Annalisa D’Aprile, il Venerdì 6/9/2013, 6 settembre 2013
MASCHI, FEMMINE E ALTRI
ROMA. Sono passate molte ore dal parto. Papà e mamma hanno visto la loro creatura appena nata ingoiata dalle porte basculanti, sparita in braccio all’infermiera per le visite di rito. Nessuno però torna per dire: «È tutto a posto, sta bene». Il loro momento di felicità vacilla. Poi, finalmente, i medici si pronunciano: «C’è qualcosa che non va agli organi genitali, non sappiamo dirvi se sia maschio o femmina». I neogenitori si guardano disorientati. «Ma nelle ecografie era femmina» sussurra lei. E dopo un po’: «E adesso? Che nome scegliamo?». Questa è la storia di Alessia. A cui fa da contraltare quella di Paola. Storie simili a quelle dei tanti bambini che nascono con una sessualità incerta.
Alla fine i medici dicono che Alessia è «femmina», ma la decisione arriva al limite dei 10 giorni consentiti dalla legge per registrare una nascita. Femmina, anche se il cariotipo (una sorta di mappa del patrimonio cromosomico) dice che Alessia è un XY, quindi un maschio. Femmina «perché» spiega ai genitori il primario dell’ospedale di una città del Sud «al momento dell’operazione sarà più facile darle un’identità femminile». Ma il calvario è solo all’inizio.
46 XY Dsd è il nome tecnico dell’anomalia della differenziazione sessuale con cui è nata Alessia, dove Dsd sta per disorder of sex development (disturbo dello sviluppo sessuale). «In passato si chiamava erroneamente pseudo ermafroditismo» spiega Giacinto Marrocco, chirurgo del San Camillo Forlanini, dove un’équipe specializzata effettua interventi terapeutici sui bambini con disturbi della differenziazione sessuale. «Ora» continua «è più corretto dire che si tratta di bambini che nascono con un patrimonio cromosomico maschile, ma con scarsa virilizzazione dei genitali esterni». Nascere con un disturbo della differenziazione sessuale capita a un bambino su 4-5 mila: gli organi genitali non sono ben sviluppati, il loro aspetto è ambiguo e il sesso va individuato attraverso altri sistemi, come indagini cromosomiche e esami ormonali. Alla fine di un complesso incastro di risultati, si ha il quadro del vero sesso del bambino che in alcuni casi va operato, meglio se nei primi anni di vita, per adeguare i genitali interni ed esterni al sesso di attribuzione.
I genitori di Alessia vogliono una parola chiara e definitiva sulla sessualità della loro bambina, così cominciano un pellegrinaggio fra gli ospedali del Nord. Un quantità infinita di esami, visite, analisi. «I medici non capivano se fosse maschietto o femminuccia» racconta il Papà. «Non aveva i testicoli, ma nemmeno la vagina, dalle risonanze magnetiche non risultava niente di maschile, ma nemmeno di femminile. C’era soltanto questo clitoride ipertrofico e aveva l’uretra. Faceva la pipì come le bambine».
Il tempo passava e intanto «per noi, e per tutti, lei era Alessia. I suoi vestitini erano da femmina, e così i giocattoli e la stanza». Il peregrinare dei genitori li porta alla fine a Roma, al San Camillo, dove negli ultimi anni sono stati effettuati oltre 350 interventi su bambini, la maggior parte per anomalie a carico dell’apparato genitale. Per i primi due anni e mezzo di vita, Alessia ha avuto un nome declinato al femminile e un «sesso di allevamento» – come lo definiscono i medici – femminile. Ma l’iter diagnostico conferma altro: prevale la componente maschile, bisogna operare.
Secondo dati non ufficiali, al San Camillo l’incidenza di anomalie alla nascita sarebbe in crescita, almeno del 15 per cento negli ultimi cinque anni. Centinaia i casi arrivati in questo periodo, conferma il direttore generale Aldo Morrone, precisando che «l’ospedale si occupa anche dei disturbi di identità di genere degli adulti, che nulla hanno a che vedere con i Dsd dei neonati». Parte dell’aumento rispetto al passato è certamente dovuto a una maggiore consapevolezza dei genitori che cercano una soluzione al problema, trovandola in strutture specializzate. Al San Camillo (dove il 28 settembre si terrà un convegno con tutti gli specialisti che in Italia si occupano di Dsd) lavora uno staff composto da chirurgo, psicologo, endocrinologo e genetista, ma anche al Regina Margherita di Torino, al Policlinico Maggiore e alla clinica Mangiagalli di Milano e al Secondo Policlinico di Napoli gestiscono da tempo questi disturbi.
