Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  settembre 05 Giovedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - NAPOLITANO INTERVIENE SU CRISI DI GOVERNO


ROMA - L’accelerazione del Pdl spinge il governo Letta verso la crisi. Prigioniero del solito nodo: la decadenza di Silvio Berlusconi. Con l’ufficio di presidenza della Giunta del Senato che ha inasprito ulteriormente gli animi del centrodestra. Mentre il Pd resta sulla linea della fermezza e avverte l’alleato: sarebbe un delitto far cadere il governo ora. Un’ipotesi, quella della crisi, che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non prende in esame, "perché - riferiscono voci del Quirinale - avendo già messo nella massima evidenza che l’insorgere di una crisi precipiterebbe il Paese in gravissimi rischi, conserva fiducia nelle ripetute dichiarazioni di Berlusconi, in base alle quali il governo continua ad avere il sostegno della forza da lui da lui guidata".
Schifani: "Crisi si avvicina". Le parole più pesanti arrivano dal presidente dei senatori pidiellini, Renato Schifani, che giudica "pessimo" il primo step di ieri a Palazzo Madama: "Vedo l’avvicinarsi di un momento di crisi. Quando si convive in un’alleanza devono vigere le regole del reciproco rispetto" e dal Pd "non riscontriamo questo atteggiamento. Impossibile stare con chi ti vota contro". Ecco dunque "l’avvicinarsi verso un countdown che determinerà irreversibilmente scelte politiche". Con il centrodestra che si dichiara unito attorno al proprio leader. "Tutto il gruppo del Pdl è compatto - sottolinea Schifani -, ieri ci siamo trovati tutti nella volontà di mantenere l’unità, pronti anche a battaglie da opposizione, contro un esecutivo raccogliticcio". Anche se - è il messaggio finale - "sarebbe meglio tornare alle urne".
Il videomessaggio di Berlusconi. Lo strappo dovrebbe essere certificato da un videomessaggio dello stesso Berlusconi, che, però, potrebbe slittare di qualche giorno. Il Cavaliere starebbe valutando gli scenari che si aprirebbero dopo la rottura. La possibilità che preoccupa di più è che che si possa creare una nuova maggioranza. Non è un mistero, infatti, la contrarietà del presidente della Repubblica a nuove elezioni. Tanto più che, secondo alcune indiscrezioni, il capo dello Stato starebbe valutando un’eventuale risposta, in prima persona, al videomessaggio di Berlusconi. "Napolitano ha già parlato ad agosto e noi ci atteniamo a quel messaggio", glissa il capogruppo del Pdl al Senato Renato Schifani.
Nonostante la professione di unità, resta tra i berlusconiani ancora qualche distinguo tra falchi e colombe. "Il partito unito non è una sorta di caserma agli ordini di qualche caporale, ma può essere attraversato da riflessioni politiche che possono anche essere diverse", sottolinea Fabrizio Cicchitto. Daniela Santanchè sostiene, invece, che il videomessaggio del Cavaliere "è pronto" e "assolutamente imminente". Mentre il capogruppo alla Camera Renato Brunetta oscilla tra: "Il Pdl non pensa alle elezioni anticipate" e il "Pd si assumerà una grandissima responsabilità nell’aprire la crisi della coalizione e la crisi del governo".
Linea ferma dal Pd. In casa democratica resta la linea della fermezza. Di fronte all’ipotesi di una fine anticipata dell’esecutivo il Pd si dice convinto che "il presidente Napolitano deciderà per il meglio, per il bene del Paese". Esporre l’Italia all’incertezza sarebbe un delitto - è il monito della segreteria dei democratici. Il responsabile organizzazione del partito Davide Zoggia sottolinea anche un altro punto: "Pensare di votare con questa legge elettorale sarebbe un delitto per il nostro Paese. Il Parlamento dovrebbe cercare di approvare una nuova legge elettorale e approvare la legge di stabilità", aggiunge. La "responsabilità di un’eventuale crisi legata alla decadenza di Berlusconi sarebbe comunque del Pdl", ha poi sottolineato Zoggia. "La linea del nostro partito espressa da Epifani è che per noi la legge Severino è costituzionale".
