTEMBRE 1943 L’ITALIA ARRESA
Sbigottiti, dal tramonto al buio, due militari americani vagano per Roma. Uno è il generale Maxwell Taylor, vicecomandante della 82esima divisione aviotrasportata. L’altro è il suo ufficiale addetto William Gardiner, colonnello d’aviazione ed ex governatore del Maine. Sette settembre. Martedì sera. Taylor e Gardiner sono arrivati a Gaeta, a bordo di una corvetta della Regia Marina italiana, la Ibis, poi il viaggio in un’auto scoperta fino alla Capitale. Sono diretti a Palazzo Caprara, in via XX Settembre, dove c’è la sede del comando del Corpo d’armata motocorazzato. Il tragitto finale, i due americani in uniforme, lo fanno nascosti, da clandestini, dentro un’ambulanza.
Taylor vuole parlare con Vittorio Ambrosio, capo di Stato maggiore generale, il comandante supremo. Ma Ambrosio non c’è. A sorpresa, la sera prima, è partito in treno per Torino. Poi è andato a Pinerolo, per vedere il figlio minore alla Scuola di applicazione di cavalleria. Taylor cerca allora l’inquietante Mario Roatta, capo di Stato maggiore del Regio Esercito. Roatta è stato l’ideatore dell’omicidio dei fratelli Rosselli, lo scrupoloso regista dell’intelligence fascista. A lui, il maresciallo Pietro Badoglio, presidente del Consiglio dal 25 luglio, ha affidato lo stato d’assedio e il mantenimento dell’ordine pubblico. Una circolare di Roatta prevede: “Poco sangue versato inizialmente risparmia fiumi di sangue in seguito”. Roatta però è irreperibile. Nessuno sa dov’è. Come sparito. A questo punto, Taylor, sorpreso e spazientito, chiede del generale Giacomo Carboni, capo del Sim, il Servizio informazioni militari. Nemmeno lui c’è. Eppure sono tutti al corrente, a partire da Badoglio, della missione cruciale dei due americani: Taylor deve gestire l’operazione Giant 2, l’aviolancio della 82esima divisione su Roma, per proteggerla dall’occupazione tedesca.
Il tre settembre, a Cassibile, in provincia di Siracusa, è stato concluso in gran segreto l’armistizio con gli anglo-americani. In una tenda tra gli ulivi. A firmare, per l’Italia, è stato il generale Giuseppe Castellano, emissario di Ambrosio. Per gli Alleati, Walter Bedell Smith, per delega di Dwight David Eisenhower. Il generale “Ike” Eisenhower è il comandante delle forze Alleate nel Mediterraneo. Dopo la firma, nel pomeriggio del tre settembre alle 17 e 15, esce dalla tenda, stacca un rametto da un ulivo e lo agita in segno di pace. Poi offre whisky a tutti, ma senza brindare, e torna ad Algeri, nel suo quartier generale. L’operazione Giant 2 fa parte degli accordi. Deve scattare dopo l’annuncio dell’armistizio. A Palazzo Caprara, Taylor e Gardiner trovano solamente il maggiore Luigi Marchesi, insieme con Castellano a Cassibile, e il colonnello Salvi, capo di Stato maggiore di Carboni. Gli americani devono verificare i tre aeroporti scelti per l’aviosbarco. Urbe, Centocelle, Guidonia. Sono ormai le nove di sera di martedì sette. Per tutta risposta, i due militari vengono invitati a cena. Si siedono a tavola. In quattro. Taylor e Gardiner, Marchesi e Salvi. Una scena surreale. Il menu è completo: consommè, pollo arrosto, scaloppine, verdure, frittelline dolci, vini d’annata. Verso le undici, Taylor esplode: “Basta con il vino, vogliamo parlare subito con un comandante responsabile”. Finalmente, compare qualcuno “responsabile”. È Carboni, il capo del Sim. Taylor gli spiega i motivi della sua missione: “Domani pomeriggio c’è l’annuncio dell’armistizio, io devo preparare l’operazione Giant 2 prevista tra 24 ore”. Carboni storce il viso in una smorfia di meraviglia: “Ma come, l’armistizio non sarà annunciato il giorno 12?”. Taylor, più meravigliato di lui: “Il 12? No è per domani alle 18 e 30”. Ha inizio un’altra tragicommedia grottesca, dopo quella delle confuse trattative condotte da Castellano, e non solo da lui, per tutto il mese di agosto. L’accordo raggiunto non è altro che una resa incondizionata, divisa in due parti. Un documento generico di dodici clausole, chiamato l’armistizio "corto", che rimanda a una successiva e definitiva stesura, l’armistizio "lungo". C’è un promemoria allegato dagli Alleati: la dichiarazione di Quebec, che promette un’attenuazione delle clausole in base al contributo italiano, popolo e forze armate, contro i nazisti.
