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 2013  settembre 01 Domenica calendario

COME SI DICE TAVOLO A BEIRUT

Dieci anni fa, avendo traslocato a Beirut e dovendo arredare casa, mi rivolsi a un falegname nel quartiere musulmano. Lui parlava solo arabo, io ne conoscevo poche parole. Riuscii a dire tavolo (tarabesa) e tentai di spiegargli come lo volevo, provai a farne un disegno e a quel punto lui disse, annuendo: «Bjursta». Pensai fosse un’altra parola in quella lingua che mal conoscevo. Ma lui prese un catalogo dell’Ikea e mi mostrò il tavolo Bjursta. In Libano non c’era un negozio Ikea ma esistevano ugualmente i mobili. E così in tutto il Medio oriente, fino all’Iran. Una forma di globalizzazione inedita e ineguagliata: senza bisogno di punti vendita, di centrali del falso, di laboratori cinesi. Un’idea copiata e diffusa perché universale. Non un’allusione al lusso reso disponibile, ma un prodotto in scala 1:1. Anzi, talvolta il manufatto artigianale che duplica quello industriale ha un prezzo necessariamente più alto. Domenica scorsa ho preso un traghetto al molo 11 di Manhattan. Andava dall’altra parte del fiume, a Brooklyn. Non esattamente: andava all’Ikea di Brooklyn. Trasporto gratuito nel fine settimana, costo del biglietto detratto dagli acquisti negli altri giorni. C’era una fila lunga quanto quella vista al Guggenheim per ammirare le opere di James Turrell.
Gente di tutto il pianeta con l’aria di chi va a una festa. Li aspettava un luogo riconoscibile, una parte di mondo che non cambia nel mondo. Sei un immigrato nomade e vuoi sentirti a casa, a Roma come a New York: vai all’Ikea. La disposizione degli oggetti è la stessa, i corridoi sono gli stessi, le indicazioni le stesse. Vale anche per i negozi della Apple? Sì, ma la Apple è una casa virtuale, Ikea una casa reale. Una casa dove hai abitato anche senza averlo mai fatto. È un luogo della memoria sovrapposta, costruito nel tuo cervello da un mosaico di lampade, librerie, letti che hai visto in appartamenti di studenti, seconde case di sceneggiatori, ambienti da fiction televisiva. Finchè anche tu, inevitabilmente, ti sei comprato un tavolo Bjursta. Quello vero. E ti sei ricordato di quando Romano Prodi stava a Bruxelles e si comprò una libreria Ikea decidendo di montarla da solo. Poi telefonò desolato a un amico: «Son qui che prillo con ’sta brugola. Prillo, prillo, ma non succede niente! ». Quando esci dall’Ikea con il tuo acquisto scomposto, leggero sotto il braccio, ancora non lo sai, ma ti hanno venduto un’idea spesso discutibile, quasi sempre irrealizzabile.