Gli fa eco Stefano Fassina: "Questi continui ultimatum del Pdl non servono. Il Pd voterà per applicare la legge Severino, punto". Non crede a una crisi imminente Matteo Renzi: "Il governo non casca, il governo ora va bene così...". Mentre auspica "senso di responsabilità - il ministro per gli Affari regionali, Graziano Delrio. "Certamente - aggiunge - il Pd è nelle condizioni anche di affrontare un passaggio elettorale anche se credo che nessuno in questo momento lo auspichi".

TOMMASO CIRIACO SU REPUBBLICA DI STAMATTINA
VUOLE rompere. Ribaltare il tavolo e aprire la crisi. «Mi stanno solo prendendo in giro, aspettare è inutile». Alle colombe Silvio Berlusconi concede solo qualche giorno e rinvia la resa dei conti alla prossima settimana. La dead line è fissata per lunedì, ma il Cavaliere potrebbe attendere il voto in Giunta di venerdì per chiudere la porta in faccia a Enrico Letta. E per far capire che stavolta fa sul serio, ha già registrato ad Arcore lo spot della nuova Forza Italia: «Sono innocente e resto in campo. Mi vogliono eliminare con metodi non democratici, ma io non mollo». L’IDEA è di trasmetterlo già nel weekend per annunciare platealmente la rottura.
L’intera giornata è dunque trascorsa accarezzando l’abisso. Deciso a mollare le larghe intese, il Cavaliere ha chiamato di buon mattino Denis Verdini: «Venerdì sono a Roma. Convoca per le 16 l’ufficio di Presidenza». All’ordine del giorno un unico punto, inequivocabile: “Ritiro della delegazione dei ministri del Pdl dal governo”. Poi qualcosa si è inceppato. È stato l’ex premier a imporre il dietrofront, rinviando il redde rationem di alcuni giorni. Ufficialmente si è trattato
solo di un atto di cortesia istituzionale. Strappare mentre Enrico Letta è impegnato nel G20 di Mosca - gli hanno fatto notare - l’avrebbe esposto all’ira del Colle e all’accusa di indebolire il Paese. In realtà, il vero timore del quartier generale berlusconiano è che manchino i numeri per ottenere le elezioni già a novembre. Un incubo, per i falchi. Reso più cupo dall’ipotesi che il premier passi al contrattacco, chiedendo la fiducia a Palazzo Madama con l’obiettivo di spaccare Pdl e grillini. Lo spettro, insomma, prende la forma di quelli che Berlusconi ha incominciato a chiamare sprezzante «i traditori», quelli che potrebbero mollarlo per sostenere un “Letta bis” o comunque un altro governo.
Di certo, la pressione su Arcore cresce di ora in ora. E un assaggio si è avuto ieri, appena è iniziata a circolare la notizia della convocazione dell’ufficio di Presidenza. Allarmato, Angelino Alfano ha riunito a Palazzo Chigi le colombe, compresi alcuni ministri. Poi, al telefono con il leader, è stato il vicepremier a implorare un supplemento di riflessione. L’ha pregato di evitare colpi di testa, gli ha elencato ancora una volta i rischi di una crisi al buio.
Non che Berlusconi affronti a cuor leggero il passaggio più drammatico della sua parabola politica.