"Un tremendo pasticcio"
Carboni scarica tutto proprio su Castellano. Prende una cartina e dice: “Quell’uomo (Castellano, ndr) ci ha combinato un brutto guaio, ha affermato che l’Italia è in grado di far fronte da sola alle truppe tedesche. Guardi il nostro schieramento, noi non possiamo resistere più di sei ore alle truppe tedesche, l’armistizio deve essere rinviato”. Nella stanza c’è anche il tenente Galvano Lanza di Trabia, che fa un po’ da interprete. La confusione è anche linguistica. Italiano, francese, inglese. Lanza di Trabia è del clan di Roatta e Carboni, avversario di quello di Ambrosio e Castellano. Traduce l’ultima frase di Carboni. “L’armistizio deve essere rinviato”. Taylor realizza che di fronte ha un pazzo. Il generale americano sa che non ci può essere alcun rinvio. La Quinta armata è già in navigazione per Salerno. Quindici convogli: 169 mila uomini, 20 mila mezzi motorizzati, 600 carri armati, 1.800 pezzi di artiglieria. Impossibile fermare tutto. Si mette le mani in testa e mormora a Gardiner: “It’s an awful jam” (È un pasticcio tremendo). Taylor rialza il capo, diventa rosso in viso e grida: “Portatemi da Badoglio”. Si tenta di avvisare il maresciallo per telefono. A Palazzo Caprara, trafelato, arriva Francesco Rossi, vice di Ambrosio. Carboni lo informa. Rossi chiede: “Devo venire anche io da Badoglio?”. Il capo del Sim risponde: “È inutile, tutto aggiustato, andiamo da Badoglio per il telegramma di proroga”.
“I tedeschi mi tagliano la testa”
È già quasi mercoledì otto settembre. Manca pochissimo alle ventiquattro. Nella notte di Roma, Carboni, Lanza di Trabia, Taylor e Gardiner salgono su un’auto. Guida Carboni. Direzione via Bruxelles, ai Parioli. Badoglio abita in una villa a quattro piani. Dono nazionale dopo la conquista dell’Etiopia. Il capo del governo si sveglia. Si riveste. Con lui c’è Carboni. Gli americani aspettano quindici minuti. Badoglio li affronta a mezzanotte e un quarto. È sulla linea del rinvio. Taylor minaccia: “Se non annuncerete l’armistizio noi bombarderemo e distruggeremo Roma”. Il maresciallo si lamenta: “Perché volete bombardare la capitale di un Paese che sta cercando di aiutarvi? Perché non bombardate i nodi ferroviari e i valichi a nord di Roma attraverso i quali i tedeschi fanno passare i loro rifornimenti?”. Ma la priorità di Badoglio è soprattutto una: prendere tempo per mettere in salvo se stesso e la famiglia reale. Davanti a Taylor, si passa la mano alla gola e dice: “Se i tedeschi mi prendono mi tagliano la testa”. Poi chiede al generale americano di spiegare la situazione a Eisenhower. Sempre più sbigottito, Taylor capisce che l’operazione Giant 2 è troppo rischiosa e spedisce un radiomessaggio per avere istruzioni. Anche Badoglio detta un telegramma a Carboni destinato al comandante delle forze Alleate nel Mediterraneo: “Dati cambiamenti et precipitare situazione et esistenza forze tedesche nella zona di Roma non è più possibile accettare armistizio immediato. Operazione Giant 2 non è possibile la notte dell’8 settembre perché io non ho forze sufficienti per garantire gli aeroporti”. Sono le due di notte. I due radiogrammi vengono affidati al maggiore Marchesi per la trasmissione cifrata al comando degli Alleati, ad Algeri.
