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 2013  settembre 06 Venerdì calendario

VENDESI ORO

La signora che fa valutare una vecchia parure che non indossa mai. La coppia di anziani che integra la pensione vendendo la sterlina d’oro che si usava donare ai nuovi nati. Lo studente che riscuote il contante separandosi dal braccialetto ricevuto per la prima Comunione. Sono tutti clienti delle onnipresenti catene di Compro Oro, 30 mila negozi sparsi per il Paese e un giro d’affari di oltre 9 miliardi di euro all’anno. Spuntati come funghi a ogni angolo di strada: più di 16 milioni di italiani, uno su quattro, nell’ultimo anno, è entrato in questi piccoli e grandi punti vendita per disfarsi dei tesoretti familiari, di preziosi, monili, collane e orologi incassando subito poche centinaia di euro. È questo il primo anello di una rete capillare che raccoglie il metallo prezioso, un’attività redditizia: si stima che il fatturato medio per ogni esercizio sia intorno ai 300 mila euro l’anno, in costante aumento. Dai 20 mila negozi registrati nel 2011 siamo passati a 30 mila di quest’anno, con un balzo del 50 per cento. Mentre tutti intorno chiudono loro aprono. «È un fenomeno sociale dettato dal bisogno» commenta Andrea Zironi, imprenditore con cinquanta negozi e presidente dell’Associazione operatori professionali in oro: «Ma è cambiato radicalmente il mercato. Una volta era materia prima per gli orafi, oggi invece l’oro viene trasformato in lingotto e usato come un bene rifugio dalle banche e dagli investitori privati». Una filiera piena di insidie, che, a causa di norme vecchie e controlli troppo laschi, rischia di creare raggiri, a partire dalla valutazione degli oggetti preziosi. Vediamo come.
QUANTO MI DAI?
I clienti ignari sono spesso vittime di raggiri. I prezzi d’acquisto cambiano quotidianamente e oscillano tra i 17 euro al grammo dei quattordici carati fino a 35 del più prezioso ventiquattro carati, il valore lo decide il grado di purezza. Spinte dai venti di guerra che soffiano in Siria nell’ultima settimana, le quotazioni sono risalite sui mercati internazionali: gli operatori cercano di proteggersi dall’incertezza e la fuga dal rischio di investimenti più azzardati spinge gli acquisti del bene rifugio per eccellenza. L’oro al dettaglio viene pagato come metallo puro o come lega. Il prezzo è sostanzialmente lo stesso, ma davanti a un braccialetto che pesa 10 grammi gli acquirenti scelgono se pagare circa 35 euro il grammo d’oro puro oppure se pagare 25 euro il peso lordo dell’oggetto. In entrambi i casi l’incasso è 250 euro. Dal punto di vista dei clienti il rischio più concreto è quello di essere truffati sul peso e la valutazione: chi gestisce il Compro oro può alterare la bilancia o mentire riguardo alla qualità della merce che viene proposta. In entrambi i casi si potrebbero ricevere meno contanti del dovuto. I controlli sono così rari che nessuno si preoccupa di essere accusato di truffa. Ma non è tutto. Conclusa la trattativa il più delle volte nessuna ricevuta viene lasciata al venditore e anche la norma che vieta il contante oltre i mille euro è aggirabile facendo semplicemente risultare più pagamenti dilazionati in diverse tranche. Le agevolazioni fiscali per il settore prevedono che il "rottame d’oro" (oggetti inservibili destinati esclusivamente alla fusione) non paghi l’Iva. Così tutti lo fanno risultare come rottame. Nessuna verifica sulla provenienza, zero possibilità di arrivare ai probabili ricettatori di gioielli rubati, nessuna responsabilità.