Anche ieri il titolo Mediaset ha lasciato sul campo più del 2%. Ed è toccato a Fedele Confalonieri - dopo un pranzo con il “tessitore” governativo Gaetano Quagliariello ricordare al Fondatore il valore supremo della stabilità delle aziende. Eppure, stavolta il Cavaliere sembra deciso. «Le colombe non hanno ottenuto niente - ripete da due giorni - mi stanno solo prendendo in giro». Non si fida più dei suoi ministri, due li considera già compromessi col nemico. E non intravede più una via d’uscita: «Mi parlano di Giunta, Corte costituziotorale
nale, di grazia. Figuriamoci...». Il barometro dei rapporti con il Colle, infatti, segna tempesta. Due giorni fa è saltato un faccia a faccia tra il Capo dello Stato e l’eterno ambasciatore Gianni Letta. E i canali di comunicazione interrotti hanno contribuito a dare forma agli incubi peggiori del leader: «Ormai ho capito Napolitano da che parte sta».
Per questo, l’ex premier sembra disposto a giocare il tutto per tutto. Accelerando i tempi della crisi pur di ottenere le elezioni con l’amato Porcellum. Confidando, soprattutto, nei dubbi di qualche ufficio elet-
pronto a rivolgersi al Tar per chiarire lo spirito della legge Severino, consentendogli intanto di strappare un seggio parlamentare. Calcoli acrobatici, ma tutto sembra meglio di restare immobili ad attendere l’interdizione della Corte d’Appello di Milano.
Tutto resta appeso a un filo. Il summit dei senatori del Pdl, convocato ieri per fornire plastica dimostrazione della compattezza del gruppo, è sembrato un segnale inequivocabile diretto a Palazzo Chigi. È toccato a Renato Schifani mettere in guardia le truppe: «State pronti a tutto». Il capogruppo non ha mancato di contestare il «fuoco amico» dei giornali d’area, segno evidente dell’infinito braccio di ferro in casa berlusconiana. Eppure, non sono sfuggite alcune perplessità sulla
crisi messe agli atti da Domenico Scilipoti e Carlo Giovanardi.
Tocca a Verdini tenere sotto controllo la contabilità di Palazzo Madama, perché dieci transfughi basterebbero a far saltare miseramente i piani del Cavaliere. Eppure, un falco come Augusto Minzolini non sembra temere il tracollo: «Un sondaggio della Ghisleri ci dice che metà degli italiani vogliono tornare a votare. Il gruppo reggerà». D’altra parte, sostiene il senatore, Berlusconi non è più disposto a vestire i panni della vittima designata: «Tra gli avversari di Berlusconi c’è chi vuole eliminarlo subito. E poi ci sono i più insidiosi, quelli che vogliono lentamente accompagnarlo alla porta... Non succederà».

LIANA MILELLA SU REPUBBLICA DI STAMATTINA
ROMA
— Appesi ad Andrea Augello. Convinti che dal relatore sull’affaire Berlusconi, che è «uno dei nostri», cioè un senatore del Pdl, possa arrivare la “manina” giusta per cavare d’impaccio il Cavaliere e rinviare sine die la sua decadenza. È questa la linea dei berlusconiani nella maratona che s’è aperta da ieri nella giunta per le immunità del Senato con il super annunciato ufficio di presidenza. Ben due ore di riunione nell’auletta di Sant’Ivo alla Sapienza. Come previsto, il Pdl ha litigato, il vice presidente Giacomo Caliendo ha pure alzato la voce, ma ha stupito per la sua strategia in apparenza dimessa. Niente sorprese, nessuna questione pregiudiziale per fermare in anticipo i lavori, solo scaramucce sulle date del dibattito e sui tempi. Qui è arrivata la sorpresa del presidente Dario Stefàno, il senatore di Sel che deve gestire la bomba Berlusconi.
«Si vede che sono tutto d’un pezzo?» dice scherzando mentre,
a giunta finita, attraversa la sala Garibaldi. Allude al bustino che è costretto a portare dopo essere precipitato dalle scale di un castello francese dove era in vacanza. Durante l’ufficio di presidenza invece Stefàno ha vestito i panni del mediatore. Lo hanno sentito dire: «Non fa differenza una settimana prima o dopo». Fatto sta che lo scontro annunciato c’è stato proprio su questo, quando si deve fare il dibattito e quanto devono durare gli interventi. Ma nessuno ha contestato che lunedì 9 la giunta si apra con la relazione di Augello, le famose 25-30 cartelle promesse dallo stesso senatore.
