Paolo Rodari, la Repubblica 2/9/2013, 2 settembre 2013
“CONTRO DI ME CORVI E VIPERE” E BERTONE NEL PRIMO GIORNO DA EX ACCUSA I NEMICI IN VATICANO
IL GIORNO dopo l’annuncio della destituzione ha il sapore di una nemesi. Il porporato che ha reinventato i viaggi “in vece” del Papa (Cuba, Croazia e numerose altre destinazioni nazionali ed estere) si ritrova “ex” proprio nell’ennesima trasferta fuori le mura leonine: il sessantesimo anniversario delle lacrime della Madonna a Siracusa, ieri pomeriggio. Furono anzitutto questi viaggi, inusuali per la felpata e discreta diplomazia d’oltre il Tevere, a provocare i primi velenosi dinieghi delle gerarchie. Critiche che egli ha incassato spesso incredulo.
«Verrà il tempo in cui parlerò io», disse Bertone in piena bufera Vatileaks, anno 2012, quando le accuse di mala governance erano pesanti. Il cardinale teneva nelle mani ancora le redini del potere, una struttura al proprio fianco a difenderlo e proteggerlo. Adesso quell’apparato non esiste più, e Bertone si trova solo su un volo per la Sicilia stupito per la mancanza di attestati di vicinanza di quella vecchia guardia che gli fu vassalla. Certo, lui nega che le cose stiano così. E confida: «La prima parola che Bergoglio mi ha detto, sussurrandomela a un orecchio, ritornando in Sistina dopo la vestizione, è stata: “La ringrazio per la sua fedeltà e lealtà”».
A Siracusa gli è accanto soltanto il fedele segretario don Lech Piechota, ma non ha particolari messaggi da comunicargli. Sic transit gloria mundi. L’uomo più potente del Vaticano lascia attorno a sé più silenzi che dichiarazioni di elogio per gli anni appena trascorsi. Segno che i 45 giorni di interregno che lo sperano dalla resa definitiva saranno una parentesi di vuoto per il porporato abituato a essere sempre al centro dell’azione. Quando divenne premier vaticano, nel settembre del 2006 dopo il diplomatico Angelo Sodano, si presentò come un segretario di Chiesa e meno di Stato. «Più Vangelo, meno diplomazia », fu il motto che diversi osservatori gli affibbiarono. E, invece, se solo per colpe sue o anche di altri lo dirà la storia, non è riuscito a essere pienamente né l’uno né l’altro.
Dopo Siracusa, Fatima. Per ironia della sorte sarà un altro evento “on the road” a tenere Bertone al proprio posto fino alla metà di ottobre, una proroga inusuale per la curia romana, dovuta al pellegrinaggio internazionale nel santuario portoghese che il cardinale presiederà in rappresentanza del pontefice il 12 e 13 ottobre. Insomma, quei viaggi che tante critiche gli hanno attirato all’interno delle gerarchie non soltanto vaticane ma anche della Chiesa nel mondo, caratterizzano i suoi ultimi giorni in sella alla segreteria di Stato, un salesiano che aveva conquistato già all’ex Sant’Uffizio la piena fiducia di Ratzinger (era il segretario dell’importante dicastero) occupandosi dei dossier più scottanti: i dissidi con la teologia della liberazione, lo scisma di Marcel Lefebvre, il terzo segreto di Fatima, le presunte apparizioni della Madonna a Medjugorje, il caso Emmanuel Milingo. Ma quel suo “protagonismo” ha fatto sì che egli non fosse in grado di ripararsi, una volta a fianco di Benedetto XVI, dalle principali tegole dell’ultima stagione ecclesiastica. In particolare le vicende giudiziarie che coinvolgono lo Ior, la banca vaticana per la quale Bertone si è speso oltre misura come presidente del Comitato di vigilanza.
Si è speso parecchio, certo, ma il tempo non sempre è galantuomo. Anzi. L’ultimo schiaffo è stato recentemente lo spostamento degli ex suoi fedelissimi ministri delle finanze vaticane (i cardinali Giuseppe Versaldi, Giuseppe Bertello e Domenico Calcagno) che di pari passo alle declinanti fortune del loro “patrono” hanno cercato e trovato sponda a Santa Marta. Papa Francesco, infatti, ha saputo coinvolgerli nella nuova epoca di risanamento e moralizzazione della curia.
Ieri Bertone non ha parlato di loro. Eppure, nel confronto cercato e ottenuto ci giornalisti a Siracusa prima della Messa, recenti ferite si sono in qualche misura riaperte. «Ho dato sempre tutto ma certamente ho avuto i miei difetti, se dovessi ripensare adesso a certi momenti agirei diversamente », ha confidato. E ancora: «Però questo non vuol dire che non si sia cercato di servire la Chiesa. Anche perché da una parte ci sono state delle vicende che ci sono sfuggite anche perché quei problemi erano come “sigillati” all’interno della gestione di certe persone che non si ponevano in collegamento con la segreteria di Stato». Tramonta il sole a Siracusa. E anche Bertone cala il sipario sulla prima uscita pubblica dopo l’annuncio di dimissioni richieste a gran voce da quella parte di collegio cardinalizio che durante il Conclave ha strappato col partito romano spingendo per l’elezione di un Papa chiamato «dai confini del mondo». Poche settimane fa uno fra i principali elettori di Bergoglio, l’arcivescovo di New York Timothy Dolan, disse: «Mi aspetto che dopo la pausa estiva si concretizzi qualche segnale in più in merito al cambiamento nella gestione». Non sapeva che Francesco aveva già comunicato a Bertone le dimissioni durante il viaggio in Brasile. Poi, la settimana scorsa, l’udienza concessa a Sodano con l’annuncio del ritorno alla guida della segreteria di Stato di un diplomatico. Bertone nei mesi passati aveva auspicato un’ulteriore proroga, almeno fino al compimento dei 79 anni, il 2 dicembre. Non è stato accontentato.