Lorenza Sebastiani, Vanity Fair 4/9/2013, 4 settembre 2013
CHE RIDERE CALDEROLI
[figlie di Cécile Kyenge]
«OGNI VOLTA CHE LA OFFENDONO LE DICIAMO DI LASCIAR PERDERE. E le ricordiamo quanto le vogliamo bene, e che noi tifiamo per lei». Maisha e Giulia Grispino, rispettivamente 20 e 18 anni, hanno un gran da fare a consolare la madre, Cécile Kyenge. Soprattutto da quando è diventata il primo ministro di colore della storia d’Italia, e su Internet fioccano insulti.
L’hanno chiamata in tutti i modi: da «scimmia congolese» a «governante puzzolente», da «negra anti-italiana» a «ministro bonga bonga», da «parassita» a «nero di seppia», da «zulù» all’ormai celeberrimo «orango». Lei non ha mai replicato. «Siamo noi a chiederglielo», ribadiscono Maisha («ma il mio nome significa Vita») e Giulia.
Entrambe vivono a Castelfranco Emilia, in provincia di Modena, uno dei territori italiani con il più alto tasso di integrazione degli immigrati. Sono cattoliche e molto credenti, «come la mamma»; studiose e appassionate di materie umanistiche («la matematica proprio non è il nostro forte»). Amano uscire con gli amici, come si evince dai loro profili Facebook.
Maisha studia Costume e moda all’università e vuole fare la stylist; Giulia è al quinto anno di liceo classico, canta in un gruppo jazz e sogna di sfondare nella musica. «Ho partecipato ai provini di X Factor, ma purtroppo non li ho superati», dice.
Quanto all’impegno politico della mamma, ci sono abituate: «Eravamo piccole quando nel 2004 è entrata nella giunta comunale».
Ma nell’aprile di quest’anno è cambiato tutto: l’incarico da ministro dell’Integrazione, la scorta, gli insulti. E una vita diversa.
Tutto è cambiato improvvisamente, per voi. Che cosa resta dei vostri obiettivi?
Maisha: «Cerchiamo di vivere e comportarci come se non fosse accaduto nulla, ma non è facile».
Giulia: «Manteniamo i nostri sogni. Io ne ho due: restare in Italia a studiare Medicina, oppure andare all’estero per provare a sfondare nella musica».
Maisha: «Negli Usa, magari, vero? Giulia lo dice sempre. Certo, in America sono molto più avanti dal punto di vista dell’accettazione dell’altro, del diverso».
Vi piacerebbe se anche in Italia fosse così?
G: «Sì, ma il percorso di integrazione deve partire anche da noi. Inutile andarsene. Se gli immigrati non provano a dare qualcosa al Paese nel quale approdano, non si vedrà mai alcun cambiamento».
Ma voi siete italiane.
M: «Completamente. Siamo nate qui. In Congo ci siamo state solo due volte. Eravamo piccole, io avevo sette anni, Giulia cinque. Mi piacerebbe tornarci, ma più che altro per il panorama, non per viverci».
G: «Idem. Ricordo che erano venuti anche i nostri nonni italiani, e che il nonno africano era di buona forchetta. Era talmente felice di vederci, che alla fine fece indigestione».
Il vostro nonno congolese ha una quarantina di figli. Che cosa pensate della poligamia?
M: «Non lo giudichiamo per le sue scelte, è la sua cultura. Ma è la sua, io non sceglierei mai di essere poligama o di avere un marito poligamo!».
G: «Sono d’accordo».
Di questa Italia che cosa pensate?
G: «È un Paese straordinariamente accogliente. Ma a livello di razzismo è rimasto indietro rispetto ad altri Stati europei».
M: «Però, nostra madre è arrivata qua ed è stata aiutata a inserirsi. Diciamo che la parte razzista è una minoranza, solo che urla forte e si fa sentire bene. D’altronde l’ignoranza non avendo altri mezzi si esprime così».
Siete mai state vittime di discriminazione?
G: «È capitato. Io, per esempio, ho avuto problemi con un controllore. Mi chiedeva costantemente l’abbonamento, finché un giorno mi sono rifiutata di mostrarglielo. Era l’ennesima volta che mi fermava, ho chiamato mio padre e gliel’ho passato».
M: «Sugli autobus ne abbiamo viste di tutti i colori. Se il controllore vede una bella ragazza senza biglietto, le dice: “La prossima volta però compralo”, mentre se incontra uno straniero dice: “Adesso andiamo in questura, vediamo i documenti”. Non lo dico per difendere chi non compra il biglietto, intendiamoci. Però non tutti hanno lo stesso trattamento».
Tutto quello che è successo negli ultimi mesi ha rafforzato il vostro legame?
M: «Sì. Poteva accadere anche il contrario, invece non siamo mai state così unite come adesso».
Prima com’era?
M: «Avevamo un rapporto molto più conflittuale. Adesso litighiamo raramente e solo per i vestiti! E ci confidiamo su tutto».
Fidanzati compresi?
G: «Su quello c’è poco da dire, ho chiuso una storia dopo due anni e mezzo con un ragazzo di Modena. Una storia bellissima, ma è finita male».
M: «Io, invece, sono ancora single».
G: «Tu sei anche diffidente. Lo sei per natura, figuriamoci adesso che la mamma è diventata un ministro».
Perché, che cosa succede ora che vostra madre è ministro?
G: «C’è gente che prima non ci parlava nemmeno, e ora viene lì e cerca di attaccare bottone. Difficile capire se ti puoi fidare».