Invece s’è litigato su quando cominciare, se di mattina presto, come avrebbe voluto il capogruppo grillino Mario Michele Giarrusso, o con più comodo. Ha prevalso l’idea delle 15, subito con Augello. Il quale potrebbe sempre chiedere di aprire la fase di contestazione. Poi altra rissa sugli interventi e sui tempi. Il Pdl ha puntato i piedi con Caliendo e Nico D’Ascola, il capogruppo che nella
vita fa l’avvocato e lavora pure con Niccolò Ghedini. Loro hanno chiesto di «aspettare una settimana », «come succede sempre in Parlamento dopo una relazione». All’opposto Giarrusso ha chiesto di «andare ad oltranza» e votare. Il neo socialista Salvo Buemi si è scatenato. Ha gridato. «Non sono né avvocato né giudice, ma voglio leggere le carte. Non ho deciso come votare, ma voglio farlo in piena libertà». Il Pd — la vice presidente Stefania Pezzopane, il capogruppo Giuseppe Cucca — ha proposto il giorno dopo, martedì. Qui Stefàno ha mediato ancora: «Facciamo così, proseguiamo il dibattito lunedì, chi è pronto a intervenire e vuole farlo può parlare subito. Chi ha bisogno di più tempo lo farà un altro giorno». Quando? Lo deciderà la giunta, a quel punto a maggioranza. Certo è che, parola di Stefàno, ogni senatore avrà 20 minuti, più un’altra ora per ogni gruppo. Chioserà poi Stefàno con un altro senatore: «Qui nessuno sta perseguitando Berlusconi. Vedrete che sarà un processo giusto».
A questo punto quando si vota sulla relazione di Augello? I pronostici dicono o venerdì 13 o lunedì 16. Sempre che non ci siano sorprese nel testo. Lui è blindato e non anticipa nulla. Caliendo è polemico: «Vedremo se c’è pregiudizio. La legge Severino è incostituzionale ». Il fronte anti-Silvio rimane compatto, tutto il Pd, Sel, M5S, il montiano Benedetto della Vedova. I Dem si riuniscono dopo la giunta col capogruppo Luigi Zanda. Lo spauracchio è la crisi. L’ex pm Felice Casson replica con una battuta. La crisi? «Non ci tange. La giunta va avanti lo stesso». Novità? «La nostra linea non cambia » dice passando Doris Lo Moro che, quando era alla Camera nella scorsa legislatura, presentò una legge per l’incandidabilità anche per i condannati in primo grado. Nella riunione si affronta la minaccia di crisi: «Se Berlusconi vuole fermare la giunta non basta far cadere Letta, perché noi andiamo avanti lo stesso. Per bloccarci deve chiudere la legislatura. Ma questo non è nel suo potere».

VERDERAMI SUL CORRIERE DI STAMATTINA
ROMA — «Non si può stare a letto con il nemico», diceva ieri mattina Silvio Berlusconi. Che era già pronto a consumare il divorzio dal governo, a convocare per domani l’ufficio di presidenza del Pdl, presentarsi davanti al Paese domenica con un video messaggio per spiegare i motivi della crisi, attaccare la magistratura politicizzata, annunciare la nascita di Forza Italia e invocare il ritorno alle urne «contro tutto e contro tutti» per una «nuova rivoluzione liberale».
«Non si può stare a letto con il nemico», ripeteva ancora ieri sera il Cavaliere, che il video messaggio l’ha registrato ieri pomeriggio e tuttavia ha accolto i suggerimenti dei capigruppo del Pdl Schifani e Brunetta, e di quanti nel partito l’hanno invitato ad attendere fino a lunedì, fino alla riunione della giunta di palazzo Madama che dovrà decidere sulla sua decadenza, «altrimenti Silvio — se rompessi prima — verresti dipinto come il nemico del popolo e ti assumeresti la responsabilità della caduta del governo senza averne alcun vantaggio, perché Napolitano non ti farebbe mai votare in autunno».