Durante le ispezioni, nei registri in cui dovrebbero essere annotati i nomi «si trovano spesso persone defunte, inesistenti o che non hanno mai venduto nulla», spiega un funzionario della Polizia di Milano: «Oppure cittadini inconsapevoli che al Compro oro hanno portato una collanina, e poi magari risultano venditori di molti preziosi; quelli portati dai ricettatori». Centinaia di storie, tutte uguali: a Roma una pensionata è stata indagata perché a suo carico risultavano transazioni sospette per 70 mila euro. La sua unica colpa è stata vendere un vecchio anello e intascare poche decine di euro. Ma la sua carta d’identità è servita per far emergere dal nero gioielli rubati in decine di colpi. «È un settore quasi totalmente deregolamentato», denuncia Ranieri Razzante, docente di Legislazione antiriciclaggio dell’Università di Bologna ed ex consulente della commissione parlamentare antimafia: «E mancano norme adeguate per prevenire tutti i reati che girano intorno ai Compro oro: ricettazione, riciclaggio, truffa, usura, credito abusivo, attività finanziaria abusiva e mancato pagamento delle imposte. In più sono anni che raccogliamo dati che provano il legame indissolubile tra la presenza di questi negozi e l’infiltrazione della criminalità organizzata».
TRIONFO DEL NERO
Gestire una filiale permette di dichiarare entrate e uscite fittizie e soprattutto scambiare cash con l’oro in nero. Un altro escamotage per pulire denaro proveniente dal traffico di droga è acquistare lingotti e dopo poco tempo rivenderli. Le ultime indagini della Magistratura stanno svelando un’evoluzione della criminalità del settore che non è più solamente coinvolta nella ricettazione e nel riciclaggio, ma entra in prima persona nella gestione dei Compro oro con quote proprietarie. La principale attività di Eugenio Costantino (il faccendiere legato alla ’ndrangheta accusato di ricattare l’ex assessore lombardo del Pdl Domenico Zambetti in cambio di voti) erano quattro gioiellerie aperte nell’hinterland nord di Milano. Da lì passavano piccoli e grandi traffici della manovalanza del clan calabrese Di Grillo-Mancuso. Le fonderie sono un altro ricco obiettivo della malavita, la destinazione finale degli oggetti, dove si estrae il metallo puro e vengono preparati i lingotti destinati a nuova vita per i distretti orafi o diretti nei caveau delle banche. Controllarne una significa fare bingo.
Le pressioni, anche nel mercato legale, per "sciogliere" bracciali, denti e catenine clandestinamente e registrare solo una piccola parte del giro d’affari sono fortissime, come conferma Alessandro R., proprietario di dieci negozi e di una fonderia a Torino: «Tutti, nel nostro giro di grossisti, gioiellieri e Compro oro, vogliono commerciare in nero perché ti permette maggiori entrate non tassate. È una richiesta comune».
FORT KNOX TRA CASERTA E LUGANO
La Guardia di Finanza ha da tempo messo sotto osservazione il business del lingotto. «È un settore a rischio per vari aspetti fiscali: per offrire liquidità con lo scambio contante-oro si mettono in piedi truffe, illecite raccolte di denaro, usura, attirando l’appetito delle grandi organizzazioni criminali», dice il colonnello Giorgio Salerno del Comando generale delle Fiamme Gialle.
Lo scorso novembre l’operazione Fort Knox ha smantellato una banda che, in Campania e Toscana, gestiva 163 milioni di euro e 500 conti bancari per raccogliere l’oro in Italia e farlo arrivare fino al cuore dei paradisi fiscali, la Svizzera. Ogni membro della poderosa squadra da 118 uomini aveva un ruolo preciso: c’era chi procurava la materia prima dai negozi, chi lo stoccava, chi lo portava in Ticino. E ognuno, al telefono, aveva un nomignolo per nascondere la vera identità. C’era Robespierre, c’era Bord, c’era il Rappresentante e poi c’era Monica, lo "spallone". Tutti sono accusati di contrabbando, frode, riciclaggio. La raccolta di catenine, anelli e collane si concentrava principalmente nei distretti di Arezzo, Marcianise (Caserta) e Valenza (Alessandria) dove avveniva la prima fusione e la trasformazione in lamine da 10 centimentri facilmente trasportabili. Il "prodotto grezzo" veniva poi acquistato con soldi che sarebbero arrivati dal Ticino. Solo nell’ultimo anno avrebbero passato la dogana 4.500 chili d’oro, un valore di mercato che supera i 170 milioni di euro. Il prodotto ottenuto se la filava in Svizzera a bordo di auto con doppiofondo, dove avveniva lo scambio con denaro contante e la trasformazione delle lamine in lingotti regolarmente punzonati e pronti per essere immessi sul mercato, in nero e al di fuori dei circuiti ufficiali.