L’incremento dei casi, dice Marrocco, è dovuto anche all’ingestione, attraverso gli alimenti, di sostanze ad attività simil-ormonale che alterano la normale produzione di ormoni sessuali. «I contaminanti endocrini» spiega Marrocco «svolgono un’azione antiandrogena, quindi un’attività simile a quella estrogenica». È come «se ci alimentassimo con sostanze a base di ormoni femminili» aggiunge il chirurgo, sottolineando che questo spiega non solo l’aumento di neonati colpiti dai disturbi della differenziazione sessuale, ma anche la diminuzione della fertilità maschile e l’incremento di tumori ai testicoli.
La conferma è anche in uno studio condotto dal Niehs (l’agenzia di stato americana che si occupa di salute ambientale), secondo cui le molecole chimiche che provocano alterazioni del sistema endocrino sono contenute nei pesticidi, nei cosmetici (sotto forma di «parabeni»), nella maggior parte dei contenitori di plastica per alimenti, nelle lattine delle bibite, nelle bottiglie della minerale (sotto forma di «bisfenolo»). Il Nihes sottolinea che «l’esposizione a questi agenti chimici causa anomalie negli organi riproduttivi maschili e femminili, nonché pubertà e menopausa precoce». Le autorità europee e internazionali hanno fissato limiti di legge per la presenza di queste sostanze nei vari prodotti, ma è difficile sapere se e quanti escano dai parametri.
Ma torniamo ad Alessia. Dopo quasi tre anni e due operazioni è diventata Alessio, e oggi ha 7 anni. Il suo percorso però non è finito e durerà ancora a lungo. Ed è soprattutto psicologico: oltre a tutto il resto, la famiglia ha dovuto affrontare anche la fatica di dover spiegare a parenti e amici che la bambina è diventata un bambino. «L’affetto è sempre lo stesso» dice il padre «ma è difficile non vivere la situazione come un problema. Abbiamo messo via le cose femminili, tolto le foto... Per mia moglie è stato un dramma». Un dramma che vivono «più genitori di quelli che ci si immagina» insiste il Papà. Ed è la pubertà il banco di prova per le équipe che hanno in cura questi casi. Perché nell’attribuzione del sesso, una percentuale seppure minima di errore esiste.
Alessio, che di quei primi anni da bambina sembra non conservare ricordi, ha tratti gentili, ma il suo aspetto è senza dubbio quello di un maschio. Solo, ogni tanto, gioca a truccarsi e indossa le scarpe della mamma. «Non sappiamo se sia l’espressione della sua vena comica» dice sorridendo il Papà «o se significhi altro». A spiegare l’altro è Marrocco: «Noi medici possiamo studiare la biologia, la genetica, la funzione degli organi genitali, ma una cosa non possiamo sapere: la futura identità sessuale dell’individuo. Sulla quale influisce anche il contesto sociale». Cioè il cosiddetto sesso di allevamento, quello che ha condizionato la vita di Paola.
Nata 20 anni fa con un’ambiguità sessuale che i suoi genitori non hanno mai affrontato, Paola è cresciuta da bambina. Fino a quando la pubertà le ha portato muscoli, vocione e peli al posto di seno e mestruazioni. Giochi, vestiti, capelli lunghi eccetera: fino ad allora era stata allevata da femmina, nonostante il suo aspetto da maschiaccio. E infatti Paola è un XY, un maschio senza dubbio. Nel suo caso l’intervento doveva solo «portar fuori» gli organi genitali rimasti imprigionati dentro. Ma Paola ormai si sentiva una femmina, attratta dai ragazzi e convinta di appartenere al mondo femminile. E ha scelto di essere una donna; si è operata e dovrà prendere ormoni femminili per sempre. Ed è felice così.
Annalisa D’Aprile