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 2013  settembre 01 Domenica calendario

DA GHOST WRITER A PLENIPOTENZIARIO COSÌ SI CHIUSE L’ERA DEL NEPOTISMO

SI È scritto e si continuerà a scrivere molto sul Segretario di Stato vaticano, perché la storia di questi ultimi due secoli insegna che dalla collaborazione del Segretario di Stato con il pontefice regnante dipende in gran parte il successo di un pontificato. Il Segretario di Stato vaticano è infatti tradizionalmente il massimo responsabile della gestione di tutti gli affari della Sede apostolica, nel pieno rispetto della «pienezza dei poteri» del papa. Già intorno al 1800, il cardinale Ercole Consalvi lo definiva così: «Il Segretario di Stato è ministro dell’Interno e dell’Esterno e di ogni genere di affari».
Ma fu sempre così? Non proprio. La definizione del Consalvi — fu costretto dai Francesi (1809) a lasciare Roma e a vivere a Parigi, rifiutando di partecipare al matrimonio di Napoleone con Giuseppina di Beauharnais (1810) — fotografava il punto di arrivo di un’evoluzione che aveva fatto del Segretario di Stato lo strumento irrinunciabile per la conduzione degli affari politici e amministrativi della Sede Apostolica (e dello Stato Vaticano, dopo la sua fondazione nel 1929). Segretari di Stato come Rafael Merry del Val o Agostino Casaroli hanno segnato in modo profondo, e per decenni, la politica vaticana. Per non parlare di Eugenio Pacelli, Segretario di Stato di Pio XI dal 1930 al 1939. Ed anche Paolo VI era stato in gioventù, proprio sotto Pacelli, fin dal 1937, Sostituto e poi, dal 1944, pro-Segretario di Stato. Come a dire che i grandi problemi politici in cui si trovò coinvolta la Santa Sede, dalla prima Guerra mondiale alla Ostpolitik degli anni Settanta e Ottanta del Novecento, facilitarono il progressivo e continuo prestigio istituzionale della Segreteria di Stato.
Il Consalvi non avrebbe mai dato una definizione così perentoria del Segretario di Stato uno o due secoli prima! L’evoluzione della Segreteria di Stato verso la quasi-onnipotenza, in termini amministrativi e politici, all’interno della Santa Sede fu infatti lenta e non affatto lineare. Per molti secoli, la parola «Segretario» aveva un altro significato, serviva cioè a definire responsabili di uffici che avevano il compito di redigere le lettere «segrete» del papa, ossia le lettere di maggiore importanza politica. Era il compito affidata alla Camera secreta istituita da Martino IV (1430 circa), che fu poi trasformata nella Segreteria Apostolica da Innocenzo VIII (1487), composta da un collegio di 24 segretari apostolici, diretti dal Secretarius domesticus.
Allora il Secretarius domesticus svolgeva funzioni diplomatiche e cancelleresche importanti, ma non funzioni analoghe a quelle dell’attuale Segretario di Stato.
Ciò anche per la crescente importanza che ebbe allora il nepotismo. Da Paolo IV (1555-1559) fino al 1691, con la sola eccezione di Innocenzo XI (1676-1689), la figura curiale intorno alla quale ruotava l’intera amministrazione e la conduzione degli affari politici della Santa Sede fu infatti il nipote del papa regnante, cui veniva assegnato il titolo ufficiale di Cardinale Nipote. Vero primo ministro, vero alter-ego del papa per gli affari temporali, il Cardinale Nipote veniva perciò chiamato «cardinale padrone».
Quando però Innocenzo XII (1691-1700) soppresse il nepotismo, una figura curiale, quella di Secretarius intimuso maggiore, che aveva finito per sostituire quella di Secretarius domesticus, prese allora il sopravvento e fu ridefinita “Segretario di Stato”. Soltanto da allora si può parlare dell’esistenza di un vero e proprio Segretario di Stato con compiti e qualifiche analoghe a quelle che sono ancor oggi vigenti.
Ma i Segretari di Stato furono sempre potenti? Non proprio. Alla fine del Settecento, il Segretario di Stato di Clemente XIV (1769-1774), Lazzaro Opizio Pallavicini, fu tenuto lontano dagli affari e il suo successore, Ignazio Boncompagni Ludovisi, segretario di Stato di Pio VI (1775-1799) fu persino a costretto a dimettersi, non tanto per i numerosi insuccessi diplomatici (con la corte di Napoleone, ad esempio), e nemmeno per scandali od altro, ma più semplicemente per le forti polemiche suscitate dal suo progetto di istituire un catasto a Roma e nello Stato pontificio che avrebbe inevitabilmente condotto «all’avvilimento della nobiltà », ossia all’eliminazione di privilegi.