Giovanni Caprara, Sette 6/9/2013, 6 settembre 2013
CACCIA AL TESORO NASCOSTO NEGLI ASTEROIDI
Agli inizi degli anni Novanta dello scorso secolo la Nasa, dopo aver esplorato tutti i pianeti del sistema solare, tranne Plutone, si rese conto che era giunto il momento di affrontare gli asteroidi emersi dall’osservazione astronomica da Terra come una nuova frontiera. Le indagini dimostravano due cose: che i piccoli mondi erano ben più numerosi di quanto si pensasse e che era necessario conoscerli meglio non solo per la scienza, ma anche per affrontare una loro potenziale minaccia. Così la Nasa diede il via alla prima missione di esplorazione ravvicinata scegliendo come bersaglio uno dei corpi più famosi e interessanti, 433 Eros, il primo a essere stato scoperto su un’orbita in avvicinamento al nostro pianeta. Intanto la sonda Galileo in viaggio verso Giove fotografava nel 1991 per la prima volta da una distanza ravvicinata un asteroide, Gaspra, e due anni dopo anche Idra scoprendo che aveva persino una piccola luna, Dactilo.
La spedizione su Eros venne diretta da un mago dell’esplorazione, Robert W. Farquhar, entrato alla Nasa nel 1966 e già famoso per altre missioni oltre che per l’ideazione di numerose traiettorie cosmiche. Nel 1990 Farquhar si trasferì al Johns Hopkins Applied Physics Laboratory di Laurel, nel Maryland, e qui concepì la sonda Near (Near Earth Asteroid Rendezvous), per un incontro con l’asteroide e non solo. L’operazione era rischiosa per la bassa gravità di questi piccoli corpi, quindi il veicolo spaziale doveva essere in grado di compiere manovre raffinate in completa autonomia (data la distanza e i tempi di percorrenza dei segnali, gli interventi umani sono impossibili). Ormai la tecnologia consentiva di affrontare la sfida e il volo di Near si rivelò un autentico successo, al di là di ogni immaginazione. Il 14 febbraio 2000 entrò in orbita (era la prima volta che accadeva) attorno a Eros e vi rimase per un anno. Alla fine delle indagini Farquhar tentò l’azzardo. Near non era stata concepita per atterrare, ma con un’abile manovra egli riuscì a farla posare dolcemente sulla superficie, da dove trasmise informazioni ancora più preziose. Lo abbiamo seguito in quelle ore nel laboratorio di Laurel, non lontano da Washington, ed era commovente vedere l’austero scienziato dai capelli bianchi quasi saltare di gioia pronunciando: «Noi, qui, oggi stiamo scrivendo la storia». Non altrettanto successo conseguì la sonda, sempre americana, Deep Space-1 che nel luglio 1999 volò più lontano del previsto dall’asteroide Braille (26 km invece di 240 metri) per un problema al software che la governava.
La sonda giapponese. Il passo successivo che tutti sognavano era il recupero di un campione di asteroide da portare sulla Terra e studiare in laboratorio. Ci riuscirono per primi i giapponesi, nel settembre 2005, quando la sonda Hayabusa dell’agenzia spaziale Jaxa sfiorò la superficie dell’asteroide Itokawa prelevando “qualcosa”. La sonda in realtà non funzionava a dovere e fino al giugno 2010, quando la capsula rientrò sulla Terra, non ci fu sicurezza del risultato. Ma una volta aperta si constatò che un microscopico campione era stato raccolto.
Alla Nasa, nel frattempo, emergeva l’interesse di studiare due dei più grandi asteroidi tra i primi a essere scoperti, Cerere e Vesta, evoluti in condizioni diverse in zone differenti del sistema solare e considerati quasi dei proto-pianeti. Nacque quindi la missione della sonda Dawn, che nel luglio 2011 entrò in orbita a Vesta, vi rimase fino a settembre 2012 e ora ha ripreso la corsa verso Cerere, che raggiungerà nel febbraio 2015. Mai questi piccoli mondi erano stati studiati con tanta profondità.
Rimane tuttavia l’obiettivo di riportare sulla Terra dei loro campioni, anche perché la natura di questi corpi è diversa e quindi bisogna moltiplicare le ricerche. Ha così preso avvio una vera corsa ai preziosi carotaggi cosmici. Nel 2014 inizierà il viaggio la giapponese Hayabusa-2 verso l’asteroide 1999 JU3, nel 2016 partirà Osiris-Rex della Nasa che volerà su Bennu e intanto l’Esa europea prepara Marco Polo-R che dovrebbe volare nel 2022 in direzione dell’asteroide 2008 EV5.
Un cambio di scena è avvenuto nel 2012, quando è maturata l’idea, già circolata in passato, che questi piccoli mondi non siano soltanto una minaccia, ma anche una risorsa utile alla Terra e per il futuro dell’esplorazione spaziale. Nell’aprile 2012 alcuni miliardari americani, tra cui Ross Perot Jr, Larry Page – co-fondatore di Google –, James Cameron – il regista di Avatar –, si sono riuniti al museo aerospaziale di Seattle per presentare la società Planetary Resources, destinata appunto a sfruttare le risorse minerarie planetarie. «Dopo la corsa all’oro potrà nascere la corsa al platino», ha sottolineato Eric Anderson, uno dei finanziatori. E nell’incontro è stato ricordato che un pianetino di 800 metri di diametro potrebbe contenere 130 tonnellate di platino, per un valore di sei miliardi di dollari. Per il futuro sfruttamento, la società ha avviato intanto uno studio per identificare le caratteristiche dei futuri obiettivi.
Catturare oggetti cosmici. A rendere il panorama cosmico ancora più affollato contribuirono in quei mesi le osservazioni del satellite Wise della Nasa, che con il suo “occhio” sensibile all’infrarosso censì e triplicò il numero degli asteroidi “potenzialmente pericolosi”, rilevandone 4.700. Ma ad alzare improvvisamente l’attenzione per i “piccoli mondi” il 15 febbraio 2013 intervennero due fatti. Al mattino, nel cielo di Chelyabinsk, in Russia, un oggetto di 17-20 metri di diametro, piovuto dal cielo, esplose con fragore. Giunto alla velocità di 66 mila km orari, con un’energia 20 volte quella della bomba atomica di Hiroshima, provocò un’onda d’urto che frantumò i vetri della città, demolì palazzi e ferì 1.300 persone. Nessuno lo aveva previsto. Entro sera fu invece noto il transito dell’asteroide 2012 DA14, di 45 metri di diametro. Era il più grosso oggetto cosmico che si avvicinava alla Terra, “sfiorandola” da appena 27.600 chilometri, cioè ben al di sotto dell’orbita geostazionaria a 36 mila chilometri d’altezza, dove sono collocati i satelliti per le telecomunicazioni.
I due fatti hanno accelerato un piano già allo studio della Nasa, sotto la spinta della Casa Bianca: l’esplorazione umana degli asteroidi. Battezzato “Asteroid Initiative” immagina intorno al 2020 la cattura di uno di questi corpi con una sonda automatica che lo porterebbe in orbita lunare. Lì giungerebbero gli astronauti per prelevarne un campione da trasferire sulla Terra. L’iniziativa raccoglie consensi e critiche. E l’amministratore della Nasa Charles Bolden è venuto anche in Italia per incontrare Enrico Saggese, presidente dell’Agenzia spaziale italiana Asi, e proporgli di condividere l’avventura.
Questa è, per ora, l’ultima tappa della storia iniziata a Palermo 213 anni fa, quando Giuseppe Piazzi scoprì Cerere, il primo e il più grande dei piccoli mondi.