Guido Olimpio, Corriere della Sera 05/09/2013, 5 settembre 2013
LA PATTUGLIA TUNISINA CON I MICROCHIP AGLI ORDINI DELLA CIA — E’
l’ora dell’intrigo. Con le voci e le notizie che si mescolano aggiungendo «nebbia» in uno scacchiere già confuso.
Un messaggio attribuito ad Al Nusra, gruppo ribelle siriano di ispirazione qaedista, racconta di una decina di «spie» americane appena entrate dalla Giordania e scoperte dai militanti a Deraa. Jihadisti tunisini, secondo l’accusa, che avrebbero dovuto guidare gli attacchi dei droni Usa celando segnalatori elettronici nelle basi dei militanti. In un post su Facebook, i terroristi annunciano che saranno giustiziati, probabilmente già in queste ore. Una sentenza accompagnata dalla foto di un cappio.
La storia, complicata e da verificare, sembra combaciare con alcuni fattori emersi in queste settimane. Vediamoli nel dettaglio. 1) Barack Obama ha rivelato ai congressisti che un primo reparto di insorti siriani addestrati dalla Cia in Giordania sono da poco attivi sul fronte a sud di Damasco. Le presunte spie, se davvero esistono, appartengono a questo nucleo? 2) Al Nusra, da giorni, afferma che i missili americani potrebbero colpire non solo il regime ma anche i suoi accampamenti. Infatti, gli estremisti ne hanno sgomberati diversi. 3) Nelle audizioni al Congresso è apparso chiaro che gli Usa hanno forti timori che le armi chimiche possano finire un giorno nelle mani dell’ala più radicale della ribellione, uno scenario che potrebbe persino costringere a un’azione terrestre americana. John Kerry lo ha fatto capire. 4) La Casa Bianca ha promesso di lanciare un programma di aiuti militare in favore degli insorti, ma tra i consiglieri continuano ad esserci molti dubbi. Non è sempre facile distinguere tra ribelli «buoni» e quelli «cattivi», fazioni che cambiano a volte a seconda dello sponsor del momento.
E’ allora possibile che gli Stati Uniti, insieme ai servizi giordani, stiano monitorando da vicino i guerriglieri di Al Nusra e sfruttino, per infiltrarli, l’afflusso costante di volontari nord africani e europei. Manovra che ha i suoi rischi. E che magari ha indispettito altre intelligence (sauditi? Qatar?) che sostengono le componenti islamiste. Uno dei tanti «duelli» all’interno della crisi siriana. A Washington si è convinti che lo scontro con i qaedisti di Al Nusra sia inevitabile.
Non meno complesso il caso del generale Ali Habib Mahmoud, ministro della Difesa siriano fino al 2011. Fonti affermano che è scappato in Turchia senza però unirsi agli insorti mentre Damasco nega — «Nessuna fuga, si trova a casa sua» e Ankara afferma di non saperne nulla. Alawita, uomo di prestigio, ha guidato le truppe siriane durante la prima guerra del Golfo, ha allacciato buoni rapporti in Occidente e in Arabia Saudita. Mahmoud, però, ha perso il posto nell’agosto di due anni fa. Una versione parlava di un siluramento perché si era rifiutato di far bombardare la città di Hama. Una scelta che poteva farlo passare per un dissidente, anche se l’Unione Europea e gli Usa lo hanno inserito nella lista nera per il coinvolgimento nella repressione. Persa la poltrona, lo avevano dato per morto, forse a causa di un infarto oppure fucilato. La tv statale, per smentire, lo aveva mostrato in un video.
Più di recente la figura del generale sarebbe stata evocata dal principe Bandar, il capo dei servizi sauditi e grande tessitore di trame, in occasione di un colloquio con Vladimir Putin. Per Riad il generale potrebbe essere la figura adatta a guidare una transizione del potere in quanto darà garanzie agli alawiti (e alle altre minoranze), è riconosciuto come interlocutore da molti paesi e sarebbe accettato da una parte dell’opposizione. Un «abito» confezionato anche per un altro generale, Manaf Tlass, rifugiatosi in Francia nel luglio 2012 e poi rimasto nel limbo.
Guido Olimpio