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 2013  settembre 04 Mercoledì calendario

HOLLANDE, IL «PACIFINTO» CHE PREDICA L’AMORE MA POI FA LA GUERRA

Era l’uomo della pacatez­za. Il capo dell’Eliseo a basso costo a cena nel ristorante sotto ca­sa. Quel François Hollande, che i colleghi di partito definiva­no «fragolina di bosco» (Lau­rant Fabius), «budino» o «capi­tano di pedalò» (Jean-Luc Mé­lanchon, alleato comunista), è in piena metamorfosi; riuscen­do però solo in parte a sembra­re forte e decisionista. Il settima­nale satirico Charlie Hebdo ironizza, lo ritrae in giacca e cravat­ta mimetica, con un casco mili­tare, in attesa di quel «sì» ameri­cano per l’intervento in Siria che non gli permette ancora di imbarcarsi in una nuova guer­ra. Sintesi di un presidente che maschera il neo-imperialismo indossando i panni di salvatore dei civili.
É cominciata otto mesi fa in Mali la nuova fase Hollande. Con una guerra in nome dei di­ritti dell’uomo. L’interventismo gli ha portato consensi, dunque val bene perseguirlo ad libitum, ovunque possibile. Fino in Medio Oriente, in Siria. Una nuova manovra utile per mascherare il mancato decisio­nismo dell’Eliseo in politica in­terna, scrivono i quotidiani francesi. Un refrain che la Fran­cia ­ha conosciuto con altri presi­denti, a partire da Jacques Chi­rac. Così anche il socialista che supportava i cortei della pace oggi è «determinato» ad abban­donare la via diplomatica in Si­ria. Spendaccione in politica estera, pur di risultare forte in patria e vincente sullo scacchie­re internazionale.
Eppure, scrivono editoriali­sti di orientamento diverso, le parole di Hollande non si tradu­cono in fatti nell’immediato. Tanto che, ieri, lo stesso presi­dente si è rivolto all’Europa con la speranza di creare un gruppo di intervento contro il regime a Damasco. Ma i Verdi e le oppo­si­zioni chiedono un voto parla­mentare a Parigi sulla Siria e Hollande, costretto, fa sapere che non si esclude un voto in As­semblée.
Non sono bastate le accuse uf­ficiali del governo socialista, sull’utilizzo di armi chimiche da parte di Bashar al Assad, per convincere l’Eliseo ad autoriz­zare una missione. La destra francese, fors’anche per inde­bolire Hollande - che sull’inter­ventismo potrebbe lucrare - tergiversa. Il rapporto dei Servizi transalpini accusa Assad di car­neficina. Hollande gli dà credito, scalpita, e spera che una eventuale internazionalizza­zione del fronte siriano possa vedere la Francia protagonista.
La stampa francese, però, ha capito che Parigi ha poche chances di alzare la voce da so­la. Charlie Hebdo ironizza sul «semaforo verde» americano che non c’è ancora. Ritrae un Hollande pronto alla guerra, ma incapace di farla in solita­ria. I giornali citano il Mali, do­ve oggi gli sfollati sono oltre 500 mila e il mandato Onu prose­gue senza soluzione di conti­nuità: basato sul cosiddetto law enforcement, permette alle truppe francesi di attaccare an­cora i miliziani nel Nord. E, an­che se Hollande ha più volte di­chiarato «vittoria», facendo sfi­lare le truppe maliane al fianco di quelle francesi sugli Champs Elysées nella parata parigina del 14 luglio, la guerra al terrore non è affatto conclusa. La passe­rel­la è stata remunerativa in termini di consensi. Ma la sola cer­tezza in Mali è che la missione «Minusma» integra il contingente transalpino: circa 1.000 soldati dell’operazione france­se «Serval» restano, insieme con 1.800 uomini del Ciad, all’ interno del mandato Onu. Ciò permette alla Francia di mante­nere truppe e Servizi su suolo maliano.
Intervengo, dunque sono. Sembra questa la nuova filosofia di Hollande. Riassunta dal politologo francese Domini­que Moïsi, che ieri, sulla Stam­pa, accennava però alla man­canza di visione del presidente normale.
Un uomo che si lascia tentare dall’istinto imperialista, tipico d’Oltralpe, senza avere una strategia. Ma solo imbracciando una baionetta.