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 2013  settembre 06 Venerdì calendario

LO SLEGATO

[Flavio Tosi] -
Ahi, politica d’Italia, dove regnano confusione e psicodrammi, e dove si ha la netta sensazione di essere ormai ad un palmo della catastrofe. Se a sinistra prevale il mal di pancia, a destra per il dopo Berlusconi sono un po’ tutti sull’orlo di una crisi di nervi. Tutti, tranne il volitivo sindaco leghista di Verona. Già. Giusto un mese fa alla vigilia di Ferragosto, lo scaligero Flavio Tosi osa dire due cose assai ragionevoli e condivisibili, e forse proprio per questo ha scatenato il putiferio: 1) bisogna rilanciare il centrodestra dal basso; 2) occorre che il centrodestra vada oltre e per farlo si devono organizzare in tempi brevi le primarie. Anzi, ha aggiunto, io mi candido: ho 44 anni, non sono figlio della partitocrazia, come sindaco so cosa pensa e vuole la gente.
L’idea è piaciuta subito all’iperattiva Giorgia Meloni, ex ministro della Giustizia, pure ex An, ex Pdl, attuale capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera. Perché non provarci in tandem? Così, giusto sabato 14 settembre, in occasione della sedicesima edizione di Atreju (la festa di fine estate dei giovani di destra che si svolge a Roma), la Meloni e Tosi ne parleranno con Raffaele Fitto, ex governatore della Regione Puglia. A tirare le fila del dibattito (ore 18 e 30) ci sarà Marco Perissa, responsabile giovanile di Fratelli d’Italia. Tanto per capirci, l’anno scorso c’erano Alfano e Berlusconi, il segretario del Pdl e il suo capo...
Il messaggio di Tosi è lacerante, un inno a coloro che vogliono resettare il ponte di comando del centrodestra.
Sindaco, davvero si vede nei panni del nuovo comandante della coalizione di centrodestra?
«Le spiego subito perché. Parto dal centrosinistra. Che vinca alle primarie Letta o che vinca Renzi, una cosa è certa: nel Pd il ricambio generazionale della leadership è comunque avvenuto. Nel centrodestra, invece, Berlusconi viaggia ormai verso gli ottanta anni e la sua corte è da vent’anni che non cambia. Un’anomalia questa durata, un fatto singolare. C’è chi non vuole mollare la sua rendita di posizione. Una situazione del genere non trova pari in nessun Paese del mondo occidentale. È una lenta dannosa agonìa. La Seconda Repubblica non ha portato grandi risultati, in questi vent’anni. Ha portato molto di più la Prima Repubblica. Ha creato l’Italia, l’ha fatta rinascere. La Seconda Repubblica doveva cambiare il Paese, non l’ha fatto. La colpa è la partitocrazia. Ora stiamo assistendo ai colpi di coda di un sistema che sta morendo. Non si può più tergiversare. Siccome all’interno del centrodestra italiano si deve arrivare ad un ricambio, non vedo perché non possa essere io a guidarlo».
Per dar sostanza alla stilettata: «E poi Verona è la città più grande amministrata dal centrodestra». Sottinteso: sono l’unico che non ha perso le elezioni. Vorrà pur dire qualcosa?
Lo stile politico di Tosi, ospite abituale dei talk show televisivi, è noto: identità veneto-padana senza però esagerare; parole chiare e frasi che sembrano dettate dal sano buon senso di una volta; populismo ragionevole, senza gli estremismi vergognosi alla Calderoli o i giudizi sprezzanti sulla ministra Kyenge di certi esponenti della Lega, dai quali Tosi però piglia accorta distanza. D’altra parte Tosi si definisce moderato: «Se vuol dire non estremista, allora io sono moderato, in realtà la gente vuole concretezza, e io sono un moderato che bada ad essere concreto». Nel corso di questa intervista Tosi ripeterà diciotto volte concreto e concretezza. Deve essere il suo mantra.
«È invece frutto della mia esperienza di sindaco. L’anima leghista, quella all’origine che parlava di federalismo e di scelte concrete. Vede, io sono partito concreto e sono rimasto concreto. Uno concreto, nella Lega, è rimasto Roberto Maroni. Mentre c’è chi ha più volte deviato dal percorso confondendo le idee agli elettori...».
Si riferisce a Bossi, che di recente ha polemizzato vivacemente con lei?
«Non lo escludo...».
