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 2013  settembre 06 Venerdì calendario

E LA STAMPANTE DIVENTÒ UNA FABBRICA

C’è voluto un botto, e un oggetto un po’ sinistro come una pistola in plastica autoprodotta e propagandata dall’anarco-libertario americano Cody Wilson, per far capire a tutto il mondo le potenzialità della stampa 3D. Il venticinquenne texano ha infatti dimostrato che Liberator, l’arma da fuoco da lui progettata e stampata in Abs, un comune polimero termoplastico, era perfettamente funzionante. Dei 16 pezzi che la compongono, 15 sono stati realizzati con una stampante tridimensionale. Il pezzo restante è un chiodo in metallo per il percussore. Ciononostante spara. E fa così paura che il governo americano ha bloccato il download dei file del modello, open source - e quindi liberamente utilizzabile da chiunque - dal sito dell’organizzazione fondata da Wilson, Defense Distributed. Peccato solo che quei file nel frattempo fossero finiti su tutti i siti di torrent e di condivisione, e come sempre in questi casi rimettere il genio nella bottiglia è praticamente impossibile.
La vicenda, per quanto inquietante, ha portato però alla ribalta il mondo in ebollizione della stampa solida. Si tratta di macchinari che sono in grado di creare da zero un oggetto depositando un filamento di materiale plastico strato su strato, seguendo le istruzioni di un file tridimensionale realizzato con un programma Cad, software di computer grafica usato nella progettazione di manufatti. La Liberator è stata prodotta con una stampante professionale, una Stratasys Dimension SST 3D, che sembra una di quelle macchinette aziendali per farsi il caffè e che costa circa 26 mila euro. Ma se la si prende usata, come ha fatto Wilson, si può scendere fino a 6 mila euro.
Il fatto è che in giro si stanno diffondendo stampanti tridimensionali anche più economiche, sebbene più rozze, insieme al passaparola degli appassionati, che ricordano un po’ i primi hobbisti del computer. E tutto ciò sta aprendo la strada a un utilizzo di massa e a scenari che alcuni non esitano a definire rivoluzionari. Perché, tralasciando l’ossessione americana per le pistole, qui stiamo parlando di macchine capaci di "fare" oggetti. Di mini-fabbriche portatili, economiche e capaci di creare le cose più diverse. Con la possibilità di restituire almeno una parte della capacità produttiva nelle mani dei consumatori-utenti, così come i computer e internet hanno dotato milioni di persone di nuovi strumenti di comunicazione, informazione e creazione intellettuale.
Ne è convinto Massimo Moretti, imprenditore della provincia di Ravenna che col suo Centro sviluppo progetti produce e vende stampanti 3D. «La stampante solida mette assieme l’approccio dell’autoproduzione, il costruirsi direttamente le cose, con quello dell’open source, dello scambio delle conoscenze», spiega a "l’Espresso". «Di fatto significa trasformare informazioni digi
tali allo stato solido», con tutte le potenzialità collegate e la possibilità di personalizzare la produzione, specie se le istruzioni sono riutilizzabili e modificabili, come nella filosofia open.
Se questo è il quadro concettuale, il salto tecnologico è arrivato con le stampanti a basso costo. Le più note sono quelle prodotte da MakerBot, azienda di Brooklyn che ha lanciato sul mercato dei modelli lowcost, come il Replicator 2, il quale nella versione base costa circa 1.700 euro e utilizza anche la Pla, bioplastica biodegradabile. Alcuni considerano questa giovane impresa una potenziale Apple del futuro: non a caso ha tra gli investitori Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, ma soprattutto in questi giorni è stata appena acquisita da Stratasys, leader delle stampanti industriali che evidentemente ha fiutato il business consumer e ha deciso di metterci un piede.
Del resto è stato proprio un manager di Stratasys nonché un guru della stampa 3D, Tuan Tranpham, a indicare nel sorpasso delle macchine per consumatori su quelle industriali una delle prossime tendenze di questo settore. «Sono stato folgorato dalla stampa tridimensionale alcuni anni fa, e per quella lasciai l’Europa e un posto a Intel. Ma pensai che quello era il futuro, che avrebbe sconvolto il modo in cui viviamo e progettiamo, favorendo l’innovazione», spiega a "l’Espresso". Tranpham tuttavia non crede che domani avremo tutti in salotto una stampante solida. «Ci vorranno almeno dieci anni», aggiunge. «In questo momento l’utilizzo casalingo è divertente, ma ti rendi conto che puoi produrre ancora modelli rozzi, monocolore, insomma che servono molti miglioramenti».