Così è stata costruita una fragile tregua, che fa perno sulla missione affidata ad Augello, relatore del «caso Berlusconi» in Senato, e che sta predisponendo un documento in base al quale lunedì il Pd dovrà in pratica dichiarare se è disposto a concedere al leader del centrodestra la possibilità di appellarsi alla Corte di giustizia europea (non alla Consulta) per sfuggire al cappio della legge Severino che lo porrebbe definitivamente ai margini della politica, decretandone l’incandidabilità per i prossimi sei anni.
Ma c’è un margine giuridico che garantisca un onorevole compromesso politico su un tema che ha un fortissimo valore simbolico? È possibile cioè che in una giunta parlamentare, in poche ore, Pd e Pdl riescano a chiudere una guerra che dura da venti anni? È possibile insomma che i Democratici concedano ancora una chance all’eterno rivale? Ecco perché Berlusconi insiste a dire che «non ci sono altre strade», ecco perché ha già registrato il video messaggio, nonostante autorevoli esponenti del partito lo abbiano avvisato che «Napolitano è pronto a fare lui un video messaggio a reti unificate, per denunciare la responsabilità di chi ha aperto la crisi e dimettersi dal Quirinale, se non riuscisse a formare un altro governo».
A un passo da un conflitto istituzionale senza precedenti, a un passo da un tornante politico epocale, nessuno sembra scommettere su un esito del confronto in giunta che scongiuri la crisi. Anche perché non c’è più una regia della vicenda, sfuggita di mano ai protagonisti coinvolti nella vertenza. Così le ultime offerte avanzate a Berlusconi sono parse irricevibili: come l’idea — circolata ieri — che il Cavaliere si dovrebbe dimettere prima della riunione della giunta, in modo da consentire al Colle di predisporre la grazia immediata, che però non cancellerebbe la pena dell’interdizione. In pratica il leader del Pdl dovrebbe abdicare, ottenendo in compenso la restituzione del passaporto...
La verità è che nulla è cambiato dal giorno della sentenza della Cassazione. Lo s’intuisce dall’umore di Gianni Letta, sfiduciato e doppiamente dispiaciuto per Berlusconi e per il premier suo nipote. Lo si avverte dal modo in cui Confalonieri osserva silente il piano inclinato del gioco politico, dove il silenzio non è di assenso per ciò che il Cavaliere si appresta a fare, ma è carico di umana comprensione verso l’amico di una vita. Lo si coglie nei sospiri di Marina, che spera ancora in una soluzione positiva ma è convinta che alla fine prevarrà nel padre la componente psicologica. Lo si respira tra quanti vivono accanto all’ex premier, e da un mese ne osservano gli stati d’animo, le nottate insonni passate nel parco con il cane Dudù.
«Non si può stare a letto con il nemico», sostiene Berlusconi. Il punto è che nel Pd Berlusconi non viene più visto come «il nemico», cioè come il competitore, avversario alle prossime elezioni. Lo sanno anche nel Pdl, dove si discute di tutto ma non si dice ciò che non può esser detto: il Cavaliere è fuori gioco, e prima o poi bisognerà fare i conti con la novità. Le piccole beghe di potere alla corte di Versailles, la lotta per le stanze nella nuova sede, sono l’anticipazione di ciò che sarà e che non è ancora. Per esempio, come farebbe Berlusconi a gestire il ruolo di capo della coalizione in campagna elettorale, se persino per un’intervista dovrebbe chiedere l’autorizzazione al magistrato?
