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 2013  settembre 04 Mercoledì calendario

LOMBROSO, UNA SCIENZA SENZA LIBERTA’

Cesare Lombroso non è finito nel dimenticatoio. Esiste anche un aggettivo d’uso comune, «lombrosiano», che richiama le sue teorie, secondo cui gli individui con tendenze criminali sarebbero contraddistinti da peculiari tratti somatici. È però un autore che suscita tuttora discussioni aspre, nelle quali orientarsi non è facile. Può senz’altro aiutare, a tal proposito, la riedizione del suo libro L’uomo delinquente, un ponderoso volume che esce oggi nella collana «Il pensiero occidentale» di Bompiani (pp. XXIII-2138, € 40).
«Questa opera di Lombroso — spiega il direttore della collana, Giovanni Reale — ha avuto ben cinque edizioni, con successivi cospicui ampliamenti e arricchimenti: dalla prima edizione del 1876 di 256 pagine alla quinta del 1897 in quattro volumi, ormai irreperibile sul mercato e difficile da trovare anche in biblioteca, che ora abbiamo raccolto in un volume unico di oltre duemila pagine. Il testo è corredato da una preziosa presentazione di Armando Torno, che, con grande perizia di bibliofilo, ha descritto le singole edizioni e ha indicato la straordinaria diffusione del pensiero di Lombroso, giunto fino all’Istituto del cervello di Mosca».
Eppure può sembrare discutibile riproporre oggi L’uomo delinquente, in cui Lombroso, nota Reale, «porta alle estreme conseguenze i caratteri strutturali della "fisiognomica", per spiegare i criminali nelle loro diverse forme». Infatti quelle teorie sono da tempo ritenute inservibili da criminologi e antropologi. Ma Reale difende la scelta compiuta: «Scientificamente la costruzione di Lombroso non regge: lui stesso, a un certo punto, ne attenua molto la portata, quando riconosce l’incidenza dell’ambiente sociale nei comportamenti umani. Ma storicamente il suo contributo resta importante. La pubblicazione di questa opera, che ha richiesto un lavoro assai complesso, fa onore all’editore Bompiani, che con grande coraggio l’ha resa accessibile a tutti, e colma un vuoto culturale. Finora era stato riedito solo il volume della prima esile edizione, oltre a brani compresi in raccolte antologiche».
Non si rischia di provocare polemiche con questa riedizione? Lombroso è stato accusato di aver alimentato pregiudizi razzisti contro gli italiani del Sud e il riallestimento a Torino del Museo di antropologia criminale, a lui intitolato, ha suscitato reazioni negative. «L’opera di Lombroso può dare adito a critiche del genere. Ma il criminologo veronese esamina la caratteristiche fisiche dei vari gruppi etnici e ne studia le differenze con metodo scientifico, senza farne derivare l’inferiorità morale di un popolo rispetto a un altro. Il suo non è un rifiuto della diversità: esprime giudizi di natura analitica, non etica. Quanto al Museo di Torino, se presenta Lombroso come punto di riferimento storico che va conosciuto, non vedo obiezioni. Diverso sarebbe se volesse riproporre le sue teorie come tuttora valide o comunque accettabili».
Tra l’altro va sottolineato che in campo filosofico Reale, cattolico e attento studioso del pensiero di Platone, si colloca agli antipodi del materialismo positivista di Lombroso: «La collana ha un orientamento a 360 gradi, nel senso che comprende opere di tutti i filoni di pensiero, anche in netta opposizione reciproca. C’è posto per il positivismo come per la mistica. La contraddizione in quanto tale non è un dramma: è tipica dell’uomo ed è sempre uno stimolo a guardare oltre gli orizzonti consueti, a interpretare la realtà in termini dialettici. Molti errori sono stati compiuti nella storia per non aver tenuto conto di quanto sia complesso il mondo e di quanto sia contraddittorio l’uomo».
D’altronde la fisiognomica, «dottrina secondo la quale i caratteri psicologici e i comportamenti morali delle persone derivano dalle loro caratteristiche fisiche, e soprattutto dai tratti del loro volto e dalle espressioni che assumono», non è nata con il positivismo ottocentesco. Le sue origini risalgono all’antica Grecia. «Il primo personaggio che si è presentato come esperto in materia — ricorda Reale — è Zopiro. In una riunione ad Atene, basandosi sui tratti caratteristici del volto di Socrate, trasse le conclusioni che doveva essere affetto da vizi di vario genere, suscitando grandi risate di dissenso. Socrate, invece, lo difese, dicendo che egli era per natura veramente così, prima che la ragione, con la filosofia, lo trasformasse».
