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 2013  settembre 06 Venerdì calendario

E POI POTREMO DIRE: BASTA GIUSTIZIALISTI

[Colloquio Con Giuliano Pisapia] –
Da via Fontana a Palazzo Marino a Milano la distanza è un chilometro e mezzo, molto più lunga la strada che Giuliano Pisapia ha attraversato in questi venti anni, dal prestigioso studio legale (che fu del padre Gian Domenico Pisapia) come difensore di inquisiti eccellenti negli anni di Tangentopoli alla stanza di sindaco eletto nel 2011 nel pieno del caso Ruby-Berlusconi, con i candidati del Pdl che paragonavano le toghe alle Brigate rosse. In mezzo Pisapia è stato deputato di Rifondazione comunista, presidente della Commissione Giustizia della Camera, presidente della Commissione per la riforma del codice penale. Ha osservato da protagonista il lungo scontro tra politica e giustizia in tutti i ruoli: penalista, legislatore, sindaco della città di Mani Pulite culla del berlusconismo, controparte dei legali di Arcore (avvocato di parte civile della Cir di Carlo De Benedetti nel processo Sme). La condanna di Silvio Berlusconi in Cassazione e la seduta della Giunta del Senato in calendario per il 9 settembre che dovrà esprimersi sulla decadenza dell’ex premier da parlamentare potrebbero provocare una crisi di governo, la fine della legislatura, un nuovo scontro elettorale. Di certo chiudono una lunga stagione. Anche per la sinistra. «Il giustizialismo ha fatto del male alla sinistra perché non si è reso sostanziale il principio della divisione dei poteri», sottolinea il sindaco di Milano. «Su ogni proposta sulla giustizia la domanda era la stessa: avvantaggia o no Berlusconi? Legittimo, negli anni delle leggi ad personam. Ora si può pensare a una riforma complessiva, anche se non mi faccio illusioni: la giustizia resterà terreno di scontro politico, nel programma del governo Letta non è spesa una parola».
Davvero esiste lo scontro politica-giustizia o è stata un’invenzione propagandistica del Cavaliere? E quando è cominciato?
«Lo scontro c’è stato, ma non quello di cui parla Berlusconi. Non è stato tra politica e magistratura, ma tra alcune parti bene individuate della politica e alcuni appartenenti alla magistratura. Nella mia esperienza c’è stato un momento in cui ho sperato che fosse possibile riformare la giustizia tra il 1996 e il 1998, con il governo Prodi. C’era un progetto organico, per la prima e ultima volta, che nasceva da una proposta del ministro Flick e dal confronto nella commissione Giustizia della Camera da me presieduta. La discussione era aspra, ma alla fine i disegni di legge venivano approvati con un consenso più ampio del centrosinistra: il diritto di difesa, i diritti delle vittime di reato, la semplificazione del processo penale, la celerità dei tempi, l’eliminazione delle preture, una depenalizzazione dei reati minori. Si è introdotto nella Costituzione il giusto processo, si è tentato di ridurre il numero eccessivo di prescrizioni, che permettono l’impunità dei colpevoli e sono una macchia per gli innocenti. La tensione politica era spostata tutta sulla Bicamerale, in Parlamento si lavorava bene. Terminato quel periodo, è ripreso uno scontro che era partito da Mani Pulite. Quando governava il centrosinistra si sono affrontati piccoli problemi, quando governava il centrodestra si sono limitati alle leggi ad personam».
Berlusconi si lamenta di non aver mai potuto fare la riforma della giustizia: bloccato dai magistrati e dai suoi alleati.
