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 2013  settembre 06 Venerdì calendario

NOI CHE ABBIAMO NOSTALGIA DELLE DANZE DA SCIAMANI (MA SIAMO UGUALI A LORO)

Ci sono due approcci: uno potremmo chiamarlo sciamanico, l’altro scientifico. Il primo prevede un rapporto di misticismo e idolatria con le forze della natura, richiede uno stregone che sappia invocare gli elementi, che sappia ascoltarli e auscultarli, per poi condurre la sua comunità nella danza della pioggia. Il secondo approccio prevede un’equipe di ingegneri e una buona scorta di razzi allo ioduro d’argento. Pur essendo questo il metodo più efficace per ottenere abbondanti precipitazioni, d’istinto propendiamo per il primo.
Eppure da millenni il nostro modo di affrontare la natura è molto più vicino agli scienziati cinesi di quanto siamo disposti ad ammettere. Il filosofo Martin Heidegger ha speso l’intera esistenza a puntare il dito sul nichilismo come esito inevitabile del pensiero della tecnica, un’intera carriera a mostrarci come siamo fatti, noi occidentali, sin dai tempi di Platone. Appena scoperte le infinite potenzialità della ragione (logos) le abbiamo applicate con zelo per modificare la natura (physis) a nostro piacere. Possedevamo la parola per nominare le cose e catalogarle in concetti, possedevamo le mani e la perizia (téchne) per costruire ponti, dighe, treni, microscopi, computer, razzi allo ioduro d’argento: non occorreva essere cristiani per credere di appartenere a una specie superiore, se non proprio eletta. In fondo anche i movimenti ambientalisti di oggi, che rappresentano la coscienza critica del nostro stile di vita, non fanno che confermare l’eccezionalità dell’essere umano proprio con la loro particolare sensibilità verso le altre specie viventi e un auspicabile futuro comune.
Nessun altro animale si è posto finora questioni ecologiche, farlo richiede un pensiero astratto, uno sguardo d’insieme, la capacità di generalizzare in concetti. Lo stesso concetto di natura è una nostra invenzione: a passeggio in un bosco si incontrano alberi, lamponi, ruscelli, mosche, non cose chiamate natura. Questo solo per dire che negli ultimi 2.500 anni noi occidentali siamo stati molto più cinesi dei cinesi. Certo, l’arroganza (hybris) della tecnica ha indotto i bambini a credere che le patatine fritte crescano sugli alberi, ma ha anche prodotto la dialisi, l’epidurale, i trapianti. Sono prevaricazioni ai danni della natura, ma saremo disposti a rinunciarvi?
I cinesi fabbricano pioggia contro la siccità, noi, grazie all’inseminazione artificiale, nuovi figli contro la sterilità. Saremo disposti a rinunciarvi?
Quando scegliamo d’istinto lo sciamano e ci scandalizziamo dell’artiglieria dei meteorologi di Pechino, dobbiamo ricordare chi siamo, da dove veniamo e da quanto tempo non affettiamo una patata. Questo vale anche per un ipotetico terzo approccio, quello diciamo di uno sviluppo sostenibile (appannaggio, secondo Heidegger, dei vecchi nonni presocratici e dei poeti). Riconoscere l’effetto serra e le altre nostre colpe è necessario per ripristinare un rapporto più armonico con il pianeta su cui ci è capitato di nascere (gettati a testa in giù sul ventre della povera Gaia) ma, ammettiamolo, non si può aspettare all’infinito che piova.
Mauro Covacich