Poi la questione è stata ripresa in epoche successive, ma raggiunge una forma precisa, rileva Reale, proprio con gli studi di Lombroso. «È lui che fornisce a tale indagine una vera e propria sistemazione metodologica e scientifica ad alto livello. L’epistemologo americano Thomas Kuhn ha dimostrato che il fulcro delle teorie scientifiche consiste in un "paradigma", ossia in una sorta di modello ideale, in funzione del quale si guarda la realtà e si praticano le ricerche. Le osservazioni e le varie esperienze degli scienziati sono fatte sempre e in prevalenza in funzione di un paradigma. In tal senso si può dire che nessuno prima di Lombroso aveva fatto un lavoro così rigoroso e sistematico sulla fisiognomica e aveva raggiunto i suoi livelli. Pertanto, L’uomo delinquente si impone, dal punto di vista dell’ermeneutica, come un punto di riferimento».
Colpisce soprattutto il carattere fortemente deterministico di questa visione: «Il pensiero di Lombroso — osserva Reale — si fonda su un materialismo positivistico, che considera la psiche umana e il comportamento dell’uomo dipendenti in larga misura dal corpo e dalla struttura del fisico. Afferma senza mezzi termini che "uomini con tipo craniometricamente e fisiognomicamente criminale, lo devono essere anche moralmente". Di conseguenza, Lombroso ritiene che per chi ha una certa struttura fisica il delitto diventi necessario: a suo avviso esso "appare, così dalla statistica come dall’esame antropologico, un fenomeno naturale, un fenomeno, direbbero alcuni filosofi, necessario, come la nascita, la morte, i concepimenti"».
Ma se i delinquenti nati non possono evitare di commettere delitti, come vanno trattati in sede di processo penale? Devono essere assolti? «Secondo Lombroso — risponde Reale — non sono persone moralmente responsabili, in quanto sono uomini condizionati dalla loro natura fisica, e nei quali il libero arbitrio non gioca alcun ruolo, però sono socialmente pericolosi proprio in quanto tali, e vanno trattati con "una perpetua detenzione"».
Insomma, l’ergastolo anche per il colpevole di reati lievi, nel momento in cui lo si bolla come appartenente a un certo tipo umano in base al suo aspetto esteriore. Qui emerge con chiarezza, secondo Reale, il grande limite del pensiero di Lombroso: «In lui manca l’idea della libertà, la quale, tranne che nei casi in cui la delinquenza coincide con la follia, ha, in ogni caso, un ruolo assai importante. Fëdor Dostoevskij sosteneva che la libertà costituisce l’essenza dell’uomo. Albert Camus diceva che la libertà è innegabile, ma che proprio questo costituisce il grande dramma dell’uomo: non poter non essere libero, e dover decidere ogni giorno e ogni momento sul da farsi nel corso della vita. Ma ciò che rende l’uomo veramente tale sta proprio in questo: nella capacità di scegliere fra il bene e il male».
Del resto lo stesso Lombroso, aggiunge Reale, finì per attenuare la radicalità delle sue tesi: «In un testo del 1893, L’eziologia del delitto, riconosce l’importanza che, oltre ai caratteri somatici, hanno i fattori ambientali e sociali nel comportamento dell’uomo e della spiegazione della delinquenza. Un’ammissione che però lo costringeva a modificare, e non poco, il quadro del suo paradigma di base. Più in generale su diversi temi il buon senso di Lombroso lo porta al di là del materialismo positivistico».
Per esempio? «Richiama a più riprese l’importanza della scuola e della famiglia nell’educazione dei minori. Lombroso non avrebbe potuto neppure alla lontana pensare a che punto oggi siamo giunti. Molti insegnanti mi dicono che, quando si lamentano con i genitori che i loro figli non si vogliono impegnare a studiare e imparano assai poco, si sentono rispondere che la colpa non è dei ragazzi, ma è della scuola e dei professori che non sanno stimolare né insegnare in modo adeguato».
Un altro punto caro a Lombroso era l’etica del lavoro. «Vedeva l’ozio — ricorda Reale — come il padre del crimine, perché aveva notato in molti condannati un autentico odio per il lavoro. Era convinto che annoiati e sfaccendati fossero dei potenziali delinquenti. È un’osservazione che mi è tornata alla mente quando ho appreso con sgomento, qualche tempo fa, la notizia di tre giovani americani che hanno ucciso un altro ragazzo semplicemente perché si annoiavano».
Antonio Carioti