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 2013  settembre 02 Lunedì calendario

AZZURRO CANESTRO

ROMA
Pianigiani, mercoledì la sua Italia avvia gli Europei in Slovenia. Sofferti mille guai, rinunce, infortuni, defezioni, ce l’abbiamo una nazionale?
«Sì, l’abbiamo. Intesa come gruppo con uno spirito, senz’altro. Gente che ha lavorato bene un mese e mezzo insieme, che non ha fatto problemi, che m’ha confermato che questa scelta di fare un Club Italia è stata giusta. Poi, se càpita di tutto e di più, sopporti e resisti. Bargnani doveva giocare 30 minuti e non c’è, Mancinelli essere, per duttilità, un perno del sistema, e non c’è, Gallinari assortirsi in tante variabili con Datome, e non c’è, per non dire di Hackett, l’uomo chiave dello scudetto di Siena. Ma io sono contento di essere qui, davanti alla nostra sfida, anche se mentirei a me stesso e a tutti se dicessi che, fossimo in un club, avremmo costruito così la squadra, con ruoli non coperti e altri in sovraccarico. Bene, è una squadra atipica? Proveremo a far funzionare l’atipicità ».
Pronti, i sopravvissuti, per quali obiettivi?
«Far vedere, appunto, che una nazionale c’è, a dispetto di tutto. Un gruppo giovane, destinato a durare, e a far bene, perché la ruota girerà. Mi spiacerebbe solo, ora, se subisse colpi duri a minarne lo spirito. Un’estate fa riuscimmo a essere una nazionale rispettata, ora evitiamo d’esser quelli “bravi lo stesso”».
Digeriti tutti gli amari calici dell’estate maledetta (sono parole sue)?
«Lo sport vieta i rimpianti, e non ne ho, non le incazzature. Posso essere nero perché l’Italia progettata con Luca Dalmonte nelle nostre lunghe serate in Turchia, o nel viaggio americano, qui non c’è, ma devo andare oltre, col massimo rispetto per chi c’è e sgobba duro, e la massima voglia di battermi con loro e per loro. Mi sono pure preso due tecnici... Penso a cosa fare, non a cosa si poteva fare».
Proprio non l’ha mai fatto, in una notte insonne, il giochino di sfilare quattro uomini di quintetto da tutte le avversarie?
«No, mai fatto, mi piace che gli avversari ci siano tutti».
Di fatto, i suoi quattro contribuiranno al più con un tweet. Rimedi?
«Essere squadra, e sarà dura, in un torneo che al primo turno ne spedirà a casa metà, o lo farà addirittura dopo due partite, che dovremo affrontare in 18 ore. Il girone è difficile, ma non sarà un alibi per farci sentire vittime».
Parliamo di campo. Quali sono i limiti da mascherare?
«Non potremo permetterci errori banali. Perché, quando si sbagliano le esecuzioni, di solito si rimedia con una giocata di fisico o di mestiere dei singoli più navigati, e noi abbiamo poco fisico e poco mestiere. Se il giro di palla non corre, attaccheremo contro un muro. Se in difesa sbaglieremo, non ci sarà dietro quello che tappa il buco con una stoppata o una clavata. E se in partita si sentirà il rumore delle ossa, lo scontro fisico, non sarà
un bel segnale per noi».
E le qualità da imporre?
«Ritmo e buone esecuzioni per allargare il campo: è un basket poco “europeo”, ma abbiamo l’altruismo per farlo e sfideremo pure il calendario da una partita al giorno, che punisce chi vuole correre».
Le sue favorite?
«Mi piace la Grecia, ha gente forte, esperta, consapevole, caricata dai successi dei club in Europa. La Spagna ha grande talento, Turchia e Francia talento e fisico. Per me le quattro semifinaliste sono queste, ma i quarti sono una trappola di 40’ in cui può cadere chiunque».
Il ciclo Siena, di cui è stato attore protagonista, ha fatto bene o male al basket italiano?
«Ha fatto bene, perché ci ha fatto tenere standard alti.
Ci serve non rinchiuderci nel campionato e squadre che fanno l’Eurolega per vincere, anche se poi perdono, sono benedette. A Siena abbiamo battuto almeno una volta tutte le grandi, e alcune le abbiamo eliminate. Stare lì crea abitudine, esperienza, fiducia. E prevengo l’obiezione sui tanti nostri stranieri. Vero, ma Ress e Carraretto sono diventati esempi da imitare e Hackett un protagonista, come ora spero di Gentile e Melli con Milano».
Nelle nazionali del terzo millennio pesano di più i giocatori Nba o resiste un’impronta e una qualità delle scuole nazionali?
«Il talento pesa, e in Nba ce n’è tanto, eppure la solidità di una squadra resta nelle mani dei giocatori europei. Conta la scuola, e una scuola italiana c’è, anche se va fatta rispettare fuori dall’uscio di casa. I giocatori decisivi, anche qui in Slovenia, saranno quelli con molte esperienze assortite, quelli che sanno vivere gli attimi di svolta delle partite, ma anche gestire la quotidianità, gli allenamenti, lo stress, il recupero fisico, i malanni. Guardo uno come Spanoulis, che non è nella Nba, e vedo il capo-giocatore ideale. Ce l’ha la Grecia, spero che presto potremo averne anche noi».