“L’Italia resta con Hitler”
Alle dieci di mattina, con quattro ore di ritardo, alla stazione Termini di Roma arriva il treno da Torino. Sopra c’è Ambrosio, capo di Stato maggiore generale. Badoglio, che ha trascorso la notte senza dormire, ha già parlato con Roatta e hanno deciso di spedire un generale da Eisenhower. Da Algeri si attende la conferma del rinvio. Ambrosio, informato, si arrabbia con Carboni per le menzogne dette a Taylor: “Ci sono carburante e munizioni in abbondanza”. I colloqui sono frenetici, ovviamente confusi. Tutte le informazioni restano nella catena di comando italiana. Badoglio , Ambrosio, Roatta, Carboni. I quattro non allertano nessuno. Sperano solo nel rinvio e pensano all’organizzazione della fuga da Roma, per evitare la temuta vendetta nazista. Il re, al solito, si mantiene ai margini. A mezzogiorno, nella sua residenza di villa Savoia, riceve l’incaricato di Hitler, Rudolf Rahn. Vittorio Emanuele III è cordiale e loquace. Rassicura Rahn: “Dica al Führer che l’Italia non capitolerà mai. È legata alla Germania per la vita e per la morte”. Rahn resta sospettoso, fa domande precise. Il re tira in ballo Badoglio: “È un vecchio onorato soldato alle cui assicurazioni bisogna prestare fede”. Anche il re vuole soltanto scappare. Ha già trasferito i gioielli della Corona e quaranta carri merci con quadri, sculture, vasi preziosi, tappeti e argenteria sono arrivati da giorni in Svizzera, al sicuro. Gli ufficiali di casa Savoia sono stati già richiamati. Il primo a ritirarsi è stato il principe ereditario Umberto, comandante delle armate del Sud. Le spie del Sim sono in attesa di captare le musiche convenzionali stabilite per l’annuncio dell’armistizio. Giuseppe Verdi. Ma non vanno in onda nell’orario deciso, tra le 10 e le 12. A Roma si diffonde l’illusione del rinvio. Caos, improvvisazione, doppiogiochismo. Il governo Badoglio è in carica da quarantacinque giorni, dalla caduta di Mussolini nel Gran Consiglio del fascismo.
Fuga di notizie
Poco dopo l’incontro tra il re e l’inviato di Hitler, passato mezzogiorno, sul cielo di Frascati, alle porte di Roma, volano 130 fortezze volanti B-17 americane, che scaricano quattro tonnellate di bombe. A Frascati c’è il comando del feldmaresciallo Albert Kesselring. Hitler ha diviso a metà, tra lui e Rommel, la responsabilità operativa in Italia. Kesselring al centro-sud. Rommel al nord. Dalla fine di agosto, le forze della Wehrmacht sul nostro territorio sono raddoppiate: 17 divisioni più altre quattro in arrivo dalla frontiera orientale, due brigate, altri 150 mila soldati “indivisionati”. In caso di “tradimento”, la direttiva impartita è quella di disarmare l’esercito italiano. Un milione di uomini entro i confini, altrettanti fuori. Il bombardamento su Frascati è massiccio ma non danneggia il quartier generale nazista. È la conferma, però, che gli Alleati annunceranno l’armistizio a ore. Alle quindici viene avvistata la flotta anglo-americana sulla rotta per Salerno. Nel pomeriggio, l’agenzia Reuters trasmette la notizia della “capitolazione” italiana. Una fuga di informazioni a New York. Così dice Roatta al telefono al solito Rahn, che l’ha ascoltata per radio. “Questa comunicazione di New York è una sfacciata menzogna della propaganda inglese, che io devo respingere con indignazione”. Al Quirinale viene convocato per le 18 un Consiglio della Corona.
L’ultimatum rabbioso di Ike
Nel pomeriggio viene ricevuta a Roma anche la risposta di Eisenhower al radiomessaggio di Badoglio della notte precedente. Il generale americano è infuriato. Il suo è un ultimatum in tre parti: "Parte I: io intendo radiodiffondere l’esistenza dell’armistizio all’ora originariamente stabilita. Oggi è il giorno X. Se voi o qualsiasi parte delle vostre forze armate mancate alla cooperazione come precedentemente concordata, io renderò pubblica al mondo l’intera registrazione di questo affare. Parte II: io non accetto il vostro messaggio che posticipa l’armistizio. Il vostro rappresentante accreditato ha firmato un accordo con me e la sola speranza dell’Italia sta nella vostra osservanza di quell’accordo. Voi avete truppe sufficienti vicino a Roma per garantire la temporanea sicurezza della città, ma io ho bisogno di esaurienti informazioni in base alle quali si possa preparare l’operazione aviotrasportata. Mandate subito il generale Taylor a Biserta in aereo e notificate in anticipo l’arrivo e la rotta dell’apparecchio. Parte III: i piani erano stati fatti nella persuasione che voi agiste in buona fede e noi siamo pronti a portare avanti le operazioni militari su queste basi. Ogni deficienza da parte vostra nell’assolvere tutti gli obblighi dell’accordo sottoscritto avrà le più gravi conseguenze per il vostro Paese. Nessuna futura azione vostra potrà allora ristabilire alcuna fiducia nella vostra buona fede, e conseguentemente ne seguirebbe la dissoluzione del vostro governo e della vostra nazione”.