«Con il centrodestra al governo ho visto che in Parlamento si partiva da leggi che avevano a volte un obiettivo condivisibile cui però si aggiungeva una ciliegina, un tocco di veleno, una norma finalizzata in modo specifico a determinati processi, a favorire alcuni imputati, stravolgendo il principio di uguaglianza. La legge Cirielli, che pur non condividevo, riguardava la recidiva, poi un emendamento introdusse un taglio dei tempi della prescrizione azzerando molti processi importanti. Di qui è tornato lo scontro, non delle toghe contro la politica. La magistratura si difendeva dall’attacco di una parte politica che usava la forza dei numeri in Parlamento per stravolgere le regole. Aggiungo per sincerità che quando ci fu un progetto organico, come nel 1996-98, una parte della magistratura lo contrastò con decisione, non capirono che poteva esserci una svolta positiva. Molti magistrati poi espressero, anche pubblicamente, il loro rammarico per la mancata realizzazione di quel progetto di riforma».
Berlusconi accusa la magistratura di aver cominciato a fare politica negli anni di Tangentopoli, quando furono falcidiati i partiti di governo. Furono processi politici? C’era un progetto politico del pool Mani Pulite?
«Nel 1992-93 l’avvocatura difendeva i diritti degli imputati nel processo, senza mai difendersi dal processo. Ci furono anche molti patteggiamenti. C’era una diversità tra le procure in prima fila che si sentivano sotto attacco e la serenità della magistratura giudicante che è sempre stata attenta ai diritti della difesa. Ottimi magistrati che stimo, soprattutto pm, pensarono di poter moralizzare il Paese attraverso l’intervento penale. L’azione della magistratura, in presenza di notizie di reati, è doverosa, ma la moralizzazione è un problema culturale che riguarda tutti, in primo luogo i politici che devono dare l’esempio».
I magistrati di Mani Pulite ebbero un occhio di riguardo per gli ex comunisti, come sostiene Berlusconi?
«Posso testimoniare che le indagini furono profonde, in tutte le direzioni. Le prove sono state cercate dappertutto, quando non furono trovate non si andò a giudizio, come prevede il Codice. Colpisce che chi adesso attacca i giudici allora difendeva l’operazione Mani Pulite che era sostenuta da una destra forcaiola e giustizialista. Le indagini furono politicamente strumentalizzate dalle tv di Berlusconi e dalla Lega che agitava il cappio, finché i magistrati non toccarono i loro».
C’è chi sostiene che lo sbilanciamento tra politica e giustizia a favore dei pm è stato provocato dall’eliminazione nel 1993 dell’immunità parlamentare prevista dalla Costituzione del’48: condivide?
«Non era sbagliata la norma della Costituzione, per decenni è stata interpretata correttamente, le autorizzazioni a procedere venivano negate solo quando c’era il fumus persecutionis. Poi si è abusato di quello strumento, è diventato sempre di più una scelta politica e non una scelta di coscienza, la difesa degli amici e l’abbandono degli avversari. Quando si discusse di cambiare l’articolo 68 proposi di introdurre una maggioranza qualificata per le autorizzazioni, per evitare una coincidenza con la maggioranza politica. Ma oggi tornare indietro sarebbe sbagliato, l’immunità sarebbe vista come un privilegio».
Che cosa ha pensato dei suoi colleghi che negli anni successivi si sono arruolati nel partito degli avvocati di Berlusconi?
«Io ho fatto di tutto, anche quando ero parte civile nei processi contro Berlusconi, per tenere distinte le due attività. Quando poi in Parlamento sono iniziate ad arrivare le direttive dall’alto, come nel caso dei legali di Berlusconi, è diventato impossibile serenamente discutere di giustizia».
Perché non ha fatto il ministro della Giustizia nel 2006?
«Ho capito che non c’erano le condizioni per fare una riforma complessiva. C’erano resistenze notevoli, da più parti».
Lei ha sempre avvertito la sinistra: molti italiani pensano che Berlusconi sia un perseguitato, tanto è vero che a Milano, la città delle inchieste, a lungo è stata la roccaforte del berlusconismo.
«L’ho detto e lo ripeto oggi. È stato un grave errore per la sinistra pensare di poter delegare alla magistratura il compito della politica, il cambiamento. Le ha tolto consenso, perché ha indotto in molti la convinzione che Berlusconi fosse un perseguitato».