Anche Alfonso Fuggetta, direttore del Cefriel, il centro di eccellenza ICT del Politecnico di Milano, pur riconoscendo le potenzialità di questa tecnologia, ci va coi piedi di piombo. Specie nella stima dei tempi entro i quali potrebbe avere un impatto sulla vita quotidiana. «In questo momento cosa posso produrre? La forchetta, il piatto, il giocattolo? Fondamentalmente oggetti in plastica, e anche limitati. E ancora con quale costo?», si domanda Fuggetta.
A fare il paragone con la Mela morsicata è ancora Tranpham. «Dobbiamo pensare alle stampanti 3D di oggi come al Lisa, uno dei primi computer Apple. Alla fine a far decollare quell’industria e a renderla di massa fu il software. Serve dunque qualcosa di analogo anche per la stampa 3D, che deve diventare facile da usare, fluida nell’utilizzo, essere in grado di utilizzare più materiali, più colori».
E non è che manchi chi prova ad essere il nuovo Steve Jobs della fabbricazione digitale. La startup The Pirate 3D ha lanciato The Buccaneer, una stampante solida in vendita a circa 262 euro. Un prezzo stracciato, anche se per averla bisogna prendere parte a una campagna di crowfunding sul sito Kickstarter, che per altro ha avuto un successo strepitoso: in 4 giorni sono stati raccolti 500 mila dollari di finanziamenti.
Proprio come i prodotti Apple, la Buccaneer ha un design elegante e non sfigura su una scrivania. Inoltre è stata concepita, scrivono i suoi ideatori, per essere facile da usare. La macchina si collega a un pc o a uno smarpthone e da lì può scaricare una serie di modelli direttamente dal negozio di The Pirate 3D. E gli utenti possono usare un apposito software per personalizzare gli oggetti con dei comandi semplici, senza avere particolari conoscenze di progettazione.
In realtà la stampa 3D sta facendo passi da gigante anche a livello industriale e professionale. Basti pensare a come l’Università del Michigan ha stampato uno speciale tutore per bronchi per una bambina con difficoltà respiratorie: realizzato in un polimero biodegradabile, verrà progressivamente riassorbito. O ancora ai vantaggi nella produzione manifatturiera, specie nella realizzazione di prototipi.
Eppure, a crederci più di tutti, è una schiera di artigiani "visionari" intenzionati a portare la stampa solida nelle case delle persone comuni. Come Lorenzo Cantini, 22 anni, che insieme al fratello e ad altri familiari a Firenze ha fondato Kentstrapper, un azienda che progetta, costruisce e vende macchine per la stampa 3D. Hanno tre esemplari, da entry level a professionale, con prezzi che vanno dai 600 ai 2.500 euro più Iva. Cosa si può produrre con macchine del genere? «Cover per lo smartphone; cuffie personalizzabili; aeroplanini; nelle scuole si possono realizzare progetti di grafica tridimensionale», risponde Cantini. A comprarle - ne sono state vendute più di cento in meno di un anno - clienti diversi: dalla piccola azienda al designer, dall’architetto al nonno che vuole fare un regalo al nipote smanettone.
«Cosa ci aspettiamo in futuro? Nuovi materiali per creare oggetti gommosi od elastici, e anche plastiche caricate in metallo, o in legno, o conduttive per fare bozze di circuiti». E, se non una stampante in ogni casa, laboratori di produzione in ogni Comune. La Kentsrapper infatti punta molto sulla divulgazione, va nelle scuole, dove ha portato una quarantina di stampanti, partecipa ai FabLab, i laboratori dei cosiddetti makers, gli appassionati di fabbricazione digitale. Del resto anche Cantini ne è convinto: il paragone è con i primi personal computer. Se fosse così, anche in questo caso per la rivoluzione è solo questione di tempo.