Si trova in una posizione un po’ scomoda, sotto il tiro incrociato del fuoco amico di una parte della Lega e le sventagliate di chi, nel Pdl o nella destra, diffida di lei, e della sua candidatura.
«C’è chi ha paura delle primarie. Di contarsi, cioè. Roberto Formigoni, per esempio, ha scritto su Twitter che non andrò oltre il 4 per cento. Se ritiene che io non possa ottenere di più, allora dovrebbe essere contento...».
Come mai tanta ostilità?
«Ci sono reazioni stizzose e reazioni serie. Quando dico che il centrodestra deve andare oltre, penso che debba andare oltre la questione ideologica. Oggi un cittadino preferisce votare chi conosce perché valuta ciò che fa e cosa ha fatto: non a caso, spesso e volentieri il voto è trasversale, va appunto oltre gli schieramenti dei partiti».
Tosi lo sa bene: nel marzo del 2011 un’indagine di Monitor Città ha stabilito che era il sindaco più amato d’Italia (68,8 per cento dei consensi) a pari merito con lo scalpitante – guarda la coincidenza – Matteo Renzi, sindaco di Firenze.
Dicono che Tosi sia il Renzi del centrodestra: addirittura Galan, l’ex governatore veneto, sostiene che lei potrebbe schierarsi con lui.
«Tra noi c’è un’indubbia affinità: siamo entrambi sindaci e questo ti porta ad avere più concretezza e meno ideologia per affrontare i problemi. Un sindaco benvoluto è votato dall’elettore di destra e da quello di sinistra. Questo sconvolge certi equilibri di partito. E chi, come noi, è abituato a stare tra la gente, sa quanto il sistema dei partiti sia detestato: i cittadini vogliono l’elezione diretta, vogliono cioè poter scegliere il loro candidato e non subire quello imposto dalle segreterie. Il Porcellum (la legge elettorale in vigore dal 21 dicembre del 2005 venne escogitata dall’allora ministro per le Riforme Roberto Calderoli) fu architettato per impedire al centrosinistra di vincere nel 2006, poiché i sondaggi lo davano in vantaggio sul centrodestra. Questa legge, è chiaro, che va cambiata».
Ha qualche suggerimento?
«Penso che il meccanismo delle primarie possa essere esportato anche alle politiche. Per consentire la scelta diretta del premier. Come succede negli Stati Uniti. In questo modo l’elettore vota la lista del premier. Pure Mario Monti aveva la sua lista, alle ultime elezioni».
Non la preoccupa il Movimento Cinque Stelle?
«No. Sono la risposta dell’antipolitica. La gente ha votato Grillo non avendo altra scelta, lo affermo senza offendere Beppe. Ma se hai proposte concrete e persone in grado di attuarle, l’elettore ti sceglierà».
Ottimista.
«Credo nel rinnovamento. È indispensabile. Per affrontare e lanciare la campagna delle primarie avrò al mio fianco una Fondazione».
Il pensiero renziano del molto potere e poca politica?
«La Fondazione sosterrà il mio programma e la mia candidatura. Poche cose: non vendo miracoli, propongo solo ciò che si può realizzare. Innanzitutto la riduzione del debito e della spesa pubblica, ciò che ritengo essenziale per favorire la crescita (anche attraverso la riduzione della pressione fiscale). Poi, la sburocratizzazione. Dopo di che, le riforme: quella federalista, quella della giustizia. In particolare, ritengo più drammatica ed urgente intervenire sulla giustizia civile, che ammazza cittadini ed aziende. Abbiamo tempi di causa troppo lunghi e devastanti. Dobbiamo garantire una risposta della giustizia in tempi occidentali e non in tempi bizantini».
Sono proposte sovrapolitiche, buone a destra come a sinistra...
«Sono indispensabili, altrimenti non si va più da nessuna parte».
A proposito di andare da qualche parte, qual è la sua posizione sull’immigrazione?
«In Italia è sempre stata gestita male, per un motivo o per l’altro. A parte i tre anni in cui se ne è occupato con efficacia Maroni, la Seconda Repubblica ha fallito la politica dell’immigrazione. Si deve combattere seriamente quella clandestina, solo così si migliora l’integrazione».
Lei è leghista. Molti di voi hanno criticato aspramente (e indecorosamente) la ministra Kyenge...
«Aspetto da lei una proposta concreta, non parole. Non l’ho mai insultata e mai lo farò. Attendo soltanto che formalizzi le sue proposte, sullo jus soli e sull’immigrazione clandestina. Poi si discuterà».
Leonardo Coen