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 2013  settembre 03 Martedì calendario

LA METAMORFOSI DI CESARE

Dice il saggio: «Si nasce incendiari e si muore pompieri». Ma capita a volte di nascere «con le ali sotto i piedi», sguidazzando con la Vespa «per i colli bolognesi», per finire giurato al Festival del Cinema di Venezia.
Eccolo lì, il Cesare Cremonini, camicia bianca, occhiali neri, quel velo di barba engagée, lo sfondo del Lido, le ragazzette attorno, divo umile che «si dà un contegno», come si conviene a un componente della giuria di qualità per le colonne sonore. Come si conviene a un ex cantante a scadenza, consacrato artista totale. Come si fa a passare dal successo per l’estate, quella del 1999, da un gruppetto in odor di boyband in salsa emiliana, i Lunapop, alla carriera solista pluipremiata, molto apprezzata, nel giro di quattro dischi appena? Da compatito moccioso a venerato maestro, ancorché 33enne appena?

CESARE TRA CINEMA E LIBRI. Bisognerebbe chiederlo a lui, magari anche a chi l’ha guidato per le strade della musica, del cinema (tre film, l’ultimo con Pupi Avati, Il cuore grande delle ragazze), delle colonne sonore per il cinema e per il teatro, delle sigle, come quella per il Giro d’Italia di quest’anno, Mezza Estate, per i brani scritti con e per altri artisti, e non poteva mancare il libro autobiografico (intitolato, manco a dirlo, Le ali sotto i piedi).
Di solito, dietro questi casi di eclettismo spinto c’è una macchina manageriale, di comunicazione, che funziona benissimo. Ma è anche vero che, senza la capacità di adattarsi e insieme di osare, di cambiare registro, di evolversi, nessun management può fare molto, almeno a gioco lungo.Vexata quaestio: erano i critici a sbagliarsi o fu l’artista a stupire?

IL LIDO DI VENEZIA NEL DESTINO. Comunque va preso e dato atto che, anche negli angusti recinti delle canzonette leggere, non lo costruisci un singolo da 100 mila copie (50 Special, appunto), se un talento di base non ce l’hai, se non sai dove mettere le mani: dopo, puoi insistere su quel registro oppure avventurarti in te stesso.
Tanto vero che nel primo e unico album dei Lunapop, alla fine una vocetta fantasma, di bimba, recita alcuni versi de Il Pagliaccio, brano che sarebbe stato nato nove anni dopo, nel quarto album solista di Cremonini. Era già tutto previsto, non fu caso ma destino questo approdo al Lido, questo duettare con un altro faro redento della post intellighenzia cantautorale, il Jovanotti dell’edonismo cecchettiano, lo ricordate anche lui in sella, «Sei come la mia moto, sei proprio come leeei», con l’ex comico Beppe Grillo che a Sanremo voleva trucidarlo, mentre oggi discetta di strategie e sociologie in seno al Pd.
Un altro che si è salvato dalla trappola dell’insostenibile leggerezza, è quello dell’Uomo Ragno ammazzato, Max Pezzali, all’epoca compatito con ferocia inaudita: poi lui sciolse gli 883, e, come Cremonini, si vendicò, mettendosi in proprio, facendo incetta di apprezzamenti, di album premiatissimi, dandosi alla letteratura, al cinema, alle giurie (su Mtv) e quant’altro; e adesso, non a caso, duetta con l’ex rivale Cesare, nel brano Gli Anni, già vecchio singolo degli 883: e pare quasi un esorcismo.
Una volta i cantanti erano più seri.


NON CI SONO PIÙ I CANTANTI D’UNA VOLTA. Facevano i cantanti e basta, come nascevano, morivano: c’era quello triste, dolente, alla Sergio Endrigo, quello confidenziale come Fred Bongusto, il tormentato destinato a chiudere presto alla Luigi Tenco, l’ombroso tipo Gino Paoli, c’erano il barbudo consapevole, il polimorfo perverso, la squinzia, la maledetta: tutti fedeli alla loro linea, immutabili anche se cadevano in un musicarello: Gianni Morandi recitava se stesso, il fidanzato delle italiane, l’eterno ragazzo rimasto tale anche oggi che vede i 70 anni.
Qui invece non si capisce più niente, non fai in tempo a sfottere uno che ha fatto una canzoncina da spot dei telefonini (Vorrei), che te lo ritrovi giudice severo e implacabile a un festival del cinema. Oggi, probabilmente, Roberto ’Freak’ Antoni non scriverebbe più un libro intitolandolo Mia figlia vuole sposare uno dei Lunapop (non importa quale).

SULLA SCIA DI GIORGIO FALETTI. Il padre di tutti queste insospettabili farfalle di qualità chiuse nel bozzolo della temperie disimpegnata, fu Giorgio Faletti, il comico di Drive In, quello dello sfigato il ’giumbotto’ e del caramba Vito Catozzo, che un giorno, proditoriamente, si presentò a San Remo per cantare la drammatica Signor tenente.
Già lì si capiva che il «porco il mondo che ci ho sotto i piedi» si andava ribaltando. Faletti, non contento, si permise poi di divenire scrittore noir da scatafascio di copie, con tanto di pizzo e cipiglio alla Coelho: e che gli dici più? Erano creatori di tormentoni usa e getta: ma quei tormentoni sono rimasti e intanto loro sono cresciuti, fanno i giurati, decidono di altri talenti, quelli che, forse, prenderanno il loro posto. Dopo l’insostenibile leggerezza di quegli anni fine 80-inizio 90, cosa resterà di questi incomprensibili Anni 10 del terzo millennio? Quali insospettabili giovanotti si preparano a fiorire, smentendo chi oggi non resiste all’acre gusto del compatimento?