Stefano Filippi, il Giornale 5/9/2013, 5 settembre 2013
TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE ORA LA CHIESA SE NE LIBERA
La parola «fine» l’ha scritta colui che aveva dato l’inizio. Era il 1968, anno di fantasie al potere, facili utopie, violenze ammantate di intellettualismi, proteste diventate chiacchiere da salotti radical-chic. Nel ’68 della Chiesa cattolica, il papa Paolo VI pubblicava l’enciclica Humanae vitae mentre il teologo peruviano Gustavo Gutiérrez coniava, in una conferenza, il termine «teologia della liberazione». A pochi anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II, la contestazione varcava le sacre mura e pervadeva larghi settori ecclesiali a partire dall’America Latina. Dove Gesù Cristo, il redentore dell’uomo, diventava il sovversivo, il rivoluzionario di Nazaret, addirittura il primo socialista ante litteram.
Oggi la teologia della liberazione è finita. Sconfitta dalla storia, seppellita dal crollo di tanti muri e dalle critiche di Giovanni Paolo II sostenuto dal contributo dottrinale del cardinale Joseph Ratzinger, allora custode dell’ortodossia della fede. L’analisi marxista presa a prestito per pensare Dio, l’ideologia scambiata per teologia è caduta assieme ai regimi dell’Est e alle illusioni degli intellettuali atei e cattolici.
Non è Ratzinger a dirlo, e nemmeno chi ne ha preso il posto. L’ammissione delladisfatta viene dal fondatore e leader della corrente teologica, l’ottantacinquenne Gutiérrez. I suoi testi più recenti sono impregnati di autocritica. «Riconoscere i conflitti sociali come un fatto - scrive - non deve in alcun modo significare che si propugni lo scontro sociale come metodo di trasformazione della realtà. Non possiamo accettare la lotta programmata di classe. Le esigenze evangeliche vanno al di là del progetto politico di una società diversa». Il ripensamento è radicale. Gutiérrez ammette che ci sono stati «scivoloni» e «difficoltà di comprensione», «imperfezioni di linguaggio» e «formulazioni inesatte»: di fatto egli salva soltanto quell’«opzione preferenziale per i poveri» per la quale basta ascoltare le parole di Gesù anche senza leggere Il Capitale. Insomma, «sta finendo la fase in cui è nata e si è sviluppata» la teologia della liberazione. «Di fronte alle nuove situazioni (l’aggravarsi della povertà e la perdita di validità di certi progetti politici, per esempio) molte delle discussioni precedenti non rispondono alle sfide odierne».
Parole scolpite su una lapide. Le si trovano in un libro che sta per uscire, Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione,teologia della Chiesa (Edizioni Messaggero Padova/Emi) scritto a quattro mani da Gutiérrez e da monsignor Gerhard Ludwig Müller, il nuovo prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, ex vescovo di Ratisbona. Il volume - una raccolta di saggi - è stato pubblicato qualche anno fa in Germania senza varcarne i confini. Oggi appare tradotto in italiano. E l’attualità dei contenuti è sottolineata dal fatto che domenica prossima, 8 settembre, i due ecclesiastici saranno assieme al Festival della letteratura di Mantova per discuterne.
Müller conferma i limiti evidenziati negli anni ’80 da due Istruzioni dell’ex Sant’Uffizio che elencarono deviazioni pastorali e dottrinali della teologia della liberazione. Ma l’arcivescovo, voluto all’ex Sant’Uffizio da Benedetto XVI in una delle ultime nomine curiali «pesanti» prima della rinuncia al papato (Müller sta curando l’opera omnia di Ratzinger), non lesina apprezzamenti verso quella che definisce «tra le correnti più significative della teologia cattolica del XX secolo». Non è una contraddizione sfuggita a un teologo distratto. Svuotata dell’analisi marxista e isolata dal contesto storico in cui prosperò, una teologia della liberazione così riveduta e corretta è utile per capire la svolta di papa Francesco. Jorge Mario Bergoglio, a differenza di numerosi vescovi e cardinali latinoamericani, non fu tra i «liberatori». Egli non teorizzò l’opzione per i poveri: la applicò nei fatti. Non antepose l’analisi al Vangelo.
La chiave per capire questo passaggio sta in questa considerazione di Müller: «La domanda non è: che cosa deve dire un cristiano rispetto alle ingiustizie che nel terzo mondo gridano vendetta al cospetto di Dio? La sua domanda di fondo suona così: come si può parlare di Dio, di Cristo, dello Spirito santo, della chiesa, dei sacramenti, della grazia e della vita eterna a fronte della miseria, dello sfruttamento, e tenendo presente il fatto che noi riteniamo l’uomo un essere creato a immagine di Dio?». L’analisi sociologica, sconfitta, cede il passo alla nuova evangelizzazione. È la svolta che Bergoglio da Buenos Aires impresse ai vescovi latinoamericani, e che ora vuole estendere a tutta la Chiesa.