Parlate spesso di vostra madre, tra di voi?
G: «È uno dei nostri argomenti principali. Siamo entrambe molto orgogliose di lei».
Che tipo di mamma è?
M: «È una donna che ha il potere di trasmettere tranquillità, sa ascoltare. La vediamo poco, solo nel weekend, ma questo paradossalmente ha intensificato il nostro rapporto. Quando sta con noi è totalmente nostra».
G: «Nonostante sia lontana, cerca di infonderci fiducia. Spero di non sembrare finta se dico che per me è la migliore madre che un figlio possa avere. La conosco nelle sue mille sfaccettature, mi stupisce sempre. È molto coraggiosa, non perde mai le staffe. Non so come fa».
Un difetto di vostra madre?
G: «È una ritardataria cronica. Ma è un vizio di famiglia, noi tutti abbiamo l’orologio impostato un quarto d’ora avanti».
M: «Ora è impegnatissima. Ma anche prima non ci rispondeva mai al telefono. Quando la chiamo risponde: “Ti chiamo tra mezz’ora”, e diventa un’ora e mezza».
Sembra anche ironica. Quando le hanno lanciato le banane, alla festa del Pd di Cervia, ha reagito definendo il gesto «un inutile spreco di cibo».
G: «Ci ha confidato: “Il loro obiettivo era quello di farmi vergognare, volevo rilanciargliele addosso”».
M: «Le ho detto: “Mamma, dovevi prenderne una e mangiarla”».
Come vi ha comunicato che sarebbe diventata ministro?
M: «L’avevo chiamata e lei al telefono ha tagliato corto, con una voce strana, emozionata. “Sono diventata ministro, ti chiamo fra poco”. E poi il suo telefono non prendeva più».
G: «Ricordo che Maisha mi ha inviato un sms: “La mamma è diventata ministro”. Io ho pensato che stesse scherzando, perché la prendevamo sempre in giro dicendole: “Sei la prima nera in Parlamento, ci manca solo che ti facciano ministro!”».
E poi che cosa è successo?
G: «Le ho telefonato e ho capito che era vero. Le ho detto che se lo meritava».
Vi ha spiegato che la vostra vita sarebbe cambiata?
G: «Ci ha detto che avrebbe avuto persone sempre intorno e ci ha intimato di stare più attente».
Vostra madre ha detto che andate spesso a trovarla a Roma, che la incoraggiate e le mandate sms affettuosi e spiritosi. Che cosa le scrivete?
M: «Battute, per farla un po’ ridere. Ma lei è autoironica. Mia zia mi ha raccontato che quando è andata a farle visita le ha detto: “Benvenuta in casa dell’orango”».
Ha anche dichiarato che teme per la vostra sicurezza.
M: «Le abbiamo detto di non preoccuparsi. Non abbiamo mai avvertito un vero pericolo, e cerchiamo di non pensarci. Gli insulti non li consideriamo. All’inizio eravamo noi a temere per lei, ma ormai è più grande l’orgoglio della paura».
Qual è l’insulto che vi ha ferito di più?
M: «Quello di Dolores Valandro della Lega. Come può una donna augurare a un’altra di essere stuprata? Le donne possono immaginare meglio di un uomo le ripercussioni psicologiche di una violenza sessuale».
G: «Nostra madre non è solo nera, ma è una “donna nera”. Quindi gli insulti colpiscono due categorie. Ricordo che mi ferì l’esternazione su Facebook del segretario della Lega Nord di Nonantola, Francesco Bellentani, contro di lei e Khalid Chaouki. Disse: “Dovremmo fare come i kamikaze giapponesi. Prima del gesto estremo, ucciderne almeno 20 di loro”».
L’avete mai vista «colpita» da questi insulti?
G: «Mai. Noi sappiamo ciò che la ferisce, ma non ce lo dimostra. Quando è arrivato l’epiteto dell’orango di Calderoli ero con lei. È scoppiata a ridere, con il comunicato in mano. L’ho guardata e le ho detto: “Mamma, tu sei bellissima, altro che orango!”».
Quali tra le sue battaglie vi rendono più fiere di lei?
M: «Sono felice che abbia portato anche in Italia lo ius soli. È brutto vivere in una terra che non ti vuole riconoscere come figlio, se tu vuoi invece darle qualcosa di grande in cambio. Forse l’Italia non è prontissima, ci vorrà un po’ di tempo».
G: «Io condivido di più la battaglia per la chiusura dei Cie (i Centri di identificazione ed espulsione degli immigrati, ndr), ho partecipato a varie manifestazioni sul tema. Sono luoghi in cui avvengono fatti e vicende discutibili».
Da come vi esprimete potreste avere un futuro in politica.
M: «Giulia, parla con te, la giornalista...».
G: «Per ora voglio cantare, ma non lo escludo. Quest’anno volevo propormi come rappresentante di istituto. Ho questo difetto che mi impiccio sempre per difendere gli altri».
Una curiosità. Mario Balotelli ha dichiarato che «il razzismo non si può cancellare. È come le sigarette: non puoi smettere di fumare se non lo vuoi e non puoi fermare il razzismo se la gente non vuole farlo». Che ne pensate?
M: «Ha ragione, serve volontà e voglia di considerare ogni singolo caso. Faticoso, lo so».
G: «I cori razzisti agli stadi sono un esempio raccapricciante dell’Italia. Balotelli è un bell’esempio, un ragazzo determinato che aiuta la campagna di nostra madre. Noi, però, tifiamo Sassuolo!».