Sara Ricotta Voza, la Stampa 6/9/2013, 6 settembre 2013
UNO SCRIGNO PER GLI ARCHETTI-STAR
Oggi senza cultura non si vince, nemmeno nell’industria». È spiazzante che a pronunciare questo atto di fede sia un re dell’acciaio italiano, che da anni ha deciso di investire da mecenate, oltre che nel tondino, nel futuro del violino. È spiazzante ma anche beneaugurante, specie in questi giorni in cui l’Ocse ci ricorda che la ripresa in Europa c’è, ma non in Italia. Qui a Cremona invece, cuore della provincia padana produttiva, hanno capito che quella tradizione della liuteria che l’Unesco ha inserito tra i capolavori immateriali dell’umanità è un mito da celebrare ma soprattutto una realtà da sostenere perché genera lavoro e ricchezza.
Come in pochi altri altri luoghi in Italia, qui non sono rimasti solo alcuni antichi Stradivari e Guarneri del Gesù che tutto il mondo viene ad ammirare, ma si è conservata anche la capacità di fare violini belli e acusticamente perfetti, un distretto unico al mondo di 150 botteghe artigiane che lavorano con standard pari a quelli leggendari del periodo d’oro settecentesco. Ed è questo il senso più profondo del nuovissimo Museo del Violino inaugurato ieri a Cremona (apre il 14) dal sindaco della città Oreste Perri e dal mecenate citato all’inizio, Giovanni Arvedi.
Quei dodici violini dal valore inestimabile che il pubblico internazionale veniva a vedere e fino a un mese fa trovava in una saletta bigia del palazzo comunale, guardati a vista da un custode, ora rivivono tutt’altra vita in un grandioso palazzo storico completamente restaurato e restituito, anche quello, alla città. Il Palazzo dell’Arte è infatti un edificio razionalista e fascistissimo dell’architetto Cocchia che sorgeva sui resti di una villa romana di cui riproduce anche il peristilio. Il progetto del Museo lo ha trasformato nella casa viva dell’eccellenza cremonese più famosa nel mondo.
Dieci sale raccontano la storia del violino e di Cremona, di come a un certo punto i suoi liutai divennero i fornitori delle corti reali più esigenti, a partire da quella di Francia; ma il museo non si ferma lì e celebra anche il dopo e il come quella tradizione, dopo un periodo di buio, sia tornata al successo e sia oggi uno sbocco professionale per i giovani. In questo museo moderno e interattivo, costruito anche con criteri «emotivi», la sala più emozionante è «lo scrigno», fatta come la custodia di un violino, un enorme guscio di velluto rosso in cui galleggiano i 12 pezzi preziosissimi del Palazzo Comunale: Amati, Guarneri del Gesù e Stradivari. La star del gruppo? Lo Stradivari 1715 detto «il Cremonese», che dopo l’inaugurazione ha suonato due pezzi di Bach nella vicina sala-gioiello dell’auditorium: come dire, 300 anni e sentirli! Altre sale interessanti sono quelle dedicate ai Friends of Stradivari, rete internazionale di collezionisti e appassionati che prestano i loro violini al museo per qualche tempo. Qui la star è lo Stradivari «Rougemont» del 1703 di Henry Ford. Poi c’è la ricostruzione di una bottega, le sale dedicate ai reperti stradivariani e ai liutai moderni che hanno vinto il Concorso triennale, sorta di Olimpiade del settore.
Si può immaginare quanto tutto questo possa essere costato (cifre ufficiali non ci sono ma si parla di decine di milioni), quello che s’immagina di meno è che il mecenate abbia fatto tutto questo come dono e basta. Lui il violino non lo suona né li colleziona. Ne ha solo un sacro rispetto perché «come non innamorarsi di uno strumento così piccolo capace di suoni così straordinari, come non riconoscergli una spiritualità? È espressione della genialità dell’uomo, che solo quando nelle sue opere materiali mette qualcosa di spirituale, supera se stesso». Parola di un re dell’acciaio.