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 2013  settembre 06 Venerdì calendario

STRESS DA MOSTRE

Il Canova immolato a una mostra che in un Paese normale non si sarebbe mai nemmeno immaginata è solo la punta (certo clamorosa) di un iceberg: ma un iceberg difficile da documentare. Nel più importante saggio dedicato al fenomeno delle mostre block-buster, lo storico dell’arte inglese Francis Haskell notava (nel 2000) che, in privato, i conservatori di museo si diffondono in racconti terrificanti sui danni inflitti alle opere dalle continue movimentazioni: ma il peso degli interessi commerciali e politici che ormai muovono il circo delle mostre è tale che nessuno è disposto a parlarne in pubblico.
Ma non tutto si può nascondere. Nel 2006 la Madonna dei Pellegrini di Caravaggio (visibile gratuitamente a tutti sull’altare della chiesa romana di Sant’Agostino, per il quale fu dipinta) fu bucata da un visitatore armato di penna, e proprio su uno dei piedi sporchi dei pellegrini (un brano celeberrimo fin dal Seicento) mentre era esposta a Milano in una mostra non memorabile curata da Vittorio Sgarbi. Il super-movimentato Caravaggio patì un altro danno, sempre a Milano, due anni dopo: quando la Conversione di Saulo della famiglia Odescalchi (delicatissima tavola di cipresso) cadde, perdendo del colore. In una mostra al Colosseo (Il rito segreto, 2005) una tromba d’aria ha fatto cadere la preziosissima statua della Fanciulla d’Anzio (originale ellenistico trovato nella villa sul mare di Nerone) del Museo Nazionale Romano. Nella stessa circostanza sono stati danneggiati un rilievo dal Museo Nazionale Archeologico di Napoli e un rilievo proveniente da Ostia con una scena di pesca. Sempre in una mostra al Colosseo (appropriatamente intitolata Rovine e rinascite dell’arte in Italia, 2008) si è danneggiata durante le fasi di disallestimento la statua della Hestia Giustiniani, opera della Collezione Torlonia straordinariamente concessa in prestito: una questione finita in tribunale, con perizie e controperizie. Più recentemente, nella mostra di Costantino a Palazzo Reale di Milano, si è rovinato un cratere (cioè un grande vaso) in marmo bigio.
Ma, come sempre quando si parla della tutela di un patrimonio costituito da insostituibili pezzi unici, il vero rischio non sono gli eventi traumatici clamorosi (tanto più probabili quanto più vorticoso è l’inutile movimento di questi delicatissimi oggetti), ma l’usura inflitta dai continui imballaggi e disimballaggi, dai viaggi, dagli sbalzi di temperatura. Per l’attuazione della grottesca Circuitazione di opere icona (un punto del Piano di comunicazione 2010 della direzione generale per la Valorizzazione del ministero per i Beni culturali) la Velata di Raffaello di Palazzo Pitti percorse su un camion l’America profonda, spostandosi per mesi tra Portland (Oregon), Reno (Nevada) e Milwaukee (Wisconsin). E non mancano i rischi legali. Nel 2011 un meraviglioso quadro del Romanino è stato incluso tra i cinquanta che la Pinacoteca di Brera ha spedito alla mostra Baroque Painting in Lombardy, in Florida. Peccato che Romanino c’entri col Barocco come Giancarlo Galan con la Fondazione Canova: la Ragion di Stato imponeva che Brera pagasse un tributo alle celebrazioni di “ITALY@150”. Non appena il quadro è sbarcato negli Stati Uniti alcuni agenti federali sono entrati nella mostra, hanno staccato il quadro dal muro e lo hanno consegnato alla famiglia che ne richiedeva la restituzione in base ad un complicato contenzioso, peraltro noto alle autorità italiane. E la famiglia lo ha prontamente messo all’asta: con tanti saluti a Brera.
Non dobbiamo più spostare nemmeno una cartolina? Certo che no, ma oggi il 90 per cento delle mostre d’arte figurativa non è un’impresa intellettuale, ma commerciale: il prodotto di una fabbrica degli eventi che non ha lo scopo di educare, ma di far soldi.
Questo carrozzone è foraggiato da amministratori locali (“il sonno delle Regioni genera mostre”), da politici nazionali, da soprintendenti infedeli, da aziende in cerca di visibilità, nonché dalla necessità di alimentare a ciclo continuo un complesso circuito economico-clientelare incentrato sulla pletora di cooperative, sedicenti associazioni culturali, e concessionarie di servizi che lucra reddito privato mettendo a rischio e sfruttando selvaggiamente un bene comune. È tutto questo che bisogna archiviare, ricominciando a fare solo le mostre necessarie: quelle capaci di mettere in contatto ricerca e grande pubblico e di ridare agli italiani le chiavi estetiche, etiche e civili del loro patrimonio.