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 2013  settembre 03 Martedì calendario

PORTIERI, PAPERE E FARFALLE LA DISPERAZIONE PER ROSATI BERSAGLIO DI UNA SCARPA

C’è l’attimo sfuggente in cui il portiere non trattiene il pallone e regala il gol. E c’è l’attimo fuggente in cui il tifoso non trattiene la rabbia e gli lancia un mocassino. Il 74’ di Sassuolo-Livorno (rete dell’1 a 3 siglata da Paulinho) volge dal tragico al comico in un baleno, come tutti i piccoli momenti magici dell’avventura umana. E ci consente di riflettere su due temi di diversa portata: la pochezza dei portieri di serie A e la grandezza della disperazione degli uomini di qualche fede.
Il primo aspetto è evidenziato anche ai meno attenti dalla seconda giornata di campionato. Tre indizi fanno una prova. E allora: Saponetta Curci in Bologna- Sampdoria, Spiffero Perin in Genoa-Fiorentina e “Toc Toc, c’è nessuno? C’è Rosati. Allora è uguale”, a Sassuolo.
Dice: son tornati il bel gioco, i grandi attaccanti, le goleade. Siamo precisi: ci sono portieri da paura. Siamo ancora più precisi: cominciando dai tre farfallieri, in serie A, nella metà delle squadre, giocano portieri di riserva. Una cosa è un 1, un’altra un 12. Il 12 lo prendi sperando di non doverlo usare. Con tutto il rispetto, Rosati o Curci sono delle sicurezze in panchina. Li guardi e pensi: meno male che non giocano. Fagli fare per due anni la riserva, come è capitato a loro, e qualunque portiere sbiadisce, perde lucentezza e riflessi, il suo corpo dimentica gli istinti.
L’esempio supremo resta Alessandrelli. Giovane di belle speranze (come Perin), prelevato dall’Atalanta per fare il vice di Zoff nella Juventus, attese il suo momento per 4 anni: SuperDino non s’infortunava e non si stancava mai. Finalmente, all’ultima di un campionato già deciso, a partita segnata, Trapattoni lo mandò dentro sul 2 (poi 3) a 0 contro l’Avellino. Nel suo quarto d’ora di fama prese tre gol (due da Gil De Ponti, che finirà la carriera a Malta, con una papera al guinzaglio). Il portiere di riserva aspetta la sua occasione, ma l’occasione si stanca di aspettare lui e se ne va, come De Ponti a Malta. Rimane la papera. Quella sta lì e gli fa compagnia, al 12 meno 2 (come direbbe Grillo). La papera dell’attaccante fa ridere, quella del portiere fa tristezza. Perché da quando eravamo bambini al campetto lo sappiamo: nessuno vuol veramente stare al palo e se ti tocca o sei uno spericolato (Buffon, Higuita, Julio Cesar), o un pericolo (i tre dell’Ave Maria, amen).
Per questo, di solito, agli errori dell’attaccante scatta la contestazione, a quelli del portiere la commiserazione. Tre anni fa il Genoa schierò un allevatore di papere: Eduardo, che giocava titolare nella nazionale portoghese. Nonostante una sfilza di sbagli il pubblico continuò a sostenerlo. Dicevano avesse un cuore rossoblù, in realtà la sua vocazione per il disastro era tale da suscitare, perfino nella curva, qualcosa di simile a un sentimento di affettuosa partecipazione.
È per questo davvero insolito il gesto del tifoso del Sassuolo. Il getto della scarpa in segno di disapprovazione è un atto conclamato. Il caso recente più clamoroso ha avuto per bersaglio, da parte di un giornalista iracheno, l’ex presidente americano George Bush. Ma hanno ricevuto calzature anche Tony Blair, Ahmadinejad e, quando era presidente del Fondo Monetario Internazionale, Strauss-Khan (che avrebbe preferito indumenti di maggiore intimità).
Ora, un conto è l’attacco al potere, un altro l’attacco al portiere. Il primo è un atto di ribellione, il secondo di frustrazione. Istigato dal soggetto, agevolato dall’oggetto. Al mio debutto sugli spalti, bambino, vidi il Bologna incassarne quattro anche per colpa di un portiere di nome Spalazzi. Indossando un paio di polacchini, espressi il tormento facendo nodi sui nodi ai lacci. Tornato a casa, per togliermi le scarpe dovetti ricorrere alle forbici. I mocassini facilitano l’atto di separarsene.
Al tifoso del Sassuolo è montata la disperazione: la sua squadra prevale nel possesso palla, ma ogni volta che l’avversario fa transitare una palla dalle parti di Rosati, è gol. Quello s’infila pure i cross. Dicono che i suicidi prima di gettarsi si tolgano le scarpe. È un gesto che sottolinea l’abbandono di ogni fiducia. Che diventa sbilenco se si butta una sola scarpa. Infatti mentre l’arbitro prende tempo e il raccatascarpe recupera e restituisce il mocassino, il tifoso sta per lanciare pure l’altro: non per residua furia, ma per pareggiare, almeno con i suoi piedi. E tornare a casa dicendo: “Mi han derubato”. Ne vedremo delle belle. Alla prossima, la Fiorentina gioca in casa, con Neto in porta. Occhio a Della Valle.