Interventi&Repliche, Corriere della Sera 06/09/2013, 6 settembre 2013
ANM: MOTIVI DELLA CONDANNA DI BERLUSCONI
Alle varie banalizzazioni, ironie, false letture seguite alla pubblicazione della sentenza relativa al «caso Mediaset» si aggiunge ora l’articolo a firma di Piero Ostellino, apparso sul Corriere della Sera del 4 settembre. Il ragionamento che vi si legge, in sintesi, è il seguente: Berlusconi sarebbe stato condannato in qualità di «ideatore del reato, cioè creatore di un metodo, e la sua condanna sarebbe equiparabile a quella dell’autore di un libro giallo, che venisse accusato di rapina, in violazione dei principi che governano la responsabilità penale. Se la cosa si arrestasse qui, si tratterebbe solo dell’ennesima mistificazione. Il giornalista, però, prosegue insinuando che i magistrati (si badi, una quindicina fra tribunale, corte d’Appello, Cassazione e pubblici ministeri dei vari gradi), pur in assenza di prove, abbiano intenzionalmente creato un reato inesistente e pronunciato una condanna al fine strumentale e tutto politico di «liberarsi del capo di un movimento che si oppone all’egemonia della sinistra»; ne conclude che – per colpa della magistratura, s’intende – la democrazia sarebbe morta da un pezzo.
Un tale oltraggio rivolto ai magistrati, che non ha niente a che vedere con la legittima critica e che mescola luoghi comuni, falsità in fatto ed errori in diritto, è espressione di quel pregiudizio già reso evidente da banalità e offese che si leggono in altri recenti scritti di Ostellino (si veda ad esempio l’articolo pubblicato sul Corriere lo scorso 11 maggio) e non può restare senza risposta, tanto più in quanto diffuso su uno dei maggiori quotidiani nazionali. Non si vuole fare in questa sede la difesa d’ufficio della sentenza: non è questo il compito della magistratura associata e, del resto, le sentenze si difendono da sole, basta leggerle. Se, appunto, si legge la sentenza, si scopre che Berlusconi è stato condannato non in quanto generico ideatore di un metodo, come pretende Ostellino, ma perché ritenuto dai giudici coautore del reato, secondo gli ordinari criteri del concorso, quale creatore di uno specifico e complesso sistema illecito, proseguito per diversi anni e gestito da persone di fiducia di Berlusconi, che a lui rispondevano direttamente, senza nemmeno passare per il consiglio di amministrazione. Se la struttura dell’imputazione sia corretta e se la sentenza sia sostenuta dalle prove raccolte, ben può essere oggetto di dissenso, purché non si travisi il contenuto della motivazione.
Le critiche seguite alla condanna, però, in genere assai poco esprimono gli argomenti del giurista e molto appaiono sensibili alle ragioni della politica. Il valore politico della questione, tuttavia, non giustifica la deriva alla quale da tempo si assiste: linciaggi mediatici, attacchi all’indipendenza della magistratura, ritornelli ammuffiti contro le «toghe rosse» e relative liste di proscrizione.
S’imporrebbe, da parte di tutti, rispetto per la giurisdizione, per il giudicato e il principio di legalità, senso del decoro e della misura e, magari, un po’ di tensione morale. In uno Stato di diritto, è veramente il minimo.
Rodolfo M. Sabelli
Presidente Anm