Lo era davvero? Berlusconi ripete che il primo avviso di garanzia gli arrivò a Napoli, dopo la sua discesa in campo?
«Non è vero che i suoi processi sono cominciati dopo il suo ingresso in politica, nel 1994. E nei processi che gli sono stati intentati c’erano elementi concreti per andare a giudizio. Berlusconi è stato assolto in alcuni casi, in altri prescritto, in altri è stato ritenuto non giudicabile come nel lodo Mondadori, anche grazie alle attenuanti generiche che ottenne, e questo colpisce, per il suo ruolo istituzionale».
La norma retroattiva sull’incandidabilità prevista dalla legge Severino è costituzionale? Oppure pensa anche lei, come alcuni costituzionalisti, che bisogna chiamare la Consulta a pronunciarsi?
«È una norma proposta da tempo, meditata e poi approvata dal Parlamento a larghissima maggioranza. E il Parlamento ha sempre la possibilità di modificarla, cambiarla, migliorarla. A me sembra strumentale chiedere l’intervento della Consulta. Non credo che ci siano i presupposti di incostituzionalità, ma deciderà il Senato.Voglio ricordare che Berlusconi già usufruisce di tre anni di condono e non farà un giorno di carcere. Altri ex premier o ex ministri non hanno avuto alternative. Per loro c’era solo il carcere o i servizi sociali o il carcere. E si può fare politica benissimo fuori dal Parlamento, anche senza scomodare Nelson Mandela».
Luciano Violante obietta che il Pd deve riconoscere a Berlusconi il diritto di difesa. È diventato più garantista di lei?
«Chiaramente condivido che vada garantito il diritto di difesa a tutti, anche all’avversario politico. Berlusconi può parlare, presentare tutte le memorie difensive che crede, ma a un certo punto una decisione va presa. Il diritto di difesa non può impedire il diritto-dovere di decisione del Senato. Siamo in presenza di una sentenza passata in giudicato per un reato che ha creato danni ingenti allo Stato. Se si pensa che la sentenza sia ingiusta, si faccia richiesta di revisione del processo. Ma non mi pare di averne sentito parlare».
Il presidente Napolitano ha scritto che «ora», cioè dopo la condanna di Berlusconi, si può fare la riforma della giustizia: ci sono le condizioni?
«La celerità dei processi, la tutela delle vittime, le pene alternative al carcere, bisogna coniugare celerità, efficienza e garantismo e quindi riportare la prescrizione a un livello accettabile. Eliminare reati come quello dell’immigrazione clandestina che penalizzano uno status sociale e ingolfano i tribunali di processi inutili. Intanto, si possono applicare le norme che già ci sono. Dallo scontro bisogna passare al confronto per fare un passo avanti. Il luogo giusto è il Parlamento».
Sulla giustizia i radicali stanno raccogliendo le firme per i referendum. Li sottoscriverà?
«Sulla giustizia e su altre questioni condivido l’impegno dei radicali, ma ancora una volta manca il progetto complessivo di riforma».
Lo farà, ora che la questione giustizia potrebbe essere sottratta allo schema berlusconiani-antiberlusconiani?
«C’è un salto culturale da fare. Il giustizialismo ha fatto male alla sinistra che non è riuscita a rendere sostanziale la divisione dei poteri: appena c’era una norma, sia pur giusta, ma che potevaeventualmente favorireun solo avversario politico, ci si bloccava. Garantismo significa limitare gli errori giudiziari. Ora il Paese ha assoluto bisogno di una riforma. Ma non credo che questo Parlamento abbia molti margini di manovra. La giustizia resterà un terreno di scontro, non è un caso che il governo Letta non abbiala giustizia nel suo programma. Forse bisogna trovare il modo per avere pronto un progetto complessivo quando comincerà una nuova fase politica».
Chi ha vinto in questi venti anni di scontro?
«Berlusconi è stato favorito dal suo ruolo politico. A lui ha giovato sul piano personale, ma ha impedito che si potesse toccare il sistema giudiziario. E purtroppo ha danneggiato il Paese».