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 2013  settembre 04 Mercoledì calendario

“MENO FREUD, PIÙ DNA: COSÌ SI ENTRA NELLA MENTE”

Come si dice da 2 mila anni, «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Giovanni 1,1-18). Curioso trovare una suggestione biblica tra gli studi delle neuroscienze. Eppure è così: il cervello assorbe parole, esperienze ed eventi che lasciano tracce organiche nel Dna e, dunque, proprio nel profondo della «carne». Al punto da modificare le direttrici biochimiche e fisiologiche che orchestrano l’organismo. Così, Gianvito Martino, direttore della divisione di Neuroscienze del San Raffaele Milano, ospite, lo scorso weekend, del Festival della Mente di Sarzana, ha anticipato i dettagli del suo nuovo saggio, «Il cervello gioca in difesa. Storie di cellule che pensano» (Mondadori), in libreria da fine settembre.

«Se un tempo il dialogo tra ambiente e cervello era dominio della psicoanalisi, oggi la neurologia riconosce le basi molecolari di questo rapporto, innanzitutto confermandone l’esistenza e poi spiegandone le ragioni». Possiamo quindi affermare che siamo quello che pensiamo e viviamo. Non è uno slogan, ma il risultato delle reazioni che avvengono nel «tempio dell’intelletto», sotto la pressione dell’ambiente: ogni memoria lascia un messaggio, una «cicatrice» a livello organico.

Ben inteso, i vissuti non sconvolgono l’integrità del Dna, ma il suo modo di «lavorare». Precisa, infatti, Martino che «l’esperienza modifica non tanto la struttura del Genoma, quanto la sua funzionalità». È una scoperta preziosa, dato che testimonia come più importante di cosa ci sia scritto in questo «libretto d’istruzioni» sia piuttosto come viene letto: il Dna è una raccolta di «ricette» per cucinare proteine, gli esecutori biologici che regolano i processi di quel laboratorio che è il corpo umano. Come il mago conosce certi «abracadabra» così l’ambiente recita continuamente il Genoma, come leggendo da un enorme «formulario» e cambiandoci giorno dopo giorno.

Ad attivare o disattivare le «formule» del Dna sono fattori che si trovano vicini ai geni e ne controllano l’attività. Così «l’esperienza - rosegue Martino - è in grado di “accendere” e “spegnere” geni che a loro volta danno istruzioni all’organismo». E il professore torna alla metafora del libro polisemico, dove i geni sono parole o frasi: «Silenziare un gene è come usare un correttore per cancellare intere digressioni, mentre attivare un gene è come usare un evidenziatore per risaltarne altre: dal senso ultimo che risulta nella lettura di questo Genoma, “visto e corretto” dai vissuti, l’organismo apprende come cambiare e comportarsi».

La plasticità del cervello rispetto agli eventi, così, ricorda la plasticità del sistema immunitario. Quando un trauma fisico, chimico o biologico - come nel caso dell’invasione di patogeni - mette in pericolo l’organismo, specifiche cellule «ordinano» al Dna di produrre le difese. In modo simile il cervello «è in grado di processare le esperienze negative, contemplabili proprio come risposte infiammatorie anomale, e quindi respingerle».

Questa «vita sommersa» e questa vitalità del cervello sono l’ulteriore sorpresa di un organo che si rivela sempre più complesso e dinamico. Martino ricorda, sempre nel parallelo con i sistemi di difesa dalle malattie, che «il cervello, per tanto tempo, è stato considerato impenetrabile dal sistema immunitario, sia per via della struttura, avvolta da importanti barriere protettive, sia perché la risposta immunitaria porta con sé l’infiammazione, potenzialmente molto dannosa. Ma poi si è pensato che, dopotutto, data l’importanza dell’organo che contiene l’Io biologico, l’immunità potesse e dovesse operare anche in questo “santuario”». La prova che effettivamente è così è stata poi trovata nell’evidenza che alcune malattie neurodegenerative sono scatenate proprio dall’infiammazione di neuroni che, in seguito, muoiono, come nel caso del Parkinson.
È un dato che fa ripensare il dogma che vor­ rebbe il cervello isolato e monolitico. Gli studi sul­ l’immunità neurologica raccontano il contrario: il cervello cambia grazie alle staminali neurali che riparano danni e crescono influenzate dall’am­ biente. «Può sembrare l’uovo di Colombo ­ con­ clude Martino ­ perché è facile intuire che la no­ stra forma mentis sia forgiata dagli altri e dal tempo. Ma finora non avevamo prove. Diverso è osservare le basi molecolari della plasticità del cervello rispetto all’esperienza».