Eppure c’è un motivo se il Cavaliere non demorde, se resta l’alfa e l’omega per un partito che sta per cambiare. Perché il passaggio a Forza Italia è pronto, sarà a immagine e somiglianza del «presidente», e non prevederà l’azzeramento della squadra, visto che al fianco del leader verrà riproposta la stessa struttura apicale del Pdl, con Alfano alla guida di un comitato ristretto di cui faranno parte i coordinatori Verdini e Bondi, i capigruppo Schifani e Brunetta, e il tesoriere Crimi. Somiglia tanto a una macchina elettorale, che non si sa se e quando potrà andare in pista. Di sicuro non sarà più pilotata da Berlusconi.
Francesco Verderami

DINO MARTIRANO SU CORRIERE DI STAMATTINA
ROMA — Parte col freno a mano tirato la giunta del Senato che deve valutare la decadenza di Silvio Berlusconi dopo la condanna definitiva (4 anni per frode fiscale) infittagli dalla Cassazione. L’iter della giunta delle elezioni e delle immunità prenderà avvio lunedì 9 alle ore 15 con la relazione del senatore Andrea Augello (Pdl) ma sul prosieguo dei lavori è ancora notte fonda e l’ufficio di presidenza convocato a Sant’Ivo alla Sapienza nulla ha potuto decidere in mancanza di unanimità tra i capigruppo. Tutto rimandato a lunedì quando si metterà ai voti il calendario: una seduta a settimana (Pdl), due sedute a settimana (Pd), avanti di corsa a oltranza (M5S). In ogni caso, ha precisato il presidente Dario Stefano (Sel), ogni componente della giunta avrà a diposizione 20 minuti (molto elastici, in realtà) per intervenire sulla relazione di Augello, poi ogni gruppo avrà cumulativamente altri 60 minuti e il tutto si concluderà con la replica del relatore e le dichiarazioni di voto. Voto, si badi bene, che porterà, in caso di disco verde, alla decadenza, cioè all’apertura formale della procedura di contestazione nei confronti del senatore Berlusconi. Ora tutto dipende dal lasso di tempo concesso ai componenti della giunta che vorranno documentarsi dopo aver ascoltato la relazione di Augello. Su questo punto il presidente Stefano si mostra prudente: «La problematica è complessa e produrrà elementi di novità anche nella relazione di Augello per cui sarà arbitrio di ogni componente di sentirsi pronto a intervenire immediatamente o dopo. Lasceremo libertà di intervento». Sui tempi, dunque, si gioca il destino del seggio di Berlusconi: «Non vogliamo privilegi ma solo normalità perché Berlusconi deve essere trattato come tutti gli altri parlamentari», dice Elisabetta Casellati (Pdl). Che aggiunge: «Io tanta fretta in giunta non l’avevo mai vista». Per Felice Casson (Pd), «non c’è nessuna fregola di votare» ma è pur vero che nel giro di qualche giorno, «al voto bisogna andare, come stabilisce il regolamento. Punto».
Il relatore Augello ha tre strade: proporre la decadenza di Berlusconi, oppure la non decadenza, o un supplemento di istruttoria perché la legge Monti-Cancellieri-Severino (quella che determina la decadenza di chi è condannato a pene superiori a due anni) è alla sua prima applicazione. Quest’ultima sembra la via più praticabile dal relatore del Pdl ma Benedetto Della Vedova (Scelta civica) stoppa gli entusiasmi di chi parla di possibili profili di incostituzionalità: «Ascolterò con attenzione eventuali rilievi e proposte sulla costituzionalità ma, come parlamentare, 10 mesi fa ho votato la legge Severino-Monti che è passata alla Camera e al Senato dove non sono stati sollevati profili di costituzionalità. E l’ho votata perché convinto che fosse costituzionale». Enrico Buemi (Socialisti) ha avuto un vivace scontro con Michele Giarrusso (M5S) al quale ha detto che «in giunta non si usa la clava». Giarrusso ha commentato: «C’è stato un clima teso, abbiamo anche urlato». E se il governo va in crisi perché il Pdl stacca la spina, cosa succede alla giunta? Nulla: «Siamo interna corporis , noi votiamo anche a Camere sciolte», chiosa il presidente Dario Stefano.
Dino Martirano