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 2013  settembre 04 Mercoledì calendario

MA LA TERRA NON PUÒ MANTENERE TUTTI

È apprezzabile la chiarezza di chi ama le megalopoli e festeggia la nascita di un nuovo edificio o di chi pensa che la questione demografica non sia un problema quanto un’opportunità, ma è molto difficile essere d’accordo, se si conosce la situazione ambientale del pianeta Terra e la storia naturale dei viventi. Tanto per iniziare, il mondo non è affatto vuoto, perché non tutti i luoghi possono essere abitati: i due terzi sono mare e oceani, il resto perlopiù foreste, catene montuose e deserti invivibili. Gli uomini si concentrano per oltre il 50% nelle sottili pianure costiere e a ridosso dei fiumi: per fare questo, però, hanno disboscato, bonificato, distrutto dune e spiagge, massacrato rocce e scogliere, cancellato interi ecosistemi che, in ultima analisi, erano utili prima di tutto per gli uomini stessi. L’Egitto ha una densità di popolazione relativamente bassa (80 abitanti/kmq, la metà dell’Italia), ma se consideriamo solo l’area abitabile (intorno al Nilo) la sua densità diventa spaventosa: oltre 2000 abitanti per kmq. Generalmente gli uomini credono di bastare a sé stessi perché sono profondamente ignoranti della storia antichissima del complesso dei viventi. Sopportiamo la natura solo se addolcita, perché troppo crudele e selettiva, tant’è che amiamo soprattutto quella europea, lavorata dagli uomini per secoli. Ma quella non è natura originaria, è paesaggio, ugualmente importante, ma non sufficiente: se si dovesse vivere solo con quanto deriva da quest’ultimo non faremmo molta strada.

Del resto se non ci fosse stata selezione naturale nemmeno Homo sarebbe su questa Terra, ma la natura non è né buona né crudele, anzi sfugge per definizione alle categorie etiche in quanto sovraordinata e non classificabile. Per esempio le piante come i ficus (tra cui il «matapalo») sono la regola, siamo noi a chiamarle parassite, come siamo solo noi a chiamare «erbacce» le essenze che non ci tornano utili. Ma in natura non ci sono gerarchie, quelle le abbiamo inventate noi. Nella selezione naturale, peraltro, l’aspetto empatico è comunque prevalente, se serve a far progredire la specie nel suo complesso, a prescindere dai destini del singolo individuo. Homo rovescia quel rapporto: l’individuo può mettere in pericolo l’intera specie con c o m p o r t a m e n t i chesono, questi sì, fuori della storia naturale. E lo fa per via dell’unica differenza fra l’uomo e gli altri viventi, che non sta nell’intelligenza, nel linguaggio o nell’uso degli strumenti e nella sensibilità, ma solo nell’accumulo e nel profitto, sconosciuti in natura. L’evoluzione culturale ribatte quella biologica solo fino a che non entra in campo il fattore accumulo: quello per cui pochissimi detentori di ricchezza condizionano i destini della stragrande maggioranza di quelli che dovrebbero essere fratelli. E l’idea che ci si possa affrancare dalla povertà cercando di assomigliare al vicino più ricco suggestiona solo falsi sogni di frustrazione: la Terra non ha abbastanza risorse per mantenere tutti i suoi ingordi abitanti allo stesso stadio di «sviluppo» dei paesi più ricchi. È semplicemente un’impossibilità fisica, non un presupposto di chissà quale ideologia.

Non saprei dire se preservare integralmente natura sia un atteggiamento conservatore, ma parlare positivamente di nuove costruzioni, in Italia, fa un po’ ridere (o piangere). Ogni anno, nel nostro paese 200 mila ettari di territorio sono conquistati da cemento, asfalto e incendi: ogni secondo che passa si getta un metro quadrato di cemento in più, soprattutto di abitazioni abusive, strade e opere pubbliche inutili o incomplete. Se c’è un paese al mondo dove si dovrebbe preservare e basta è proprio il nostro, uno dei pochissimi dove non si può tracciare un cerchio di 10 km di diametro senza includervi almeno una costruzione, e dove solo il 29% delle coste è ancora intatto. L’unica modernità in Italia, l’unica capacità di futuro è quella di conservare e tutelare più natura integrale possibile. E se questo per caso vuol dire essere fuori moda, ce ne faremo una ragione.