MILIONARIO DORATO
In cima alla piramide criminale, secondo gli inquirenti, c’è lui: Petrit Kamata, 65 anni, milanese con casa a Lugano e base operativa a Chiasso. Per ora non ci sono per lui riflessi giudiziari né in Ticino e neppure a livello federale, ma per gli investigatori italiani è la mente della banda del commercio all’ingrosso. Il suo nome e quello di una società svizzera che farebbe capo a lui erano già affiorati nell’ambito di un’altra inchiesta della Procura di Como. Il pm Mariano Fadda, tra il 2006 e il 2009, aveva scoperto un ricco traffico di oro che s’incanalava verso il Ticino. Identico modus operandi: un contrabbando da 90 milioni di euro di preziosi che passavano la dogana con gli "spalloni" diretti nelle fonderie ticinesi. Quella indagine non si è ancora conclusa ma è stato chiesto il rinvio a giudizio per il milionario dell’oro. Nello stesso periodo Kamata è comparso nelle cronache italiane: nell’elenco del ticinese Fabrizio Pessina, l’avvocato che aiutava gli evasori fiscali a portare quattrini all’estero la presenza di Kamata nella cosidetta "lista Pessina" conferma le indagini: il giro d’affari è spregiudicato e vale centinaia di milioni di euro.
Ora bisogna scoprire come, dal mercato nero, con la complicità di società e intermediari, le lamine raccolte al Sud sono finite nei caveau delle banche svizzere.
LA MECCA IN TICINO
La Mecca internazionale dei traffici è la Svizzera dove tutti possono vendere e acquistare oro, con garanzie di anonimato e buoni affari. Il rischio oltre confine è ancora più basso. Si fissa un appuntamento con il cliente negli hotel, senza dare una ricevuta, senza chiedere nulla, pagando in franchi e poi sparendo nel nulla. Appena passata la dogana il metallo prezioso si piazza senza problemi
Negli anni Settanta l’oro viaggiava esattamente nella direzione opposta, gli orafi italiani andavano a caccia di merce a prezzo più basso rivolgendosi al florido contrabbando a cavallo dei due paesi. Con il crollo dei consumi, anche il settore dei gioielli ha segnato il passo e l’esplosione dei Compro oro degli ultimi dieci anni ha invertito la rotta. La Penisola è diventata nel giro di pochi anni il primo esportatore in Europa: ogni anno 300 tonnellate varcano il confine. Perché oggi conviene raccoglierlo nel nostro Paese dai cittadini a caccia dei cento euro cash (soprattutto nelle regioni del Sud), fonderlo e portarlo sulla piazza di Lugano o Zurigo (l’equivalente della città di Anversa per i diamanti) per le fonderie più importanti del mondo.
Le città elvetiche sono la destinazione finale di interi container di preziosi in arrivo da Spagna, Francia e Portogallo. «Per chi rispetta le regole c’è da pagare i dazi doganali in entrata e uscita, comunicare alla Banca d’Italia il peso e la destinazione finale e seguire le scrupolose regole dell’antiriciclaggio», racconta a "l’Espresso" un esportatore di metalli preziosi: «Se vuoi guadagnare davvero è molto meglio l’export fuorilegge».