Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  settembre 03 Martedì calendario

UNO SCIENZIATO VERO RIDOTTO DALLA VULGATA A COLLEZIONISTA DI OSSA

Cesare Lombroso (1835-1909), teorico della correlazione fra costituzione genetica e comportamento criminale degli individui, è il grande rimosso della cultura italiana. E di conseguenza è uno specchio su cui essa si rifrange continuamente. Ove cioè si mostra tutto il lato oscuro, e quindi ideologico, dello spirito nazionale dominante. Sicuramente molte tesi di Lombroso sono oggi superate, ma è naturale: la scienza prosegue per confutazioni e nuove affermazioni, in un processo inarrestabile. Ma da qui a dimenticarsi di lui, anzi a farlo divenire tabù per sue tesi che si vorrebbero anticipatorie delle teorie razzistiche, ce ne corre!
E la distanza misura tutta l’incapacità che la cultura nazionale ha a misurarsi in modo non ideologico e prevenuto, senza totem politici, con la propria storia, che va vista sempre in modo dialettico e non manicheo. E che soprattutto deve tener conto del ruolo apportato al progresso anche da “irregolari” e “visionari” come l’autore de L’uomo delinquente - il capolavoro del 1876 ora ripubblicato da Bompiani nella splendida collana “Il pensiero occidentale” (pp. 1300, euro 40).
Nome scomodo
È grave che oggi Lombroso non possa essere nominato senza sfigurare solo perché il suo nome è considerato politicamente scorretto. Grave è che nessuno si prende la briga di analizzare il suo pensiero, nonostante egli sia stato uno scienziato di fama mondiale, padre riconosciuto di discipline come la criminologia e l’antropologia criminale, nonché anticipatore sia di tesi che Darwin avrebbe portato alla notorietà sia delle attuali ricerche della neurobiologia e della neuroscienza.
Sia chiaro, Lombroso era un uomo del suo tempo, e quindi non era immune da quelli che sono poi risultati essere i limiti della cultura positivistica: il determinismo, cioè il concepire in maniera rigida i casualismi scoperti dalla scienza; e lo scientismo, il volere cioè estendere il suo metodo di conoscenza in tutti i campi, facendone una sorta di metodo unico. Ma ogni teoria, per affermarsi, tende a rendere nette le sue idee, che poi col tempo rivede e relativizza. E Lombroso stesso non fu da meno in questo processo di modificazione, riconoscendo, ad esempio, negli ultimi anni il ruolo che nella costruzione della personalità, anche di quella del delinquente, svolgono non solo i fattori naturali e genetici, su cui si esercitò la sua straordinaria perizia medica, ma anche quelli in senso lato ambientali e sociali (l’educazione, l’esempio, la paura della ritorsione penale).
Tuttavia, i difetti del suo pensiero nulla tolgono al fatto che egli fu un grande scienziato, fedele al metodo sperimentale e a quello analitico che procede per classificazioni e generalizzazioni di casi. Egli fu, in linea con quello che è forse stato il maggior merito storico del positivismo, un grande organizzatore dell’impresa scientifica attraverso l’istituzionalizzazione, teorica e pratica, della sua disciplina. Il Museo di antropologia criminale di Torino, che raccoglie gli oggetti delle sue analisi (soprattutto teschi di diversa conformazione), non è paragonabile minimamente, come pure si fa, a un museo degli orrori.
Lavater e Kant
Più in generale, il tentativo di Lombroso fu quello di portare all’altezza della scienza una disciplina che non può essere liquidata semplicemente deridendola: la fisiognomica. Essa ha infatti una tradizione lunga e veneranda, non assimilabile a quella di pratiche magiche o cialtronesche. Basti solo pensare che uno dei suoi maggiori esponenti, Johann Kaspar Lavater, dialogava nel Settecento da pari a pari con il massimo teorico della ragione critica, Immanuel Kant.
D’altronde, considerare psiche e soma come due aspetti separati dell’essere umano significa muoversi ancora nell’ambito della distinzione fra anima e corpo su cui si è costruita la metafisica classica. Un dualismo, esso sì, da dimenticare o superare.