Le 18 e 30, l’ora X
Alle diciotto, nella sala del Don Chisciotte al Quirinale, il re apre il consiglio della Corona: “Come lor signori sanno gli anglo-americani hanno deciso di anticipare di quattro giorni la data dell’armistizio”. A interrompere Vittorio Emanuele è l’ammiraglio Raffaele De Courten, ministro della Marina: “Veramente non ne so niente”. Il re, stizzito, si rivolge a Badoglio e dice: “Metta al corrente i signori”. Gli altri presenti sono: Pietro Acquarone, ministro della Real Casa; Paolo Puntoni, primo aiutante di campo del re; Raffaele Guariglia, titolare degli Esteri; Renato Sandalli, responsabile dell’Aeronautica; Antonio Sorice, ministro della Guerra; i generali Ambrosio e Carboni e due ufficiali che hanno partecipato alle trattative di Castellano, Marchesi e Giacomo Zanussi. Roatta è assente. È andato a Frascati per incontrare il capo di Stato maggiore di Kesselring, Siegfrid Westphal. Il vice di Ambrosio, Rossi, è invece partito per Biserta con Taylor e Gardiner. Badoglio non raccoglie l’invito del re. A sua volta, chiede ad Ambrosio di parlare e spiegare la situazione. Il capo di Stato maggiore generale è notarile: “Su di noi sovrasta una grave sventura, gli anglo-americani stanno per annunciare la capitolazione dell’Italia, cosa che non sarebbe dovuta accadere fino al giorno 12. Dobbiamo quindi decidere sul da farsi”. In realtà, quella del 12, è un pura illazione di Castellano, ipotesi elaborata in base alle trattative. A lui, gli Alleati non hanno rivelato la data dell’otto, già stabilita. Ambrosio finisce e tocca a Sandalli, ministro dell’Aeronautica, svelare la strategia del clan di Roatta e Carboni: disconoscere Badoglio e respingere l’armistizio. Guariglia si allinea. Sorice opta per un rinvio. Lo stesso Carboni propone di uscire allo scoperto e di dichiarare che la guerra prosegue al fianco della Germania. Si delinea una maggioranza anti-badogliana. Mentre Carboni parla, Marchesi esce dalla sala Don Chisciotte. Una telefonata. Lo avvertono che Eisenhower è stato puntuale. L’annuncio registrato è stato dato alle 18 e 30. Radio Algeri: "Le forze armate del governo italiano si sono arrese incondizionatamente. Come comandante in capo alleato ho accordato un armistizio militare i cui termini sono stati approvati dai governi del Regno Unito, degli Stati Uniti d’America e dell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche. Il governo italiano ha accettato questi termini senza riserve. Tutti gli italiani che ora agiranno per contribuire a cacciare l’aggressore tedesco fuori dal territorio italiano avranno l’assistenza e l’aiuto delle Nazioni Unite”. Marchesi rientra alla riunione, interrompe il capo del Sim e spiega che c’è stato l’annuncio dell’armistizio. Ricorda anche le minacce dell’ultimatum di Eisenhower, qualora l’accordo dovesse essere respinto. Carboni, come se nulla fosse, vuole riprendere il suo intervento. Ma il re lo mette a tacere e costretto dice: “Allora non c’è più dubbio”. La riunione finisce alle 19. Ora tocca a Badoglio. Uno studio dell’Eiar è già pronto per lui.
Il disco di Badoglio, alle 19 e 45
Badoglio ancora non è arrivato all’Eiar, quando Guariglia torna a Palazzo Chigi, sede del ministero degli Esteri, e trova Rahn, l’emissario di Hitler. Gli dice: “La sua visita è quanto mai opportuna. Ho l’onore di informarla che il governo italiano ha firmato un armistizio con gli Alleati”. Rahn obietta: “Ma questo è tradimento”. Alle 19 e 30, Badoglio è nello studio O dell’Eiar. C’è lo speaker principale del giornale radio, Giovan Battista Arista, che fa un brevissima introduzione. Badoglio indossa un abito grigio leggero. Fa caldo. Tiene il cappello floscio sulle ginocchia. Legge un testo dattiloscritto: "Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno a eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza”. Sono le 19 e 42. Il messaggio inciso su disco viene ripetuto ogni cinque minuti. Nelle strade si esulta. A Roma, a Milano, a Napoli, ovunque c’è una radio.
Via da Roma
Alle venti, il comando della Wehrmacht allerta per telefono tutte le postazioni sul territorio italiano. Parola convenzionale. “Achse”. “Disarmo a sorpresa, con ogni mezzo e senza il minimo scrupolo, dell’esercito italiano”. Badoglio, la famiglia reale, i generali si ritrovano tutti al ministero della Guerra, in via XX Settembre. Il maresciallo affida l’interim del governo a Umberto Ricci, ministro dell’Interno. Si organizza la fuga, senza pensare ai due milioni di soldati, a chi già combatte contro i tedeschi per le strade. La regina Elena ha un problema. Ha paura dell’aereo. La piccola carovana parte che è l’alba del 9 settembre, alle 5 e 10. La Tiburtina, poi Pescara. Di là in nave per Brindisi. In Abruzzo c’è un prigioniero “dimenticato”, in un albergo sul Gran Sasso. È Benito Mussolini.