Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  settembre 05 Giovedì calendario

BADOGLIO, IL MINUTO PIU’ LUNGO

La trasmissione durò in tutto circa un minuto. Dopo la breve introduzione dell’annunciatore Giovan Battista Arìsta, detto Titta, nella sede romana dell’Eiar (la Rai dell’epoca) di via Asiago prese la parola il maresciallo Badoglio, capo del governo, per annunciare che l’Italia si era arresa e quindi cessava le ostilità contro gli angloamericani, ma le sue forze armate avrebbero reagito «ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza». Erano le 19.42 dell’8 settembre 1943. Da quel momento il Paese precipitò nel caos, con gli Alleati che sbarcavano a Salerno e la Wehrmacht che dilagava in tutto il Centro Nord. L’Eiar, non sapendo che pesci prendere, si limitò a trasmettere musica, finché il 10 settembre i tedeschi non ne assunsero il controllo.
Settant’anni dopo, la voce di Badoglio risuonerà di nuovo dai microfoni di via Asiago della Rai domenica prossima, 8 settembre, alla stessa ora, per uno speciale di Radio3 a cura di Monica D’Onofrio e Giorgia Niso, condotto da Riccardo Giagni e dallo storico Marcello Flores, direttore scientifico dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione. Oltre a ritrasmettere il proclama, il programma presenterà altre testimonianze di notevole interesse, raccolte a suo tempo da Guido Crainz e Sergio Vecchio, tra cui quella di Arìsta, all’epoca molto popolare tra i radioascoltatori, e quella del tecnico Alberto Grassetti, che curò la messa in onda della breve trasmissione.
Emerge tra l’altro dalle loro parole e da una serie di documenti che Badoglio giunse alla sede dell’Eiar circa un’ora prima, verso le 18.50. In realtà il capo del governo la sera precedente aveva chiesto al generale statunitense Maxwell Taylor di rinviare l’annuncio dell’armistizio, che era stato firmato a Cassibile (Siracusa) il 3 settembre. Ma gli angloamericani non lo avevano ascoltato. Alle 18.30 il comandante alleato Dwight Eisenhower, futuro presidente degli Stati Uniti, annunciò la resa italiana dalla radio di Algeri. E Badoglio non poté fare altro che precipitarsi a via Asiago per rivolgersi alla nazione e confermare la notizia. In automobile con lui c’era il maggiore Luigi Marchesi, che lo descrisse in seguito come «molto triste e depresso».
Furono avvertiti che sarebbe stato opportuno aspettare: non era infatti orario di trasmissione (all’epoca i programmi occupavano solo una parte della giornata) e quindi il proclama non sarebbe stato udito da nessuno. Così Badoglio dovette fare anticamera per diversi minuti, insieme ad Arìsta, nella stanza riservata alle personalità di prestigio, mentre Grassetti, in sala di regia, preparava le attrezzature per la trasmissione. Nel frattempo davanti alla scalinata e nel corridoio d’ingresso si era raccolta una piccola ressa di curiosi: non capitava tutti i giorni che il capo del governo si recasse all’Eiar senza preavviso.
Subito dopo aver pronunciato il messaggio, racconta ancora Grassetti, Badoglio si allontanò rapidamente: il giorno dopo sarebbe fuggito a Pescara con il re, abbandonando la capitale e il Paese al loro destino. Intorno alla sede dell’Eiar, racconta ancora il tecnico, la gente cominciava a uscire dalle case per festeggiare quella che sperava fosse la fine delle ostilità e delle sofferenze. Ma la situazione prese presto una brutta piega: nel panico generale gli alti papaveri della radio si eclissarono, come raccontò Enzo Forcella in uno scritto ora raccolto nel volume antologico Apologia della paura, a cura Sandro Gerbi e Raffaele Liucci (Aragno, pp. 350, € 25).
Grassetti conferma: «Ci fu un grande assenteismo dei dirigenti in quelle ore. E noi non facevamo altro che trasmettere montagne di dischi, soltanto musica. Ogni tanto arrivava un funzionario con un pacco di dischi e diceva: mandate in onda questi». Poi arrivarono i tedeschi e la musica cambiò.
Antonio Carioti