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 2013  settembre 04 Mercoledì calendario

INTERVISTA A VECCHIONI: «A VOTARE IO VADO ANCORA»

L’hanno chiamato a parlare dei suoi poeti greci e latini. Lui non vedeva l’ora. Mantova è dietro casa, a Roberto Vecchioni il Festivaletteratura ha riservato un incontro di metà mattina, domenica. Le 11.15, orario di messa, solo che si fa in una sagrestia, quella della chiesa di San Barnaba. Il titolo è una domanda, semplice e di certo un po’ retorica, a cui il professore sa rispondere già benissimo, per forza, il professore è preparato, è bravo: come suona la poesia antica?
«Suona come la più moderna di tutte», dice lui. «Il Festival finalmente si è accorto che tutto quello che scriviamo, diciamo e facciamo lo dobbiamo all’impronta lasciataci dal mondo antico. Dal nostro mondo antico, naturalmente, perché di mondi antichi ce ne sono molti. Niente di ciò che è stato scritto dopo i greci e i latini è nuovo. Nella tragedia greca c’erano già tutto il dolore, il piacere e la gioia che si possano immaginare. Chi è venuto dopo ha potuto solo riscrivere, da Shakespeare in qua. E la Grecia ci ha insegnato non solo questo teatro straordinario che poi s’è fatto dramma, ma anche la poesia epica e lirica. I greci erano già molto più avanti dei poeti del Settecento e dell’Ottocento, tranne Leopardi e pochi altri».
Dice che il Festival “finalmente” s’è accorto dell’importanza delle lettere antiche.
Prima non gli avevano mai dedicato una sezione vera e propria. Quest’anno sì (si intitola Il paese più straniero, ndr). Anche se io ho il timore che molti miei colleghi parleranno dottoralmente, con termini alti e accademici che non faranno capire un cazzo a chi ascolta. Colleghi che a tratti trovo persino noiosi. Ma ci saranno sicuramente delle eccezioni.
Vecchioni da Festival a Festival, da Sanremo a Mantova. E negli ultimi anni la sua produzione letteraria sembra avere perlomeno pareggiato quella cantautorale.
Si tratta di forme, solo quello. La canzone è più diretta, rapida, improvvisa, arriva subito. La narrativa è più studiata, più meditata. Dà l’intimo piacere di caratterizzare personaggi, ambienti, raccontare storie, mentre la canzone racconta un sentimento, o l’attimo di un sentimento. E da quando ho provato questo piacere non mi sono fermato più.
Tra autunno e inverno, come al solito per Einaudi, uscirà il suo nuovo libro.
Sì. È un romanzo epistolare. Un genere ormai dimenticato, che era diffuso non solo nell’Ottocento ma anche nell’antichità. Nei tempi moderni è quasi archeologia. Oggi, con le mail, i messaggi, le lettere non si scrivono più. È un romanzo stranissimo, con un protagonista che non appare mai. Ci sono solo le lettere che gli altri indirizzano a lui, che è scappato, non si fa più trovare. Tutti gli scrivono e gli chiedono cose che solo lui può sapere. E poi c’è un amore che l’attraversa.
Con la modernità, in ogni caso, i conti si devono fare per forza. La sorprende più la letteratura o la musica di oggi?
La letteratura, senza dubbio. Modi di scrivere che trovo sempre più belli, nuovi, toccanti. Quando ho scoperto Coetzee o Coe sono stato felice, ma mi piacciono molto anche certi italiani. La musica, soprattutto il jazz e la sinfonica, è un godimento da occhi chiusi, del momento. La letteratura ti fa continuamente ripensare, riflettere. Forse non dovrei dirlo ma amo la parola più della nota. La parola, come diceva Pessoa, è un’entità tattile. La puoi sentire, toccare.
Da Pessoa alle beghe italiane del 2013, anche se ci vuole un bel coraggio: che impressione le ha fatto l’intervista rilasciata da Francesco De Gregori al Corriere, qualche settimana fa? Anche lei non si sente più rappresentato da questa sinistra?
Nel mio nuovo disco che uscirà a ottobre ci sarà una specie di presa di posizione particolare sul tema. Non posso anticipare molto: solo che certe questioni mi interessano sempre meno, che ho a cuore faccende un po’ più alte, che vengono prima dell’attualità politica. Detto ciò, quello di De Gregori è un parere suo, anche abbastanza accettabile. È stato sincero. Dopotutto è giusto che le persone nel tempo riflettano e cambino perfino idea. D’altronde su molte cose gli sono vicino. C’è di che essere scontenti, ma non solo riguardo al nostro piccolo villaggio italiano. C’è una sorta di crisi mondiale nella capacità di star dietro alle idee. Una rabbia inconsulta nei popoli. Questa cultura tecnica, il dogmatismo, gli integralismi, hanno rovinato la nostra natura. Prendiamo questo enorme solco che s’è scavato tra cristianesimo e islamismo, poi, la gente che si differenzia sempre di più anziché unirsi come sembrava possibile solo qualche anno fa. Sono un po’ pessimista.
E la sinistra italiana?
Io ho una sinistra d’anima, mia personale, da quando sono nato. Un illuminismo delle attese lontano dal partitismo e dai personaggi della nostra sinistra. Il sentimento però rimane. Come uno che continua ad avere fede in Dio anche se i preti sono corrotti.
Magari quello, però, poi alla messa non ci va. Lei, a messa, e cioè a votare, ci va ancora?
Quello sempre. Io voterò sempre.